google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 TUTTOPROF. google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

La scuola pubblica, a sorpresa, piace al 60% degli italiani

CIO' CHE sorprende maggiormente, nell'indagine condotta da Demos nei giorni scorsi, è il grado di consenso per la scuola pubblica: ampio e perfino in crescita rispetto a un anno fa. Nonostante l'ondata di discredito che - da anni e tanto più in questi tempi - sta sommergendo le istituzioni scolastiche. Ma soprattutto quei "maledetti professori"... Pretendono di insegnare in una società che non sopporta i "maestri" - figuriamoci i professori. Nonostante l'ondata di risentimento contro tutto ciò che è pubblico e statale. Scuola compresa.


Perché oggi lo Stato è rivalutato, ma come barelliere della finanza ammalata; come pronto soccorso del mercato ferito. Nonostante il conseguente calo dei fondi pubblici, che si ripete da anni, con ogni governo, di ogni colore. Perché, per risparmiare, si riducono le spese improduttive. Come vengono ritenute, evidentemente, quelle sostenute per la scuola, la formazione e la ricerca. Nonostante il contributo offerto dal sistema scolastico stesso al proprio discredito. Per le resistenze opposte dagli insegnanti ai progetti di riforma volti a valutarne il rendimento e a premiarne il merito.

Per le degenerazioni del reclutamento universitario, i concorsi pilotati, a favore di amici e parenti fino al terzo grado. Nonostante le interferenze dei genitori, pronti a chiedere rigore e autorità ai professori. Pronti a difendere i propri figli contro i professori (lo ammettono 7 italiani su 10).

Nonostante tutto questo, la scuola, i maestri, i professori "del sistema pubblico" godono ancora di stima e considerazione fra i cittadini. In particolare:

a) il 60% e oltre degli italiani si dice soddisfatto (molto o moltissimo) della scuola pubblica di ogni ordine e tipo. E, nel caso delle scuole elementari, il gradimento sfiora il 70% degli intervistati, senza grandi differenze di età, genere, ceto; ma neppure di orientamento politico.

b) Parallelamente, il 64% dei cittadini manifesta (molta o moltissima) fiducia negli insegnanti della scuola "pubblica". Penalizzati, secondo il 40% degli intervistati, da stipendi troppo bassi.

n entrambi i casi - scuola pubblica e insegnanti - il giudizio appare migliorato rispetto a un anno fa. In evidente contrasto con la rappresentazione dominante, al cui centro campeggiano l'insegnante fannullone e incapace, la scuola inefficiente e sprecona. Argomenti politici e mediatici di successo, che fra i cittadini non sembrano, tuttavia, attecchire. La scuola e gli insegnanti godono, al contrario, di buona reputazione. E non per "ideologia" o per pregiudizio politico. Fra gli intervistati, infatti, appare ampia la consapevolezza dei problemi che la affliggono. Il distacco nei confronti del mercato del lavoro, la violenza, l'incapacità di ridurre le diseguaglianze, la preparazione inadeguata degli insegnanti. Ancora: lo scarso rilievo attribuito al merito, sia per gli studenti che per i loro insegnanti. Infine, anzi, in testa a tutto: la penosa penuria di risorse.

I provvedimenti della ministra Mariastella Gelmini, peraltro, non sono catalogati attraverso pre-giudizi generalizzati. Vengono, invece, valutati in modo distinto, caso per caso. Una larghissima maggioranza degli intervistati si dice favorevole: al ritorno del voto in condotta, dei grembiulini, degli esami di riparazione. Novità antiche che piacciono perché propongono soluzioni semplici a problemi complessi. Evocano la tradizione e la nostalgia per curare i mali odierni. Si rivolgono, in particolare, alla domanda d'ordine e di autorità, che oggi appare diffusa.

Il giudizio, però, cambia sensibilmente quando entrano in gioco temi che richiamano l'organizzazione didattica e il modello educativo. In primo luogo: il ritorno del "maestro" unico alle elementari. Un provvedimento che divide gli italiani. Non piace, anzi, a una maggioranza, per quanto non larghissima. Mentre è nettissimo, plebiscitario il dissenso verso la chiusura degli istituti con meno di 50 studenti (in un Paese di piccoli paesi, come il nostro, si tratta di una diffusa reazione di autodifesa). Ma anche verso la scelta di differenziare (per quanto transitoriamente) le classi per gli studenti stranieri e italiani. Perché, al di là del merito, il provvedimento sembra dettato da preoccupazioni di consenso più che di inserimento.

