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Pensione: gli italiani vorrebbero andarci a 57 anni

Gli italiani vorrebbero andare in pensione presto. Dall'indagine AXA Retirement Scope 2010 condotta da GFK Eurisko per il Gruppo AXA su scala mondiale merge infatti che i lavoratori vogliono andare in pensione presto, a 57 anni, e sono tra i piu' contrari nel mondo industrializzato ad alzare l'eta' minima pensionabile: dice di no il 69%, preceduto solo da Spagna (74%) e Germania (71%); l'idea di un possibile innalzamento dell'eta' minima pensionabile sta invece prendendo piede tra i giovani, consapevoli di dover andare in pensione piu' tardi rispetto ai loro predecessori. L'aumento della soglia dell'eta' pensionabile, le trasformazioni del welfare pubblico e la crisi economica sono tra le principali leve che spingono il risparmio degli italiani. Gli italiani si confermano tra i maggiori risparmiatori d'Europa: i lavoratori risparmiano in media 488 euro al mese (5857 Euro all'anno), mentre i pensionati 382 euro (4581 Euro all'anno), molto piu' che negli altri Paesi europei e al terzo posto nelle classifiche internazionali. Gli italiani risultano comunque meno preoccupati di quanto non fossero tre anni fa rispetto al proprio tenore di vita futuro nel periodo della pensione. La propensione al risparmio rimane una risorsa fondamentale per gli italiani grazie al loro approccio realistico, ma non emerge ancora un forte orientamento alla finalizzazione del risparmio privato a fini previdenziali. Rispetto alla precedente edizione di AXA Retirement Scope (rilevazioni effettuate nell'estate del 2007) gli italiani si dimostrano piu' sereni verso la pensione. Che lavori o sia gia' in pensione, la popolazione intervistata e' mediamente positiva quando pensa allo standard di vita in pensione: 6 lavoratori su 10 prevedono un reddito da pensione sufficiente; il 57% dei pensionati e' soddisfatto del proprio reddito, anche se il livello di soddisfazione varia a seconda della fascia di reddito di appartenenza. E' piuttosto positiva anche l'immagine della ''vita da pensionati'' degli italiani, i piu' ottimisti tra i Paesi coinvolti nella ricerca, in particolare i lavoratori: perche' si ha piu' tempo per prendersi cura di se' (90% dei lavoratori, 82% dei pensionati) o da trascorrere con la famiglie (89% dei lavoratori, 87% dei pensionati) o da dedicare all'impegno sociale e a progetti a carattere associativo (78% dei lavoratori, un dato composto per l'86% da donne; 65% dei pensionati). Meno ottimisti i pensionati, per cui spesso la pensione rappresenta una fase della vita legata a ristrettezze economiche (58%, di cui 67% sono donne) o a vecchiaia, malattia, dipendenza da terzi (59%). Per quanto riguarda il dettaglio del portafoglio degli italiani, i prodotti bancari hanno la maggiore diffusione (il 93% dei lavoratori e l'89% dei pensionati dichiarano di possedere un prodotto bancario), ma emerge una propensione alla diversificazione delle risorse finanziarie, in particolare attraverso prodotti assicurativi. Gli italiani risultano pero' meno previdenti rispetto alla media europea in termini di preparazione alla pensione, un trend in aumento rispetto al 2007. Solo un terzo dei lavoratori ha iniziato a prepararsi alla pensione, dato al di sotto della media europea (45%) e superiore solo alla Spagna. E il 40% iniziera' in un prossimo futuro. Le evidenze sono analoghe per i pensionati: il 27% ha iniziato a preparare il periodo della pensione durante il lavoro, e il 42% non lo ha fatto ma sostiene che avrebbe voluto. Qualcosa, comunque, nel nostro Paese sta cambiando. A livello generale le opinioni sulla capacita' delle istituzioni finanziarie di proteggere gli standard di vita durante il periodo della pensione sono piuttosto diversificate: abbastanza positive quelle dei lavoratori rispetto ai pensionati (51% vs 40%) e, fra i primi, dei giovani lavoratori rispetto a quelli di mezza eta' e quelli prossimi alla pensione, i cosiddetti ''End-Working'' compresi nella fascia dai 50 ai 64 anni (il 58% vs rispettivamente il 49% e il 43%).

