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Che fine ha fatto il "Patto tra Generazioni"?

L'articolo seguente, di poco più di un anno fa, è tratto da Tecnica della Scuola e riguarda il cosiddetto "Patto tra Generazioni". E' data per certa la sua attuazione, si parla anche di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Poi....? Perché non rilanciarlo?
  L'unico cambiamento che farei è la sostituzione del termine "staffetta", ormai "bruciato" ed anche inappropriato, con "condivisione". In effetti "Condivisione Generazionale" identificherebbe meglio tutta l'operazione.

RECLUTAMENTO, ARRIVA IL PATTO TRA GENERAZIONI: PART-TIME AGLI “ANZIANI”, LARGO AI GIOVANI
di Alessandro Giuliani
11/12/2012
I lavoratori prossimi alla pensione potranno ridurre l’orario ed aprire le porte ad uno "nuovo". Lo Stato si farà carico del differenziale contributivo da versare all`Inps. Il decreto in Gazzetta Ufficiale, dopo il via libera della Corte dei Conti e la suddivisione delle quote regionali. Una possibilità che nella scuola, dove spesso la stanchezza prende il sopravvento, sarebbe sicuramente bene accolta.
La disoccupazione si può combattere in tanti modi. Anche alleggerendo il carico di ore di attività professionale dei lavoratori prossimi alla pensione. E cedere la quota di lavoro settimanale ai giovani. Un po’ alla chetichella, senza troppi annunci, il progetto ha trovato compimento. Si tratta del decreto del ministero del Lavoro sul patto tra generazioni, approdato in questi giorni in Gazzetta Ufficiale e che ora entra nella fase operativa, dopo aver incassato il via libera dalla Corte dei Conti e dopo che sono state stabilite anche le quote regionali per la sua attuazione.
L’obiettivo del legislatore è semplice: coniugare l`occupazione giovanile e la salvaguardia dei lavoratori giunti a ridosso dal lasciare l’occupazione. Così, quella che si realizzerà dovrebbe essere una vera e propria “staffetta” tra i lavoratori più maturi e quelli lasciati sino ad oggi ai margini dell’occupazione per mancanza di spazio.
Il meccanismo è semplice: coloro che sono prossimi alla pensione potranno accedere (volontariamente) al part-time e lasciare dunque una parte del proprio lavoro a un giovane, in cambio dell`assunzione da parte delle aziende di quest`ultimo a tempo indeterminato. Anche se all’inizio solo nella veste di apprendisti.
Per agevolare l’operazione, le aziende beneficerebbero di un contributo statale: sarà infatti il soggetto pubblico a farsi carico del differenziale contributivo da versare all`Inps a favore del lavoratore anziano, in modo da non nuocere sulla sua copertura previdenziale. Il lavoratore, quindi, avrà uno stipendio ridotto, in proporzione al numero di ore che svolgerà in meno settimanalmente. Ma la scelta non inciderà negativamente sulla pensione.
Il Decreto prevede, quindi, ben cinque attori attivi: i soggetti pubblici, gli enti previdenziali, le aziende, i lavoratori anziani e quelli giovani. Tra i vincoli previsti che quello che i numeri degli impiegati non si sbilanciato in negativo. In pratica, per ogni pensionando che andrà in part time dovrà corrispondere un giovane da assumere come apprendista.
Soddisfatto il ministro del Lavoro, Elsa Fornero:"L'idea di un patto fra generazioni è certamente una prospettiva, anche etica, di grande respiro, che si auspica possa in futuro sostenere azioni concrete per disegnare una società più equa e più inclusiva". E così "si assicura la salvaguardia dei livelli di occupazione per le nuove generazioni e si mantengono condizioni di reddito accettabili per le fasce di popolazione meno giovani".
Tra i sostenitori del decreto c’è il presidente di Italia Lavoro, Paolo Reboani. Secondo cui con la pubblicazione in gazzetta del decreto ministeriale sul patto tra generazioni si supera "finalmente, la sterile opposizione tra giovani e anziani nel mondo del lavoro: il progetto ha un`importante valenza etica e sociale" e "potrà essere un modello anche per risolvere il problema di una parte degli esodati, se valutiamo che secondo i nostri calcoli con 40 milioni di euro potremo avere 3.000 nuovi assunti e un numero corrispondente di lavoratori accompagnati alla pensione in modo produttivo".