Mentre fra gli italiani, anche i più insicuri, è ampia la convinzione che famiglia e scuola siano i principali canali di integrazione (e di controllo sociale).

Semmai, appare più ideologica la base del consenso per le politiche del governo, che ottengono il massimo grado di sostegno fra le persone più lontane dalla scuola, per esperienza personale e familiare: gli anziani, le famiglie dove non vi sono né studenti né docenti. Al contrario, le resistenze crescono nelle famiglie dove vi sono insegnanti o studenti. Ma soprattutto nei confronti dei provvedimenti meno popolari: maestro unico e classi differenziate per stranieri. Ciò suggerisce che l'opposizione alle politiche della scuola, elaborate dalla ministra Gelmini, sia dettata, in buona misura, dall'esperienza delle famiglie e delle persone.

Da ciò un giudizio complessivamente negativo nei confronti della riforma, ma anche verso l'azione della ministra. Rimandate entrambe, non bocciate senza appello. In altri termini: gran parte degli italiani è d'accordo sulla necessità di riformare la scuola.

Tuttavia, alla fine sul giudizio dei cittadini e degli utenti gli aspetti concreti pesano assai più di quelli simbolici. E il ritorno dei grembiulini e del voto in condotta non giustificano, agli occhi dei più, il taglio dei finanziamenti, il maestro unico, le classi "dedicate" per gli stranieri. C'è difficoltà a immaginare la possibilità di curare la scuola amputandone gli organi vitali. Riducendo ancora risorse ritenute oggi largamente inadeguate. Ciò spiega il consenso largamente maggioritario a sostegno delle proteste contro la riforma, che da qualche settimana agitano le scuole e affollano le piazze. Coinvolgendo, insieme, studenti, professori e genitori.

A differenza del mitico Sessantotto, evocato spesso, a sproposito, in questi giorni - per "colpa" dell'anniversario (40 anni) e per pigrizia analitica. In quel tempo gli studenti contestavano il passato che ingombrava, pesantemente, la società, la cultura, le istituzioni. Zavorrava le loro aspettative di vita e di lavoro. Per cui manifestavano e protestavano "contro" la società adulta. "Contro" i professori e i loro stessi genitori. Oggi, al contrario, il malessere degli studenti nasce dal furto del futuro, di cui sono vittime. La loro rivolta "generazionale" incrocia la protesta "professionale" dei professori e la solidarietà dei genitori, a cui li lega un rapporto di reciproca dipendenza, divenuto sempre più stretto, negli ultimi anni. Da ciò un problema rilevante per i giovani, i figli e gli studenti. Magari sconfiggeranno la Gelmini. Ma come riusciranno a "liberarsi" davvero con la complicità degli adulti, il permesso dei genitori, e il consenso dei professori?

di ILVO DIAMANTI

fonte: Repubblica.it

Maledetti professori

IL "PROFESSORE", ormai, primeggia solo fra le professioni in declino. Che insegni alle medie o alle superiori ma anche all'università: non importa. La sua reputazione non è più quella di un tempo. Anzitutto nel suo ambiente. Nella scuola, nella stessa classe in cui insegna. Gli studenti guardano i professori senza deferenza particolare. E senza timore. In fondo, hanno stipendi da operai specializzati (ma forse nemmeno) e un'immagine sociale senza luce. Non possono essere presi a "modello" dai giovani, nel progettare la carriera futura. Molti genitori hanno redditi e posizione professionale superiori. E poi, la cultura e la conoscenza, oggi, non vanno di moda. E' almeno da vent'anni che tira un'aria sfavorevole per le professioni intellettuali. Guardate con sospetto e sufficienza.

Siamo nell'era del "mito imprenditore" . Dell'uomo di successo che si è fatto da sé. Piccolo ma bello. E ricco. Il lavoratore autonomo, l'artigiano e il commerciante. L'immobiliarista. E' "l'Italia che produce". Ha conquistato il benessere, anzi: qualcosa di più. Studiando poco. O meglio: senza bisogno di studiare troppo. In qualche caso, sfruttando conoscenze e competenze che la scuola non dà. Si pensi a quanti, giovanissimi, prima ancora di concludere gli studi, hanno intrapreso una carriera di successo nel campo della comunicazione e delle nuove tecnologie.
Competenze apprese "fuori" da scuola. Così i professori sono scivolati lungo la scala della mobilità sociale. Ai margini del mercato del lavoro. Figure laterali di un sistema - la scuola pubblica - divenuto, a sua volta, laterale. Poco rispettati dagli studenti, ma anche dai genitori. I quali li criticano perché non sanno trasmettere certezze e autorità; perché non premiano il merito. Presumendo che i loro figli siano sempre meritevoli.