fonte: Asca

Sible De Blaauw - Storia dell'Architettura Italiana, da Costantino a Carlo Magno

Nella periodizzazione tradizionale della storia dell'arte esiste un lungo intervallo oscuro tra l'architettura dell'età imperiale romana e quella del primo Medioevo. La vecchia tesi di un progressivo declino della cultura classica e di timidi accenni di rinascita nel primo Medioevo appare tuttavia superata da tempo. Piuttosto i concetti chiave di questo momento storico sono: continuità, cristianizzazione e innovazione. Fulcro di tale sviluppo è la creazione dell'edificio di culto cristiano, che si rivelerà poi uno dei temi più fecondi della storia dell'architettura europea. Ma anche il permanere del patrimonio monumentale ereditato dall'antichità e gli impulsi scaturiti dallo stanziarsi dei Longobardi, gli influssi bizantini e la nuova dimensione europea dell'impero carolingio caratterizzano questo periodo. Tutti questi argomenti sono nel presente volume oggetto di trattazione da parte di studiosi di fama internazionale. Si illustra la prima fioritura dell'edilizia chiesastica nei centri principali dell'Italia tardoantica: Roma, Milano e Ravenna e nelle altre città e territori dell'Italia settentrionale e meridionale. Si prende inoltre in esame la permanenza dell'eredità urbanistica e architettonica del mondo antico, sotto l'aspetto sia della continuità d'uso che dell'influenza esercitata come fonte di rievocazione e d'ispirazione. All'altra estremità della trattazione si profilano i nuovi abitati del primo Medioevo.

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Umberto Eco - il Medioevo - Barbari, Cristiani, Musulmani

Dal 476 all'anno Mille: dopo la caduta dell'Impero romano assistiamo al tramonto del mondo antico e al lento formarsi di un nuovo amalgama con i popoli barbari, al diffondersi del cristianesimo, alla costruzione del rapporto complesso con l'islam, tutti elementi attraverso i quali si iniziano ad abbozzare i tratti dell'Europa che verrà. Uno sguardo totalmente nuovo, limpido, vivace e insieme profondo, per leggere vicende ed eventi lontani, ma a noi vicini in molti imprevedibili modi. Umberto Eco, con la collaborazione dei più importanti medievisti delle diverse discipline, vi accompagna in un viaggio coinvolgente e sorprendente attraverso la società, l'arte, la storia, la letteratura, la musica, la filosofia, le scienze di questo periodo così intenso della storia della civiltà europea. Il libro contiene 80 tavole a colori fuori testo con iconografia e mappe cronologiche.
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Alberto De Bernardi, Luigi Ganapini - Storia dell'Italia Unita

Esattamente un secolo e mezzo fa l'Italia è diventata una nazione. Dopo il rinascimento, il nostro paese era stato relegato in un ruolo marginale: dopo l'unità, ha iniziato un percorso che l'ha portato tra le maggiori potenze economiche del pianeta. Sul fronte della modernizzazione e della ricchezza, i successi dell'Italia unita sono dunque numerosi e innegabili. Tuttavia la storia recente del nostro paese resta segnata da due grandi tragedie come il fascismo e la distanza tra Nord e Sud. "La storia dell'Italia unita" racconta così una vicenda problematica, ricca di luci ma anche di ombre. Il volume è articolato lungo cinque narrazioni parallele, che approfondiscono altrettanti aspetti fondamentali: la politica internazionale; l'evoluzione del sistema politico e gli eventi che l'hanno segnato, a cominciare dalle due guerre mondiali; il modello di sviluppo, con i due miracoli economici; l'evoluzione della società; l'identità del paese attraverso la cultura. Tenendo presente le diverse prospettive adottate via via dagli storici per leggere il "caso italiano", De Bernardi e Ganapini offrono così una ricostruzione della vicenda italiana che tiene conto della lezione del passato, ma si apre anche alle sfide del presente: un saggio che vuole intervenire nel discorso civile del paese con gli strumenti propri del "mestiere dello storico", evitando tanto la museificazione della memoria quanto le trappole del sensazionalismo.

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Gianpaolo Pansa - I Vinti non Dimenticano