Il mondo della scuola, dove a “spingere” per trovare un’occupazione stabile sono diverse decine di migliaia di docenti e Ata e nel contempo vi sono altrettanti lavoratori avanti con gli anni stanchi ed esausti, dovrebbe guardare con interesse ad un modello del genere. Moltissimi dipendenti prossimi alla pensione, con un numero di anni di servizio tra i 30 e i 40 anni, rinuncerebbero probabilmente volentieri ad una parte del loro stipendio in cambio di un alleggerimento del carico di lavoro. La riduzione di stipendio, inoltre, verrebbe parzialmente compensata dal fatto che l’assegno mensile, dopo tanti anni di lavoro, è in genere del 30-40% maggiorato rispetto a quello dei colleghi più giovani. Il problema è che lo Stato, soprattutto in questo momento di crisi finanziaria, non sarebbe in grado di sopportare la copertura previdenziale per un numero troppo alto di lavoratori. E se allora si pensasse di dare questa possibilità almeno ai 3-4mila rimasti penalizzati dalla riforma pensionistica? Per i cosiddetti “Quota 96” non si tratterebbe di certo della soluzione. Ma almeno si ridurrebbe la portata del danno subito.


Cos'è il CLIL?

Il CLIL (Content and Language Integrated Learning) è un approccio didattico di tipo immersivo che punta alla costruzione di competenze linguistiche e abilità comunicative in lingua straniera insieme allo sviluppo e all’acquisizione di conoscenze disciplinari.
L'approccio CLIL ha infatti il duplice obiettivo di focalizzarsi tanto sulla disciplina insegnata che sugli aspetti grammaticali, fonetici e comunicativi della lingua straniera.
Viste le sue caratteristiche, il CLIL sviluppa nello studente:
  • Una maggiore fiducia nella proprie capacità comunicative nella lingua straniera target
  • competenze linguistiche più spendibili, specialmente in attività pratiche
  • Maggiore apertura e disponibilità alla mobilità nell'istruzione e nel lavoro
Per maggiori informazioni, potete scaricare la circolare riguardante l’avvio delle attività di formazione dei docenti di disciplina non linguistica (DNL) in lingua straniera secondo la metodologia CLIL.

Cos'è il Cooperative Learning?