Si pensi all'invettiva contro i "professori meridionali" lanciata da Bossi nei giorni scorsi. Con gli occhi rivolti - anche se non unicamente - alla commissione che ha bocciato "suo figlio" agli esami di maturità. Naturalmente in base a un pregiudizio anti-padano. I più critici e insofferenti nei confronti dei professori sono, peraltro, i genitori che di professione fanno i professori. Pronti a criticare i metodi e la competenza dei loro colleghi, quando si permettono di giudicare negativamente i propri figli. Allora non ci vedono più. Perché loro la scuola e la materia la conoscono. Altro che i professori dei loro figli. Che studino di più, che si preparino meglio. (I professori, naturalmente, non i loro figli).

Va detto che i professori hanno contribuito ad alimentare questo clima. Attraverso i loro sindacati, che hanno ostacolato provvedimenti e riforme volti a promuovere percorsi di verifica e valutazione. A premiare i più presenti, i più attivi, i più aggiornati, i più qualificati. Così è sopravvissuto questo sistema, che penalizza - e scoraggia - i docenti preparati, motivati, capaci, appassionati. Peraltro, molti, moltissimi. La maggioranza. In tanti hanno preferito, piuttosto, investire in altre attività professionali, per integrare il reddito. O per ottenere le soddisfazioni che l'insegnamento, ridotto a routine, non è più in grado di offrire. Sono (siamo) diventati una categoria triste.

Negli ultimi tempi, tuttavia, il declino dei professori è divenuto più rapido. Non solo per inerzia, ma per "progetto" - dichiarato, senza infingimenti e senza giri di parole. Basta valutare le risorse destinate alla scuola e ai docenti dalle finanziarie. Basta ascoltare gli echi dei programmi di governo. Che prevedono riduzioni consistenti (di personale, ma anche di reddito): alle medie, alle superiori, all'università. Meno insegnanti, quindi. Mentre i fondi pubblici destinati alla ricerca e all'insegnamento calano di continuo. Dovrebbe subentrare il privato. Che, però, in generale se ne guarda bene. Ad eccezione delle Fondazioni bancarie. Che tanto private non sono. D'altra parte, chissenefrega. I professori, come tutti gli statali, sono una banda di fannulloni. O almeno: una categoria da tenere sotto controllo, perché spesso disamorati e impreparati. Maledetti professori. Soprattutto del Sud. Soprattutto della scuola pubblica. E - si sa - gran parte dei professori sono statali e meridionali.

Maledetti professori. Responsabili di questa generazione senza qualità e senza cultura. Senza valori. Senza regole. Senza disciplina. Mentre i genitori, le famiglie, i predicatori, i media, gli imprenditori. Loro sì che il buon esempio lo danno quotidianamente. Partecipi e protagonisti di questa società (in)civile. Ordinata, integrata, ispirata da buoni principi e tolleranza reciproca. Per non parlare del ceto politico. Pronto a supplire alle inadempienze e ai limiti della scuola. Guardate la nuova ministra: appena arrivata, ha già deciso di attribuire un ruolo determinante al voto in condotta. Con successo di pubblico e di critica.

Maledetti professori. Pretendono di insegnare in una società dove nessuno - o quasi - ritiene di aver qualcosa da imparare. Pretendono di educare in una società dove ogni categoria, ogni gruppo, ogni cellula, ogni molecola ritiene di avere il monopolio dei diritti e dei valori. Pretendono di trasmettere cultura in una società dove più della cultura conta il culturismo. Più delle conoscenze: i muscoli. Più dell'informazione critica: le veline. Una società in cui conti - anzi: esisti - solo se vai in tivù. Dove puoi dire la tua, diventare "opinionista" anche (soprattutto?) se non sai nulla. Se sei una "pupa ignorante", un tronista o un "amico" palestrato, che legge solo i titoli della stampa gossip. Una società dove nessuno ritiene di aver qualcosa da imparare. E non sopporta chi pretende - per professione - di aver qualcosa da insegnare agli altri. Dunque, una società senza "studenti". Perché dovrebbe aver bisogno di docenti?

Maledetti professori. Non servono più a nulla. Meglio abolirli per legge. E mandarli, finalmente, a lavorare.

di ILVO DIAMANTI

fonte: Repubblica.it

Draghi: Bisogna aumentare l'età di pensionamento

MILANO - Innalzare l'età pensionabile. La necessità individuata dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, vede vari ministri su posizioni differenti e il parere contrario degli istituti di previdenza (Inps, Inpdap) e dei sindacati, mentre la Confindustria dice che «passi avanti sono stati fatti, ma si può fare di più».