"Quando pubblicai Il sangue dei vinti nell'ottobre 2003, venni linciato dalle sinistre. Tre anni dopo, nel 2006, per l'uscita di un altro mio lavoro revisionista, La grande bugia, fui aggredito a Reggio Emilia da una squadra di postcomunisti violenti. Perché i nipoti dei trinariciuti dipinti da Giovanni Guareschi mi inseguivano? I motivi erano soprattutto due. Avevo dato voce ai fascisti, obbligati dai vincitori a un lungo silenzio. E avevo posto il problema del Pci e del suo obiettivo nella guerra civile: fare dell'Italia un paese satellite dell'Unione sovietica. Oggi l'Urss non esiste più, anche il Pci è scomparso. Eppure le sinistre continuano a non accettare che si parli delle pulsioni autoritarie dei comunisti italiani e del loro legame con Mosca. E per sfida che nei Vinti non dimenticano ho scritto le pagine che mi ero lasciato alle spalle. L'occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e Fiume, guidata dal servizio segreto di Tito, con migliaia di deportati scomparsi nel nulla. La sorte delle donne fasciste, stuprate e poi soppresse. Le uccisioni di comandanti partigiani e di politici socialisti e democristiani che si opponevano al predominio comunista. La verità è sempre una chimera. Ma non si può cercarla quando si è accecati dalla faziosità politica. Nei Vinti non dimenticano ho rifiutato ancora una volta la storia inquinata dall'ideologia. Questo mi fa sentire un uomo libero, come lo sono i miei lettori." (G. Pansa)

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Donald Bloxham - Lo Sterminio degli Ebrei

Il saggio affronta la Shoah secondo una logica comparatista che passa in rassegna i fattori invarianti che attraversano la storia dei genocidi. Questo approccio non invalida o relativizza l'unicità della Shoah ma, inserendola in un quadro generale, ne evidenzia una logica storicopolitica e le conferisce una maggiore intelligibilità. Di tale quadro fanno parte i massacri verificatisi nel Caucaso ad opera del regime zarista, le guerre etniche-religiose della regione balcanica, i genocidi perpretrati dalle potenze imperialiste in Africa e nel sud-est asiatico, la distruzione degli armeni e, dopo Auschwitz, le pagine atroci che hanno continuato ad essere scritte in Asia come in Africa, ancora sotto i nostri occhi. Le analisi del volume consentono di intravedere una logica d'insieme e una coerenza strategica che lega tra di loro i fattori (economici, sociali, politici, culturali) che contrassegnarono il progetto di distruzione degli ebrei durante il nazismo. La Shoah diventa cosí un punto di precipitazione finale di una storia di lunga durata, quella dei genocidi, delle biopolitiche razziali e razziste, della polizia e della discriminazione etnica in cui un'intera civiltà risulta coinvolta.

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Sergio Romano - Le altre Faccie della Storia

I lettori del "Corriere della Sera" chiedono spesso, nelle lettere che inviano a Sergio Romano, informazioni su personaggi che hanno lasciato tracce importanti nella storia, pur non essendo stati protagonisti assoluti. Nelle sue risposte, Romano restituisce in poche decine di righe non solo i tratti essenziali di una personalità, ma anche dell'epoca in cui quei personaggi sono vissuti. Questo libro raccoglie, sapientemente rivisti e rielaborati, 100 di quei ritratti: da Margherita Sarfatti a Edgardo Sogno, da Gobineau teorico del razzismo a Dunant fondatore della Croce Rossa, dai gerarchi nazisti ai generali e diplomatici italiani. Il risultato è una galleria (in senso letterale: ciascuno dei 100 personaggi è illustrato con un medaglione in bianco e nero) che ci fa cogliere il senso della storia e delle azioni degli uomini e delle donne che hanno contribuito a farla.

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RIFORMA BRUNETTA. Cosa cambia dal 1° gennaio 2011 nella gestione della Pubblica Amministrazione

Dal "Quanto lo fai" al "Come lo fai" il sistema della valutazione della Performance.

"Se le regole si cambiano occorre farlo ad inizio del gioco e l’Inpdap è pronto a fornire dal prossimo mese di gennaio tutte le indicazioni per la valutazione 2011 dei dipendenti"