Il Cooperative Learning costituisce una specifica metodologia di insegnamento attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. L’insegnante assume un ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività, strutturando “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un processo di “problem solving di gruppo”, conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti.
Tali obiettivi possono essere conseguiti se all’interno dei piccoli gruppi di apprendimento gli studenti  sviluppano determinate abilità e competenze sociali, intese come un insieme di “abilità interpersonali e di piccolo gruppo indispensabili per sviluppare e mantenere un livello di cooperazione qualitativamente alto”
PRESUPPOSTI TEORICI-PEDAGOGICI
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Il Cooperative Learning è un metodo didattico in cui gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi per raggiungere obiettivi comuni, cercando di migliorare reciprocamente il loro apprendimento. Tale metodo si distingue sia dall’apprendimento competitivo che dall’apprendimento individualistico e, a differenza di questi, si presta ad essere applicato ad ogni compito, ad ogni materia, ad ogni curricolo. 
Il lavoro di gruppo non è una novità nella scuola, ma la ricerca dimostra che gli studenti possono anche lavorare insieme senza trarne profitto. Può infatti accadere che essi operino insieme, ma non abbiano alcun interesse o soddisfazione nel farlo. Nei gruppi di apprendimento cooperativo, invece, gli studenti si dedicano con piacere all’attività comune, sono protagonisti di tutte le fasi del loro lavoro, dalla pianificazione alla valutazione, mentre l’insegnante è soprattutto un facilitatore e un organizzatore dell’attività di apprendimento.
Quali vantaggi presenta?
Rispetto ad un’impostazione del lavoro tradizionale, la ricerca mostra che il Cooperative Learning presenta di solito questi vantaggi:
  • Migliori risultati degli studenti: tutti gli studenti lavorano più a lungo sul compito e con risultati migliori, migliorando la motivazione intrinseca e sviluppando maggiori capacità di ragionamento e di pensiero critico;
  • Relazioni più positive tra gli studenti: gli studenti sono coscienti dell’importanza dell’apporto di ciascuno al lavoro comune e sviluppano pertanto il rispetto reciproco e lo spirito di squadra;
  • Maggiore benessere psicologico: gli studenti sviluppano un maggiore senso di autoefficacia e di autostima, sopportano meglio le difficoltà e lo stress.
 Che cosa rende efficace la cooperazione ?
I cinque elementi che rendono efficace la cooperazione sono:
  • L’interdipendenza positiva, per cui gli studenti si impegnano per migliorare il rendimento di ciascun membro del gruppo, non essendo possibile il successo individuale senza il successo collettivo;
  • La responsabilità individuale e di gruppo: il gruppo è responsabile del raggiungimento dei suoi obiettivi ed ogni membro è responsabile del suo contributo;
  • L’interazione costruttiva: gli studenti devono relazionarsi in maniera diretta per lavorare, promuovendo e sostenendo gli sforzi di ciascuno e lodandosi a vicenda per i successi ottenuti;
  • L’attuazione di abilità sociali specifiche e necessarie nei rapporti interpersonali all’interno del piccolo gruppo: gli studenti si impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella creazione di un clima di collaborazione e fiducia reciproca. Particolare importanza rivestono le competenze di gestione dei conflitti, più in generale si parlerà di competenze sociali, che devono essere oggetto di insegnamento specifico;
  • La valutazione di gruppo: il gruppo valuta i propri risultati e il proprio modo di lavorare e si pone degli obiettivi di miglioramento.
L'efficacia della metodologia cooperativa è data inoltre dal supporto di alcuni comportamenti e valori specifici.
All'interno di questo quadro generale, le diverse interpretazioni del principio di interdipendenza e delle variabili più significative nell'apprendimento (interazione, motivazione all'apprendimento, compito e ruolo dell'insegnante) hanno originato lo sviluppo di diverse correnti o modalità di Cooperative Learning.
Attualmente i maggiori gruppi di ricerca sul Cooperative Learning sono quelli di D. Johnson e R. Johnson alla University of Minnesota di Minneapolis, quello di R. Slavin alla Johnns Hopkins University di Baltimora e quello di S. Sharan alla Tel Aviv University di Tel Aviv.
Alcuni aspetti del Cooperative Learning sono ancora oggetto di discussione e di approfondimento: la situazione dei più dotati, l'inserimento di alunni con handicap grave, le modalità in relazione a specifici obiettivi trasversali, la possibilità di sviluppare questo metodo combinandolo con altri e con l'uso delle nuove tecnologie.
E' importante che anche in Italia questa metodologia continui ad essere approfondita, studiata e sviluppata e che non diventi una nuova moda che prima crea entusiasmo e poi viene presto accantonata per una presunta inefficacia dovuta più a un'inadeguata applicazione che non al metodo in sé.
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Cooperative learning, USA
Sintesi: Nel corso del 2000 si è aperto, in USA, un dibattito su come condurre le lezioni in classe e la conseguente disposizione degli arredi.