DRAGHI - Il tasso di copertura assicurato in Italia dal pilastro pubblico ai futuro pensionati «sarà più basso, a parità di età di pensionamento, di quello che il sistema ha garantito finora», ha detto Draghi, e quindi «per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati è indispensabile un aumento significativo dell'età media effettiva di pensionamento».

SACCONI - Secondo il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, invece, le riforme sulle pensioni già fatte sono «più che sufficienti». Sacconi sottolinea che ci sono due stabilizzatori del sistema: l'adeguamento dei coefficienti di trasformazione dei contributi e la norma prevista nel decreto anti-crisi che adegua l'età pensionabile all'aspettativa di vita a partire dal 2015. «La nostra riforma nel provvedimento "anticrisi" - spiega Sacconi a margine della presentazione del rapporto Inpdap - non può essere sottovalutata perché non ha determinato forme di mobilità sociale. Già dall'anno prossimo si calcola l'andamento dell'aspettativa di vita in modo che dal 2015 ci sia un aumento automatico corrispondente e proporzionale. Da allora ogni 5 anni ci sarà un adeguamento». «Credo che un meccanismo di questo genere - aggiunge Sacconi - sia più che sufficiente visto che si combina con quanto previsto dai governi Dini e Prodi sulla caratura delle pensioni». Alla domanda se le riforme fatte quindi bastano, Sacconi risponde: «Ragionevolmente sì».

PDL PER DRAGHI - Adolfo Urso, vice ministro allo Sviluppo economico, ritiene invece che le riforme sin qui realizzate non bastino e dà ragione a Draghi. «L'innalzamento dell'età pensionabile non è più un tabù, ma una necessità che va realizzata in maniera più compiuta nel quadro di un processo di riforma che si fondi su un nuovo patto generazionale e possa avere la più ampia condivisione possibile. Il governo si è gia mosso su questa strada, ma credo che una riflessione più ampia vada fatta nella seconda fase della legislatura». Sulla linea di Urso sono tre deputati del Pdl, Giuliano Cazzola, Benedetto della Vedova e Raffaello Vignali: «Draghi ha ragione quando invita a mettere all'ordine del giorno una riforma delle pensioni che abbia al suo centro l’innalzamento dell’età pensionabile». Anche un altro deputato Pdl, Giorgio Jannone, presidente della commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali, appoggia Draghi: «Le riforme approvate e quelle in itinere garantiscono la stabilità del sistema per i prossimi anni, anche se i mutamenti demografici richiederanno ulteriori interventi».

CONFINDUSTRIA - «La nostra posizione sulle pensioni è nota», ha spiegato la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. «Pensiamo che si possa fare di più. È vero che, come dice Sacconi, nel decreto anticrisi ci sono stati ulteriori adeguamenti che entreranno in funzione del 2015 e saranno una sorta di meccanismo di stabilizzazione. Si dovrà riflettere se farlo entrare in funzione prima, ma qualche passo in avanti è stato fatto». Chiarisce ulteriormente il vice presidente degli imprenditori Alberto Bombassei: «Sono assolutamente d'accordo con Draghi. Confindustria lo dice da molti anni, fa piacere che piano piano un po' tutti si convincono che l'innalzamento dell'età pensionabile è una misura necessaria».

«IL SISTEMA TIENE» - Antonio Mastropasqua, presidente dell'Inps, e Paolo Crescimbeni, presidente dell'Inpdap, sono invece in disaccordo con Draghi: «A oggi il sistema tiene e i conti Inps lo dimostrano», ha dichiarato Mastropasqua. «Con la riforma Dini che va a regime piano piano, e con il decreto legge anticrisi che contiene una norma che adegua l'età pensionabile alle aspettative di vita e decorre dal 2015, il sistema tiene». Aggiunge Crescimbeni: «La norma inserita nel decreto anticrisi sull'adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita è una formula sufficientemente risolutiva».

SINDACATI - «Già quando c'è stato l'aumento dell'età pensionabile nel settore pubblico avevamo detto che non era quello il modo di affrontare il tema. Se si vuole discutere di pensioni bisogna affrontare tutti i problemi. Ci vuole un tavolo per affrontare tali questioni», ha affermato il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Anche Renata Polverini, segretario generale dell'Ugl, giudica che «dobbiamo affrontare un problema più generale e complessivo, all'interno del quale le pensioni rappresentano solo una delle questioni, e non sul piano dell'età». «La ricetta di Draghi è socialmente iniqua e totalmente lontana dalla realtà», afferma in una nota il segretario nazionale della Fiom Giorgio Cremaschi.

