Un “testo in formato digitale” o comunque dotato di
“contenuti digitali integrativi” accessibili on line: è questa la veste che il
libro di scuola, secondo il governo, dovrà assumere nelle aule degli istituti
superiori dall’anno prossimo. Il decreto legge che stabilisce l’addio
definitivo al manuale su carta è il 179 dello scorso 18 ottobre:
un’accelerazione che, se sarà confermata dalle Camere, costringerà gli editori
a una corsa in parte inattesa, ma sempre più frenetica. Dal 2014/15 il libro
digitale dovrà entrare anche nella scuola del primo ciclo, un impegno davvero
considerevole. Il cammino verso i testi scolastici elettronici si era
cominciato a delineare con il dl 112/2008, che stabiliva come la forma
ordinaria dei manuali dovesse essere quella on line “o mista”. Ed è proprio
grazie a questo “mista”, qualifica nebbiosa e totalmente priva di
specificazioni, che la maggioranza degli editori ha potuto, italianamente,
schivare l’insidia: un bel cd-rom allegato al libro, in cui trasferire di peso
il contenuto della versione di carta, e il gioco era fatto. In regola con la
legge, e con il minimo sforzo. Il nuovo decreto elimina le ambiguità: nella
forma “mista”, ancora ammessa, può sopravvivere il libro tradizionale, purché i
contenuti digitali aggiuntivi siano reali, indipendenti, e (elemento centrale)
separabili nell’acquisto. È un cambiamento enorme, perché sui contenuti
didattici online si aprirà una competizione tra gli editori, ma soprattutto tra
editori e aziende di software. Il Bo ha chiesto un parere a Giuseppe Baldi,
responsabile del dipartimento digitale di Giunti Scuola.
Sarà una corsa contro il tempo?
I termini fissati dal decreto sono stretti, ma il percorso
verso i testi scolastici digitali era già delineato dal 2008. E gli editori,
purtroppo, sono abituati a queste svolte normative repentine. Siamo franchi: è
innegabile che la logica del pdf e del cd-rom aggiuntivo sia stata prevalente,
finora, nell’editoria scolastica. Ma c’è da dire che gli editori devono anche
guardare al presente, e i contenuti digitali off line saranno richiesti ancora
per qualche tempo dal mondo della scuola. La Rete, ovviamente, è il futuro, ma
il cammino verso una scuola attrezzata per fruirne appieno non sarà brevissimo.
Questo non toglie che i nostri progetti siano già, decisamente, in questa
direzione, e che stiamo attuando sperimentazioni molto avanzate.
Che scenario abbiamo di fronte?
Un grande mercato elettronico della pubblica istruzione, con
un’autonomia sempre maggiore delle integrazioni multimediali online dal testo
base. Secondo noi, a fare la differenza sarà la creazione, più che di
contenuti, di ambienti: spazi in Rete coerenti con la linea didattica scelta in
classe e (aspetto chiave) personalizzabili dall’insegnante. Un valore aggiunto
offerto dalle nuove tecnologie.
A suo giudizio la scuola italiana è pronta a un mutamento
così radicale?
Non sono d’accordo quando si afferma che l’Italia è in coda
a tutti nell’editoria digitale. Se è vero che le nazioni anglosassoni sono
tecnologicamente più evolute, direi che possiamo considerarci al livello dei
maggiori paesi europei. Oggi in Italia circa il 10% delle classi è dotato di
lavagne multimediali. Non è un traguardo, ma è un buon inizio. Tra l’altro non
va dimenticata la nostra specificità: rispetto ad altri paesi, da noi
l’insegnante gode di una larga autonomia nell’organizzare la didattica. Di qui
l’opportunità di elaborare sistemi in cui la personalizzazione delle risorse e
dei percorsi è centrale.
Per gli editori, in quali direzioni è necessario muoversi?
I limiti di molti prodotti presenti sul mercato sono
evidenti. Sono spesso progettati, in solitudine, da ingegneri esperti più in
tecnologie multimediali che nella didattica. Possono essere accattivanti, ma la
logica educativa è vecchia, legata a un modello di learning object ormai
obsoleto, che considera il sapere come una somma di tanti tasselli di
conoscenza. La progettazione didattica multimediale richiede l’integrazione di
tante competenze diverse che lavorano insieme: noi vorremmo che accanto ai
tecnici vi fossero, sempre, i professionisti della didattica (editori
compresi), e che alla fine la loro parola fosse quella che conta di più.
Il decreto pone a carico delle famiglie sia i contenuti
digitali che i tablet per fruirne. C’è da attendersi che il governo compensi
questi costi con il calo del prezzo dei testi?
È plausibile. Del resto la questione delle tecnologie a
carico dei genitori è una vera sfida. Oggi vi sono molte famiglie che faticano
a trovare le risorse per i testi base: figuriamoci quando si tratterà di
comprare un tablet. Non dimentichiamo, poi, il problema della manutenzione dei
supporti informatici. Già oggi nelle scuole è difficile trovare chi se ne
occupi. Che accadrà per l’hardware e il software per uso scolastico ma in
dotazione a casa propria?
A proposito di hardware e software, possiamo attenderci
l’assalto delle aziende di informatica alla “torta” dell’editoria scolastica
online?
I produttori di software sono già presenti nel mercato
editoriale scolastico, anche se a volte i loro prodotti hanno i limiti di cui
dicevamo prima. Si genererà una moltiplicazione dell’offerta: e questo è sempre
positivo. Il rischio, semmai, è un altro. Per i colossi informatici
internazionali l’attuale giro di affari dell’editoria scolastica italiana
(circa 800 milioni annui) è meno rilevante rispetto all’acquisizione di nuovi
mercati. Non ci possiamo nascondere che
la scuola è sempre stata un ambitissimo terreno di caccia, e non è detto che
non ci sia qualcuno disposto ad operarvi anche in perdita, pur di monopolizzare
il settore e fidelizzare milioni di potenziali nuovi utenti. In un’epoca di
crisi come l’attuale, il nostro sistema scolastico ha risorse troppo limitate
per resistere a queste sirene. La strategia di Giunti Scuola è quella di
collaborare, senza preclusioni, con i produttori di hardware e software che
possano aiutarci a migliorare la nostra offerta nella direzione che abbiamo in
mente. Nella consapevolezza, però, che in questo complicato scenario il ruolo
degli editori di tradizione è rafforzato: il nostro impegno verso la scuola,
oltre che didattico, dovrà essere etico.
Martino Periti