Nelle scuole statunitensi sembra emergere la tendenza a disporre i banchi a cerchio o a ferro di cavallo, oppure divisi in tanti quadrati o triangoli per 4 - 6 alunni ognuno. Nel primo caso, l'insegnante sta al centro, nel secondo si sposta da un gruppo all'altro. In certe scuole, la disposizione dei banchi, cambia più volte al giorno a seconda degli insegnanti o delle materie. E non mancano le classi dove anziché banchi si trovano tavoli, o dove i ragazzi siedono a terra sul tappeto.
Una rivoluzione che suscita perplessità in molti genitori e apre dibattiti alla radio, tv e nei giornali. Il cambiamento è cominciato una decina di anni fa e pare che le classi con i banchi in fila siano ora una minoranza. Il merito, o la colpa, vine attribuito a un discusso metodo di insegnamento, il "Cooperative learning" (imparare collaborando) praticato in circa il 60% delle scuole americane. Sebbene non sia dimostrato, esso vuole che gli allievi studino di più e meglio se distribuiti in piccoli gruppi di 4-6 appunto.
Christine Mosteller, una professoressa di storia di Washington, caldeggia la nuova disposizione dei banchi. "Le file tradizionali - afferma - avevano un che di militaresco, erano un simbolo di disciplina, come le uniformi. Falsavano il rapporto tra i ragazzi e gli insegnanti. Con i banchi disposti in modo diverso, cresce la partecipazione degli alunni". Al contrario, Anthony Navarro, il preside del liceo Mount Harmony nel Maryland, insiste sulle file: "E' l'unico modo per l'insegnante di vedere tutti gli allievi e di tenerne avvinta l'attenzione. Il nuovo metodo è caotico, e nei compiti in classe favorisce i disonesti".
Il direttore del "Cooperative learning center", il professore Roger Johnson dell'università del Minnesota, sostiene che, "non più ostaggi delle file, i ragazzi imparano il lavoro di squadra, soprattutto se divisi in gruppi". A suo parere, "questo metodo è molto più fruttifero". Johnson ritiene addirittura che la disposizione dei banchi debba cambiare con le materie "perché ciascuna richiede un diverso ambiente". Gail Womble, la direttrice didattica delle elementari Rachel Carson in Virginia, è invece dell'avviso che sia controproducente: Si formano caste di studenti - obbietta -, i più bravi in un gruppo, i meno bravi in un altro. Molti restano indietro. E si creano ostilità tra i capi gruppo".
Ma che cosa ne pensano i ragazzi? Il Washington Post ne ha intervistati alcuni, e ha scoperto che sono spaccati in due, come gli insegnanti. Justine Hoy, della media Takoma Park, preferisce il nuovo metodo: "Ci si aiuta a vicenda, ed è importante: quando le classi sono numerose, i professori non riescono a fare tutto". Ma Paul Brown, della media Dear Park, si lamenta: "Nel nuovo metodo le distrazioni abbondano, forse ci si diverte di più ma certamente si studia di meno". Ed è il giudizio di molti genitori.
Ma non è finita. Molti medici si oppongono alla disposizione dei banchi in quadrati o in triangoli perché i 4-6 alunni sono costretti a girarsi per seguire l'insegnante o guardare la lavagna, spesso per periodi assai lunghi.
E la dottoressa Kathleen Finch della Clinica di Bethesda, la clinica dei presidenti, teme che i ragazzi prendano il torcicollo. La soluzione? "L'unica saggia alternativa alle file - dice - è il ferro di cavallo"
 Insegnare a studenti con problemi attraverso metodologie differenziate di gestione della classe
I PROBLEMI SU CUI INCIDERE
"Questi ragazzi non hanno voglia di studiare"; "I ragazzi non sanno comunicare, spiegare bene le cose, esprimere in modo chiaro le loro idee ..."; "Sono molto egocentrici ed immaturi..."; "Sono poco scolarizzati, non stanno attenti, sono indisciplinati e, oggi più di ieri, si muovono in continuazione..."; "E' difficile individualizzare l'apprendimento quando ti trovi a lavorare con alunni portatori di problemi così diversi tra loro: c'é chi é isolato, chi vuole prevalere sugli altri, chi é in costante ritardo nei ritmi di apprendimento e chi si confronta con un ideale talmente perfetto che non porta mai a termine il lavoro ....."; "Vorrei trovare delle soluzioni didattiche più efficaci ma è difficile farlo da soli, così come é arduo riuscire a concordare qualche intervento con i colleghi...".
Se raccogliamo le impressioni dei ragazzi invece  sentiamo dire: "Questa materia é proprio noiosa ..."; "... l'insegnante dice tante cose, ma dimentica di insegnarci a studiare ..."; "Questa scuola è troppo difficile!"; "Meglio cercarsi un lavoro ben pagato che continuare a perdere tempo solamente per avere il pezzo di carta".
Queste possono essere un campione di affermazioni e percezioni che insegnanti e studenti nutrono nei confronti della scuola e dell'apprendimento. Esse fanno riferimento a problemi di comportamento, di mantenimento della disciplina, di motivazione, di impegno responsabile verso i compiti scolastici, insoddisfazione professionale, di disagio verso la scuola.
Questi sono solo alcuni dei problemi che, ogni giorno, insegnanti ed alunni si trovano a vivere sulla loro pelle e che, se non affrontati, portano al “burn out” dei docenti e al disagio e alla dispersione scolastica degli studenti.
Fin dove possono intervenire gli insegnanti curricolari, oltre a quello che abitualmente fanno per gestire la classe, per agire con efficacia anche nei confronti di quegli alunni non "certificati" ma considerati "problematici"?
Come é possibile intervenire dando risposte individualizzate lavorando con classi composte da più di 20 studenti?
Qual é il ruolo dell'insegnante di classe in relazione a quello di insegnanti di sostegno, di consulenti esterni dell'A.S.L., di eventuali figure di psicopedagogisti o psicologi scolastici presenti nell'istituzione, di assistenti sociali o altro personale della scuola?
Fino a che punto il rapporto con le famiglie diventa un tassello essenziale della gestione di situazioni problema e chi lo deve gestire?
Quali metodologie / strategie di insegnamento possono essere utili attuare per gestire situazioni problema sempre più variegate?