RIFONDAZIONE - Chiaro no a Draghi da parte di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista: «Se si aumentasse l'età pensionabile, aumenterebbe la disoccupazione giovanile, peggiorerebbe l'occupazione e la disastrosa crisi economica e sociale che stiamo vivendo si aggraverebbe di molto».

fonte: corriere.it

Come ci vedono: gli insegnanti e le ferie

Alcuni commenti raccolti qua e la per il web, illuminanti sul comportamento dei figli in classe, sul tema delle ferie ai professori. A queste persone vorrei fare solo una domanda: "ma tu dove stavi mentre io studiavo?"

• Troppe ferie sì, ai prof e maestri/e, allora dovrebbero farne altrettante anche i bidelli, non vivono nelle scuole con i Prof ecc.? la furbizia degli insegnanti, si basa sulla reperibilità, sono reperibili ma, chi li chiama per esempio per dare ripetizione ai ragazzi/e? Qui, Brunetta dovrebbe intervenire.


• penso che le ferie siano sempre troppe senza contare che difficilmente facciano tutte le ore della giornata scolastica per tutta la settimana!Io conosco una insegnante che lavora 19 ore settimanali io ne faccio 36! PRENDIAMO ANCHE LO STESSO STIPENDIO

• Parlate solo di ferie, ma cosa dite delle finte malattie. Il prof di matematica di mio figlio faceva mesi di assenza, pagata per stare nel suo ufficio. Ovviamente era ingegnere e aveva uno studio.Un caso isolato di furbetteria? Noooo uno come taaaanti. E potrei continuare....

• Ciao a tutti. Io non dico che gli insegnanti debbano fare poche ferie, pero' sarebbe tutto più semplice (per noi genitori, soprattutto per chi come me ha una bimba piccola) se le scuole tenessero un'apertura anche nei mesi estivi (magari facendo dei gruppi di studio, facendo "turnare"gli insegnanti in modo da tenere le scuole aperte ed evitarci gravosissime spese di baby- sitting.

• Troppe...si troppe ferie ai prof...vedi le ultime festività ...natale ..fine anno ecc...ma chiudiamole le scuole.... tanto oggi i bambini nascono già "imparati" e se qualcuno si sente un pò "indietro" c'è comunque la play station game boy i canali di pupazzi di sky ..senza dimenticare poi la "TELEVISIONE" pip baud,striscia, grande fratello,amici...nemici...ecc ecc...viva l'Italia!!

• Troppe ferie,troppa ignoranza, e troppe "musse" cioè troppe chiacchiere e perdite di tempo con progetti e storielle che non adducono a nulla e poco hanno a che fare con l'insegnamento, a messo che questi abbiano qualcosa da insegnare. Pagati poco e male e pur ci vanno, vuol dire che meglio non hanno, o non possono avere e allora cosa possono dare .

• Parliamo delle maestre delle scuole elementari? Loro non hanno di certo gli esami di maturirà che li impegnano fino a metà luglio...Mia zia è maestra ed è a casa luglio e agosto con obbligo di non potersi spostare perchè potrebbero chiamarla a lavoro per sistemare carte o altro (cosa che però non capita MAI quindi di fatto sta a casa due mesi) più le vacanze di natale, pasqua, carnevale. Sono gli insegnanti a lamentarsi sempre...mentre tutti i comuni lavoratori hanno 20 giorni di ferie tutto l'anno e stop.

• un 'insegnante a quanto so io quadagna 1500 euro/mese per 14 mensilità , fa tre mesi di ferie e le ore settimanali in cui insegna/corregge compiti/non sono sicuramente 40 .(poi da aggiungere 1500 se una lo fa a milano la cifra con il rapporto costo della vità è quella , ma se una è prof. al sud è come se in proporzione prendesse 2400 euro /mese). poi una volta un proff mi ha detto "ma noi dobbiamo fare corsi di aggiornamento ...." , e perchè noi dipendenti o operai non dobbiamo costantemente aggiornarci per stare al passo con i tempi ??? i professori vanno bene perchè sono attaccati alla grossa mammella dello stato . punto

