Un articolo di Cosimo de Nitto intitolato "L'Italia è più povera, la scuola anche" del 14-10-10 pubblicato su educazione&scuola
"L'Italia è più povera. E' quanto afferma la Caritas nel suo Rapporto annuale sulla povertà e l'esclusione sociale insieme alla Fondazione Zancan intitolato: "In caduta libera".
"Non e' vero che siamo meno poveri, come gli ultimi dati ufficiali sulla povertà (luglio 2010) farebbero pensare".
I poveri sono 8 milioni e 370 mila nel 2009 (+3,7%) contro i 7 milioni e 810 mila, stabili sul 2008 secondo Istat.
Accanto ai poveri "ufficiali" ci sono anche le persone "impoverite" che, pur non essendo povere, vivono in una situazione di forte fragilità economica e che hanno dovuto modificare, in modo anche sostanziale, il proprio tenore di vita, privandosi di una serie di beni e di servizi, precedentemente ritenuti necessari."
Questa è la notizia, questo è il fatto.
E' ovvio che questa informazione solleciti riflessioni "politiche" di diversa natura e specie; è altresì ovvio che per la Gelmini queste riflessioni siano fatte dagli specialisti accreditati quali i politici e i giornalisti, non certo dagli insegnanti, che devono solo andare in classe e non "fare politica", né tantomeno permettersi di criticare il governo o esprimere le loro opinioni. Ma c'é da chiedersi: l'informazione che in Italia cresce la povertà e che questa risucchia ceti finora ritenuti al sicuro dalla congiuntura economica significa qualcosa, ha attinenza con il mondo della scuola, con le problematiche dei bambini e delle giovani generazioni, con le problematiche familiari che sono dietro, con la condizione degli insegnanti e con lo stato della scuola?
E' "fare politica" da parte degli insegnanti preoccuparsi degli effetti devastanti che può avere, e in molti casi lo ha, sui bambini il fatto che i loro genitori non possono più permettersi di pagare la mensa a scuola? O comprare penne, matite, qualche volta anche la carta igienica?
E' "fare politica" preoccuparsi dell'adolescenza inquieta così sensibile e spesso reattiva a condizioni familiari e sociali che contrappongono così violentemente il piano della realtà (cassa integrazione, licenziamenti, precarietà e precarizzazione, impoverimento ecc.) e piano delle illusioni e dei miti che vengono loro propinati attraverso i media (culto del corpo e sua mercificazione, il paradigma ricchezza=felicità, partecipazione affollata ai concorsi per fare le veline o partecipare a programmi televisivi, ecc.)?
E' "fare politica" preoccuparsi della ricaduta sui giovani delle tragedie del lavoro che si abbattono sulle proprie famiglie e del loro dilemma fondamentale che li vede partecipi impotenti di una condizione lacerante e drammatica per cui da un lato c'è una scuola che non porta da nessuna parte, dall'altra c'è la "nessuna parte", il vuoto lavorativo e occupazionale, il buio pesto come prospettiva di vita. Le tanto invocate "motivazioni" allo studio da dove devono provenire, se intorno, e poi anche dentro di essi, c'è il deserto?
Preoccuparsi di tutto ciò da parte degli insegnanti non è, cara ministra, "fare politica", come dice e ridice sempre lei nella speranza che ripetendo e ripetendosi lei stessa si convinca sempre di più, e per gli altri le cose dette diventino, o appaiano, vere solo per il fatto che sono da lei ripetute.
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