IL RUOLO DELL'INSEGNANTE
 Ci sembra che agli insegnanti possano essere affidate alcune funzioni fondamentali:
1. quella di istruire, cioè di aiutare gli allievi ad acquisire padronanza di abilità e di conoscenze disciplinari;
2. quella di condurre la classe, cioè di definire regole e procedure, tenendo costante l'attenzione e la partecipazione durante la lezione;
3. quella di socializzare gli studenti e mantenere un buon clima di classe.
Spesso succede che non tutti gli studenti reagiscano in maniera positiva agli interventi di istruzione, gestione della classe o socializzazione e che sia necessario un lavoro suppletivo, che richiede ulteriori abilità.
Per rispondere agli interrogativi sovraesposti, infatti, sono necessarie la capacità di analizzare la situazione, di decodificare le diagnosi dei diversi specialisti, di condurre interviste finalizzate a raccogliere le informazioni utili alla costruzione di un piano di intervento.
Ma prima ancora é indispensabile l'apertura ad accorgersi che c'é un problema e che su questo problema é possibile intervenire efficacemente anche se risulta difficile; é vitale pensare che sia effettivamente possibile risolvere il problema e che il primo passo per fare ciò consista nell'affrontarlo, superando l'ansia, l'impotenza, l'inadeguatezza o la rabbia, che coglie chiunque di fronte ad una situazione nuova, complessa e stressante.