CONTINUA

Obbligo di frequenza

Mi piace segnalarvi in questo mio post una trasmissione radiofonica che va in onda su "Radio 24" la radio de "Il sole 24 ore".
La trasmissione si intitola "Obbligo di frequenza" e ha come sottotitolo: "Uno sguardo ai cambiamenti e alle novità della scuola".
Questo è il suo obiettivo:
Una volta si sceglieva un liceo, una facoltà universitaria e il gioco era fatto: famiglie e studenti sapevano cosa li aspettava. Ora non è più così: la scuola è molto cambiata e la rivoluzione non è ancora finita. “Obbligo di frequenza” tutte le domeniche vi aiuta ad approfittare delle nuove offerte.
La cosa interessante di questa radio, come d'altronde anche di altre, è che si possono scaricare i suoi contenuti in formato mp3 ed ascoltarli col computer o con un qualsiasi lettore di mp3.
In particolare vi voglio segnalare la trasmissione andata in onda il 26 settembre 2009 dal titolo "L'hard disk è un gruppo rock".
Un amore contrastato quello dei prof per le tecnologie. Secondo un'indagine Edutech, quasi il 70 per cento dei prof usa abitualmente un computer, ma non va molto oltre. E proprio il gap tecnologico crea disagio negli insegnanti nel rapporto con i ragazzi. Lo rivela uno studio della Fondazione Agnelli.
Link:
Home page della trasmissione
http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=Obbligo_di_frequenza
puntata che potete scaricare
http://www.radio24.ilsole24ore.com/radio24_audio/090926-obbligo-di-frequenza.mp3

In Francia corsi di Autorità per i Professori per gestire alunni difficili

Da quest’anno i professori francesi potranno iscriversi al “corso di Autorità” per imparare a gestire gli alunni più indisciplinati. L’iniziativa è stata lanciata da un docente che insegna nelle Banlieue, ben conosciuti quartieri alla periferia di Parigi che, evidentemente, scampato agli alunni di quel contesto molto problematico, ha pensato di condividere questa sua “metodologia” con altri insegnanti.

A me questa iniziativa fa piacere per due motivi: il primo è che fa nascere in me la speranza che possa esistere una ricetta miracolosa per gestire gli alunni più indisciplinati; la seconda perché finalmente si parla di disciplina e si fa qualcosa di concreto per affrontarla, per il momento in Francia ma, se funzionerà, c’è da scommettere che arriverà anche in Italia.

Il ministero dell’Educazione francese ha già dato il suo benestare per una prima serie di dieci lezioni. Obiettivo è ottenere rispetto dagli alunni, stabilire il comportamento da tenere in classe, saper impartire la buona educazione.

Nuove fasce di reperibilità nella P.A. per le assenze per malattia, L’opinione di Massimo Argenziano, dell'Università degli studi di Genova

A settembre le assenze per malattia dei dipendenti pubblici segnano +24,2%

Il ministro della Pubblica amministrazione e l'Innovazione, Renato Brunetta, ha presentato, il 29 ottobre scorso, la rilevazione sulle assenze per malattia dei dipendenti pubblici del mese di settembre. I dati del monitoraggio indicano un incremento a doppia cifra delle assenze per malattia rispetto allo stesso mese del 2008: +24,2% (+19,4% per le assenze superiori a dieci giorni).
Il dato esprime una tendenza già evidenziata con la rilevazione di agosto (+16,7%), che non può sorprendere ove si pensi che il rapporto percentuale esprime la relazione tra valori, settembre 2008-settembre 2009, che si collocano in una fase successiva all'applicazione delle misure di contrasto all'assenteismo di cui al Dl n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, mentre fino al luglio 2009 il confronto era tra "pre" e "post" riforma.

L'"effetto annuncio"
Il ministero che, comunque stima una riduzione complessiva delle assenze nel primo anno di applicazione della legge n. 133/2008 pari al 38% (riferito al complesso delle amministrazioni pubbliche, ad esclusione dei comparti Scuola, Università e Pubblica sicurezza), ci offre una lettura semplificata del fenomeno:
• il forte decremento registrato nel primo anno di applicazione della riforma è dovuto in parte al c.d. "effetto annuncio" che avrebbe "spinto le assenze sotto i livelli fisiologici" (che vuol dire che molti lavoratori pubblici hanno reso la propria prestazione lavorativa in stato di malattia);
• l'opera intrapresa, limitando l'uso distorto delle assenze, garantisce la stabilizzazione dei valori su un livello più basso rispetto a quello precedente;
• le variazioni più o meno intense sono la conseguenza di fenomeni epidemiologici, ovvero di ripresa dei comportamenti opportunistici.
Le fasce di reperibilità ripristinate dal Dl "78"
I valori delle ultime rilevazioni sono ritenuti troppo elevati per rappresentare un assestamento fisiologico, d'altronde di difficoltosa quantificazione, o una maggiore esposizione a fenomeni epidemiologici, ma semmai vengono considerati il risultato della modifica delle fasce di reperibilità avvenuta nel mese di luglio 2009 (Dl n. 78/2009, convertito dalla legge n. 102 del 3 settembre 2009), che "può aver agito sulla probabilità di un uso distorto della malattia".
Ai fini dell'effettuazione dei controlli, il dipendente pubblico era, infatti, tenuto a osservare fasce orarie di reperibilità (8.00-13.00 e 14.00-20.00) più ampie di quelle previgenti ed applicate all'universo del lavoro dipendente.
Il citato decreto legge n. 78/2009, ripristinando le fasce orarie (10.00-12.00 e 17.00-19.00) entro le quali devono essere effettuate le visite di controllo, avrebbe creato l'"occasione" per il ritorno all'abuso dell'istituto.

