Per le pensioni, l’estate è stata più nera che per i mercati finanziari. Le manovre messe a punto a luglio e ad agosto per far quadrare i conti statali hanno previsto una stretta per quelle pubbliche, mentre la crisi del debito sovrano e i crolli delle Borse hanno inflitto un duro colpo alla previdenza complementare.
La stretta
Sul primo fronte, i cambiamenti sono all’ordine del giorno. Il governo sembra aver fatto retromarcia sul divieto di riscatto degli anni universitari e del servizio militare. Alcuni provvedimenti, invece, sono già legge (n.111 del 15 luglio 2011). Tra questi, c’è l’introduzione di un meccanismo di limitazione crescente dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita per il biennio 2012-2013, con l’eccezione di quelle più basse (fino a 1.428 euro).
Un’altra novità è rappresentata dall’anticipo al 1° gennaio 2013 del meccanismo di adeguamento permanente dei requisiti pensionistici alla speranza di vita. In pratica, se quest’ultima aumenta (la certificazione spetta all’Istat su base triennale), crescono anche i requisiti per il trattamento di vecchiaia e anzianità.
Per le donne del settore privato, salirà a 65 anni l’età per percepire la pensione di vecchiaia. L’innalzamento comincerà nel 2020 e sarà portato a termine entro il 2032. Per le persone che cessano l’attività lavorativa con 40 anni di contributi, invece, sono stati introdotti dei limiti per ritardare il godimento della pensione.
Le incognite
Non sono da escludere altri aggiustamenti, anche se la direzione per il primo pilastro è segnata, perché l’obiettivo dello stato, non procastinabile, è rimettere in sesto i suoi disastrati conti, ai quali una gestione “allegra” della previdenza pubblica ha largamente contribuito (mi riferisco in particolare a quel fenomeno ben descritto da Mario Giordano nel suo ultimo libro “Sanguisughe. Le pensioni d’oro che ci prosciugano le tasche”, edito Mondadori, per il quale oggi vengono chiesti a tutti i sacrifici, anche se pochi hanno invece ricevuto i benefici).
Le questioni critiche
Sul livello di benessere che i lavoratori avranno, terminata la vita lavorativa, non incide solo la manovra, ma anche l’andamento dei mercati. Un mercato Orso può essere un’opportunità per i giovani che hanno davanti a sé decenni di contributi da versare e quindi possono investire in una linea previdenziale più aggressiva. Non lo è invece per chi è vicino alla pensione e si vede ridotti i suoi rendimenti. Rispetto ad altre crisi, l’ultima ha l’aggravante di aver coinvolto i titoli di stato italiani, che sono molto presenti nei portafogli dei fondi pensione, con conseguente aumento del rischio. Infine, la situazione economica, ed in particolare l’alto tasso di disoccupazione giovanile (1,14 milioni di giovani sotto i 35 anni secondo Confartigianato), pone un’altra seria minaccia alla futura pensione di chi entra (o cerca di entrare) nel mondo del lavoro oggi. Temi questi ultimi che si sentono poco nel vivace dibattito di questi giorni, ma potrebbero rivelarsi ben più gravi, con lo sgretolarsi del pilastro pubblico.
fonte: Sara Silano di Morningstar.it