Daniela Pavan, Piergiuseppe Ellerani

fonte: edscuola.it

Gold: banca dati delle esperienze più innovative ed interessanti realizzate nelle scuole italiane di ogni ordine e grado

perché GOLD?
Scopo di GOLD è diffondere a beneficio di tutti il patrimonio di ‘conoscenza didattica’ prodotto dalle scuole - idee e strumenti realizzati in situazione ma trasferibili in contesti diversi.

per chi GOLD?
"Dalla scuola per la scuola": gli insegnanti alle prese con un problema didattico possono trovare in GOLD un aiuto a cui ricorrere. Consultando le banche dati GOLD regionali e nazionale, non solo entreranno in contatto con concrete situazioni simili alla loro, ma potranno usufruire di strumenti collaudati per risolvere il loro specifico problema.

come GOLD?
Tutte le scuole italiane, statali o paritarie, possono inserire le loro esperienze nelle banche dati regionali, che fanno riferimento ai Nuclei Regionali dell'Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell'Autonomia Scolastica (ex IRRE). I Nuclei Regionali assicurano la loro assistenza alle scuole sia nella fase di sviluppo dell’esperienza, sia nella fase della sua documentazione.

Le esperienze inserite sono poi segnalate da ciascun Nucleo Regionale a una Commissione Nazionale, che le valuterà sulla base di criteri condivisi all'interno del gruppo di lavoro GOLD.
Le migliori esperienze selezionate entrano a far parte dell’Archivio nazionale delle buone pratiche.

Una banca dati…ma non solo
Oltre alla banca dati delle esperienze didattiche, GOLD mette a disposizione degli insegnanti materiali e strumenti per diffondere e facilitare la pratica della documentazione nella scuola, ad esempio un ambiente di formazione specifico all'interno della piattaforma FOR.

Conviene la liquidazione anticipata del Tfr

Utile alternativa all’accensione di un finanziamento in caso di spese impreviste, l’acconto sulla liquidazione può permettere di far fronte a mutui sulla prima casa, spese mediche o esigenze personali d’altra natura non preventivate dal bilancio familiare. La possibilità di richiedere un anticipo sulla liquidazione è prevista per i lavoratori dipendenti del settore privato, che possono avanzare richiesta di acconto al proprio datore di lavoro.

La riforma del Tfr
Con l'entrata in vigore della riforma del "trattamento di fine rapporto", per chi ha optato per un fondo pensione la richiesta di anticipo di liquidazione risulta particolarmente conveniente. Situazione differente per il settore pubblico: la norma sugli anticipi della liquidazione vale in questo caso per gli assunti a tempo determinato a partire dal 30 maggio 2000 e a tempo indeterminato dal gennaio 2001. Gli altri operatori del pubblico impiego ricadono sotto al precedente regime del "trattamento di fine servizio" che non prevede l'anticipo di somme da parte del lavoratore.

Quali spese?

Acquisto della prima casa
In questo caso non ha rilevanza ai fini della concessione dell’anticipo che si tratti dell'abitazione del lavoratore, sia della moglie o dei figli, così come non ha alcuna rilevanza che la casa da acquistare sia vicina al luogo di lavoro del dipendente, l'importante è che l'immobile sia destinato ad abitazione dove normalmente egli vive.
Spese sanitarie
Per ottenere l'anticipo è necessario in questo caso che la struttura sanitaria pubblica accerti la necessità e la delicatezza dell'intervento, da un punto di vista sanitario ed economico. Non è rilevante che il trattamento sanitario possa o meno essere praticato anche nelle strutture pubbliche, tanto meno che il lavoratore abbia preventivamente pagato le cure: non è richiesto che si presentino fatture o preventivi, per quanto risulti in ogni caso opportuno fornirli.

Requisiti
La richiesta di liquidazione anticipata deve rispondere però ad alcuni fondamentali requisiti, valevoli sia nel caso in cui si sia aderito ai fondi pensione sia se il Tfr sia rimasto in azienda. Il lavoratore dovrà aver maturato almeno 8 anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda prima di poter far richiesta di anticipo e l’importo non potrà superare il 75% di quanto spettante a titolo di trattamento di fine rapporto maturato al momento della domanda (per i fondi pensione) ed il 70% per il Tfr rimasto in azienda. Nel caso dei fondi pensione la richiesta può essere ripetuta più volte per "ulteriori esigenze degli aderenti", passati otto anni dalla prima per un importo non superiore al 30% dell'accantonamento. Dal 2000, l'anticipo può essere concesso durante i periodi di congedi parentali e formativi. Nel caso in cui il Tfr sia rimasto in azienda però il datore di lavoro provvederà ad anticipare l'importo, a meno che il numero dei lavoratori che abbiano inoltrato una domanda analoga superi il 10% dei dipendenti che ne abbiano titolo o, comunque, il 4% del totale dei dipendenti.