Le misure previste dal Dlgs "150"
A tale segnale di una ripresa dei comportamenti opportunistici il ministro Brunetta intende rispondere rilanciando l'azione di contrasto all'assenteismo attraverso l'ampio strumentario dissuasivo previsto dal recente Dlgs n. 150/2009, attuativo della legge delega n. 15/2009.
In particolare, le novità annunciate dal ministro per la Pubblica amministrazione e l'innovazione riguardano:
• l'invio per via telematica dei certificati medici, ad opera del medico o della struttura sanitaria pubblica, all'Inps. L'Inps a sua volta li invierà, sempre per via telematica, all'amministrazione di appartenenza del lavoratore. Sono applicate sanzioni in caso di inosservanza degli obblighi di trasmissione telematica;
• l'obbligo, in caso di assenze protratte per più di 10 giorni e dopo il secondo evento, di avere un certificato della struttura sanitaria pubblica o del medico convenzionato con il Ssn;
• l'attribuzione al ministero per la Pubblica amministrazione e l'innovazione del compito di fissare le fasce orarie di reperibilità. Con decreto verranno introdotte fasce orarie più lunghe di quelle vigenti (9.00-13.00 e 15.00-18.00) , ma verranno contestualmente previste alcune eccezioni rispetto all'obbligo di reperibilità in considerazione di particolari patologie o situazioni;
• la responsabilizzazione del dirigente nell'applicazione delle disposizioni che contrastano l'assenteismo, con sanzioni disciplinari nel caso di mancata vigilanza (decurtazione della retribuzione di risultato o mancata attribuzione della stessa, sospensione dal servizio con privazione della retribuzione);
• l'introduzione di sanzioni disciplinari, amministrative e penali (licenziamento disciplinare, multa e reclusione) per il dipendente nel caso di falsa attestazione della presenza o di certificazione medica falsa;
• l'applicazione al medico che attesta il falso di sanzioni disciplinari, penali e amministrative (radiazione dall'albo, licenziamento se dipendente di struttura sanitaria pubblica o decadenza della convenzione con il Ssn, reclusione e multa).

Considerazioni critiche
Su alcuni di questi provvedimenti, la cui efficacia ed effettività dovrà essere verificata a regime, ho già espresso perplessità in sede di commento al decreto delegato .
L'intenzione di voler procedere a innalzare nuovamente le fasce orarie, portandole a 7 ore giornaliere, merita invece un approfondimento.
Intanto, non pare agevolmente apprezzabile il diretto collegamento tra la riduzione delle fasce orarie operata con la succitata manovra estiva e il consistente aumento delle assenze nei mesi di agosto e settembre.
A dire il vero in materia il Dl n. 78/2009 andava oltre la ridefinizione della reperibilità, abrogando il co. 5 dell'art. 71 della legge n. 133/2008, che disponeva che "le assenze dal servizio dei dipendenti di cui al comma 1 non sono equiparate alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa […]".
Seguendo il filo logico del ragionamento del ministro, la rimozione di questa sostanziosa penalizzazione economica avrebbe dovuto stimolare opportunismi tra i dipendenti pubblici, mentre i dati del monitoraggio mostrano addirittura un ulteriore decremento delle assenze per motivi diversi dalla malattia, - 2,4%, e per le assenze superiori a dieci giorni per malattia è dato registrare un valore percentuale contenuto rispetto al totale delle assenze.
La "leva" della reperibilità sconta poi una sostanziale inadeguatezza quale elemento dissuasivo: in presenza di fasce più ampie, maggiori sono le possibilità per il lavoratore di addurre giustificati motivi di assenza dal proprio domicilio.
Difatti, per consolidato orientamento giurisprudenziale, l'assenza al controllo non è sanzionabile in presenza di stato di necessità, forza maggiore o un serio e fondato motivo determinante un ragionevole impedimento ad adempiere all'obbligo di rendersi reperibili al controllo. Ovviamente, l'assenza del lavoratore è legittima quando il differimento della stessa oltre le fasce di reperibilità può creare pregiudizio per un apprezzabile interesse meritevole di tutela.
In buona sostanza, l'ampliamento delle fasce in sé non costituisce un'azione incisiva nella politica di riduzione dell'assenteismo. Tuttavia, non è revocabile in dubbio come interventi immediati e diretti di questo tipo, di cui vengono esaltati gli aspetti sanzionatori e repressivi, incontrino un largo favore nell'opinione pubblica determinando quello che lo stesso ministero definisce "effetto annuncio", con positive ricadute in termini di contenimento del fenomeno.
Si tratta, peraltro, di azioni i cui effetti hanno una tenuta limitata nel tempo, quando non adeguatamente sorretti da interventi articolati e complementari. Da questo punto di vista si deve notare come la cura adottata e ad oggi prescritta per contrastare l'assenteismo sia ancora di tipo sistemico e sintomatico, mancando di una adeguata attività di anamnesi in grado di disaggregare e di analizzare dati che presentano apprezzabili differenze non solo tra amministrazioni o macro-aree geografiche, ma anche a livello di ogni singola amministrazione.