E’in dirittura d’arrivo la riforma Brunetta, vale a dire il decreto legislativo 150 del 2009. Le norme del decreto dal 1° gennaio 2011 devono essere applicate a tutte le amministrazioni pubbliche italiane. Esse coinvolgono tra l’altro il ciclo delle performance, la misurazione e valutazione dei singoli dipendenti e delle
strutture, la meritocrazia. Tutte indicazioni che obbligano le amministrazioni da un concetto di valutazione della prestazione ad un sistema di valutazione della performance.
Obiettivi strategici. In questo passaggio l’Inpdap si trova agevolato dal fatto che già da alcuni anni utilizza un ciclo di pianificazione, che obbliga tutta la struttura a lavorare per obiettivi strategici. Solo il raggiungimento di questi obiettivi, verificato a posteriori, autorizza il pagamento del compenso incentivante a quei dipendenti che hanno partecipato al raggiungimento dell’obiettivo.
Il passaggio ulteriore ora è quello di introdurre nell’architettura gestionale dell’Istituto un sistema di valutazione della performance individuale.
A regime ogni dipendente Inpdap verrà valutato non solo in base all’apporto dato al raggiungimento della performance della struttura a cui appartiene, ma anche in base al raggiungimento di obiettivi individuali legati a capacità, valori e competenze.
Premialità. Comprendo che possa sembrare un discorso puramente teorico, una specie di dissertazione
scolastica, parlare di meritocrazia e di incentivi economici dal momento che la legge 122/2010 (la cosiddetta
“manovra economica” di questa estate) ha stabilito che ogni dipendente non possa prendere un euro in più di quest’anno. In realtà uno spazio di manovra che ci permette di uscire dall’empasse esiste nella legge stessa, quando fa esplicito riferimento al «trattamento ordinariamente spettante» del 2010 e non più al «trattamento in godimento».
Nonostante questo articolo sia statoletto in molte occasioni come una sospensione della riforma Brunetta, per quanto riguarda la parte dei premi legati alla meritocrazia, noi abbiamo visto in questa piccola, ma importante, modifica una volontà del legislatore di mantenere intatta la riforma, proprio perché il trattamento ordinario e il trattamento accessorio sono due elementi differenti. La premialità non è legata all’ordinario.
Selezione e premio. Né si può pensare che il blocco dei contratt collettivi sancito dalla stessa “manovra
d’estate” possa rappresentare un vincolo all’introduzione dal 2011 di sistemi di valutazione della performance individuale, che assicurino il carattere selettivo e premiale alle erogazioni della contrattazione integrativa. Semmai la mancata stipula dei nuovi contratti collettivi nazionali può differire l’applicazione di altre disposizioni contenute nel decreto legislativo 150.
Mi riferisco, ad esempio, alla norma che impone di destinare alla produttività individuale la quota prevalente della retribuzione accessoria, o all’introduzione del bonus annuale delle eccellenze e del premio annuale per l’innovazione o, ancora, alla possibilità di distribuire le risorse della contrattazione integrativa sulla base della “graduatoria di performance” delle pubbliche amministrazioni.
E’ evidente che queste innovazioni presuppongono un intervento sull’ammontare e sulla struttura della retribuzione, che può essere attuato solo con i successivi contratti collettivi.
Su due fronti. In Inpdap abbiamo iniziato a ragionare sul concetto di performance individuale per tempo muovendoci su due fronti. Da un lato abbiamo realizzato una mappa di tutte le competenze dei dipendenti, sulla base della quale stabilire un percorso di miglioramento dei comportamenti organizzativi e di sviluppo delle competenze. Dall’altro lato abbiamo messo in piedi un sistema di valutazione della performance, legato congiuntamente alla struttura e al singolo dipendente.
Rispettando la scadenza del decreto 150 abbiamo concluso l’elaborazione del nostro piano di valutazione in modo che l’Organismo indipendente di valutazione (Oiv) potesse vagliarlo e comunicarlo alla Commissione indipendente per la valutazione, trasparenza ed integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit). Su questi temi è necessario che ci sia una conferenza di tutta la dirigenza (circa 180 dirigenti) e subito dopo un confronto con gli organismi sindacali con una finale comunicazione ai dipendenti.
Siamo pronti. Tenendo conto che se le regole si cambiano occorre farlo ad inizio del gioco, forniremo tutte le indicazioni per la valutazione del 2011 entro il primo gennaio 2011. Dal gennaio 2011, in pratica, Inpdap sarà in grado di conoscere le capacità di ogni dipendente e richiedere, ai fini di una valutazione positiva, che la singola capacità sia incrementata. In questo processo di cambiamento la classe dirigente ha la gravosa responsabilità della riuscita o dell’affossamento della riforma del pubblico impiego.
Trasparenza totale. Sono però ottimista: questa riforma avrà successo perché il legislatore ha inserito due
elementi dirompenti riferiti espressamente al dirigente. Il primo è quello di inserire la capacità di valutare i propri collaboratori tra gli elementi di valutazione del dirigente stesso (che diventa perciò giudicante
e giudicato). Il secondo aspetto, che corrobora la mia fiducia, è quello della trasparenza totale.
In questo modo, infatti, si rend esplicita la responsabilità del dirigente nei confronti di tutto il sistema Paese. Tutti possono chiedere conto del nostro lavoro, dei nostri risultati e del modo in cui impieghiamo le risorse pubbliche.

Vincenzo Caridi

Direttore centrale Risorse umane Inpdap
 
fonte: il Giornale inpdap dicembre 2010