Anno Sabbatico, che cos'è?

L'Anno Sabbatico può essere chiesto per motivi familiari, personali o per l’assunzione di particolari incarichi come quelli politici o sindacali. Lo può chiedere anche chi vuole concedersi una pausa per veder crescere i propri figli oppure chi decide di staccare la spina per concedersi a nuove esperienze extraprofessionali. Più facile a dirsi che a farsi però perché non sempre il datore di lavoro lo concede.
Per godere del “time-out” serve sempre il permesso del datore di lavoro, requisito che non sempre è facile ottenere, soprattutto in Italia dove la realtà è quella delle piccole e medie imprese con meno di 15 dipendenti. All’estero invece, soprattutto nei paesi anglofoni, la prassi di chiedere una pausa dal lavoro non solo per staccare la spina e abbandonare i colleghi dedicandosi a esperienze extraprofessionali, ma anche per viaggiare intorno al mondo o seguire un master, è abbastanza diffusa e prende il nome di “gap year.”
Nel nostro paese il cosiddetto “anno sabbatico” resta un’esperienza per lo più dei giovani appena laureati non ancora alla ricerca del primo impiego. In Italia la legge 53/2000 "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città" promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante:

- l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap;

- l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione;

- il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.

I dipendenti pubblici e privati con 5 anni di anzianità in un’azienda possono infatti chiedere una sospensione dal lavoro di 11 mesi per frequentare progetti di solidarietà come forme di volontariato o cooperazione internazionale e corsi di formazione, master e imparare una lingua straniera.
Il dipendente (salvo il caso di maternità e che il datore di lavoro decida di non concedere il periodo) non percepisce lo stipendio e non incrementa i contributi né l’anzianità di servizio.
Nel caso in cui il dipendente abbia 8 anni di anzianità di servizio allora può chiedere un anticipo del Tfr al fine di assicurarsi un fondo per le sue spese.
Lo stipendio spetta invece ai docenti universitari che ogni 10 anni hanno diritto ad un anno retribuito da dedicare alla ricerca scientifica e all’aggiornamento didattico.
Le aziende che concedono l'anno sabbatico possono assumere un “sostituto” con contratto a tempo determinato salvo poi riassumere il dipendente in caso di rientro.


Guida per gli insegnanti sulle Balbuzie


"... se Giovanni balbetta?" è la guida gratuita scaricabile dal sito informativo Balbuzie News dell'Associazione 'Vivere senza balbuzie".

Il testo e' destinato ai docenti, spesso non preparati per lavorare con ragazzi alle prese con questo tipo di difficoltà. A dare notizia del materiale presente on line e' l'Ansas, l'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica, che si occupa di formazione dei docenti. La guida nasce da un paradosso: se chiediamo a un ragazzo balbuziente in quale situazione e' sicuro di balbettare, quasi certamente risponderà che gli succede a scuola, magari durante le interrogazioni e nonostante una preparazione eccellente.


La scuola e' quindi molto temuta, eppure per gli insegnanti - figure chiave nella vita dei piu' giovani anche per la formazione dell'autostima - non e' prevista alcuna preparazione specifica su come affrontare la balbuzie dei propri alunni. Inoltre, ancora troppe volte questo problema viene confuso con la dislessia oppure collegato erroneamente a insicurezza o estrema sensibilità emotiva. La guida, a cura di Enzo Galazzo - docente ed esperto di balbuzie e rieducazione, nonché presidente dell'Associazione "Vivere senza balbuzie" - vuole quindi essere un concreto tentativo di sensibilizzazione sul tema.