Conclusioni
L'assenteismo è un fenomeno complesso che si manifesta attraverso differenti modalità, dall'eccessivo uso dei permessi retribuiti alle sistematiche assenze per malattia ed infortunio, dall'utilizzo di aspettative e permessi per motivi personali e familiari all'assenza dal servizio "sotto timbro" o alla mancanza sistematica di puntualità o di rispetto dell'orario minimo di lavoro, e che non può essere ridotto ad un rapporto tra la volontà fraudolenta del lavoratore e la carenza di controlli.
Non si vuole in questa sede negare l'apprezzabile risultato ottenuto dalle politiche governative di contrasto, ma si desidera porre l'accento sulla necessità di compiere un salto di qualità con un'azione più mirata ed equa, indirizzata ad isolare ed eliminare gli agenti patogeni prima ancora degli effetti da questi procurati.
Non è superfluo ricordare quale complessità di aspetti sociologici ed ambientali sia collegabile al comportamento dei lavoratori, ed alla relazione tra essi e le amministrazioni, e come interagiscano le condizioni di lavoro complessive.
Formazione, mobilità, elasticità negli orari di lavoro, motivazione, coinvolgimento nei processi decisionali, gratificazione economica e professionale, finanche attività sociali, microclima e salubrità dell'ambiente di lavoro, si sono dimostrati fattori essenziali nel migliorare le condizioni lavorative limitando i conflitti psicosociali che sono alla base del deterioramento delle relazioni tra lavoratore e impresa.
Forse allora l'incremento dell'assenteismo evidenziato nel documento presentato a Palazzo Vidoni, più che stimolare una reazione immediata e ripetitiva, dovrebbe insinuare il dubbio circa la validità di interventi, repressivi, punitivi, unilaterali, centralistici ed indiscriminati, i quali equiparando essenzialmente l'assenza all'assenteismo, potrebbero paradossalmente peggiorare la situazione per il loro impatto sugli aspetti motivazionali.
Affrontare viceversa le cause scatenanti, anche tramite progetti di brainstorming che enfatizzino la complementarietà tra i diversi ruoli, dirigenti, lavoratori e rappresentanze sindacali, in modo cooperativo e reticolare, anche potrà nel tempo circoscrivere il fenomeno consentendo l'adozione di misure più appropriate, condivise e funzionali ad ottenere risultati strutturali, stabili e duraturi.

fonte: Guida al Pubblico impiego n. 11/2009


Video clip sulla Lavagna Interattiva Multimediale

Mi piace iniziare la mia collaborazione a "Tuttoprof" con un a serie di video sulla Lim, che a mio giudizio sarà la tecnologia su cui dovremo confrontarci nel futuro immediato.
Ringrazio Ipnos, ospite di questo blog, per lo spazio che gentilmente ci concede.
Una serie di video dedicati alla lim e al suo uso reperiti su youtube.
Qusto post verrà aggiornato ogniqualvolta troverò video interessanti sulla lavagna.
Buona visione.
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Il Prof. Duccio Troller a Che Tempo Che Fa

Il Prof. Duccio Troller, alias Antonio Albanese, ospite a Che Tempo che fa di Fazio. Per iniziare il Blog ridendo un po' di noi stessi.