Oggi tutti invocano la crescita, ma invocare la crescita è
come invocare la pace nel mondo: dà soddisfazione ma non vuol dire nulla. Il
punto è capire come. Storicamente l'Italia è cresciuta grazie a un'unica cosa:
il talento e le capacità degli italiani. Il vero problema del nostro Paese,
oggi, non è la crisi dei mercati. E lo spreco più grave non è di natura
economica. Il vero problema è che non stiamo valorizzando il potenziale degli
italiani.
Una parte troppo ampia delle capacità degli italiani è
mortificata da un sistema ingiusto e ottuso che, a tutti i livelli, schiaccia
anziché favorire l'impegno e le aspirazioni di ciascuno di noi. Proviamo ad
immaginare un ciclo vitale nel quale, ad ogni stadio, anziché distruggerlo, il
sistema pubblico incoraggi la formazione di capitale umano, ampli lo spettro
delle scelte a disposizione delle persone, liberi il loro potenziale. A cosa
assomiglierebbe?
a. Partire col piede giusto: dare al 40% dei bambini
sotto i tre anni un posto in un asilo pubblico entro il 2018. L'Italia
combina attualmente due primati negativi: una bassissimo tasso di natalità e,
al tempo stesso, un bassissimo tasso di occupazione femminile. In più, i test
internazionali ci dicono che, da noi, lo sviluppo cognitivo dei bambini è più
condizionato che altrove dalle origini familiari. In Italia, solo il 12 per
cento dei bambini sotto i tre anni ha accesso a un nido pubblico, in un'età che
tutti gli studi confermano essere la più importante di tutte per l'investimento
in capitale umano. Ecco perché proponiamo di passare dal 12 al 40% di copertura
creando 450.000 nuovi posti. Il costo stimato sarebbe di 3 miliardi l'anno di
spese correnti. Elevato ma sostenibile in una manovra complessiva da 75-90
miliardi come quella che proponiamo. Il costo di investimenti (spesa in conto
capitale) di 13 miliardi è anch'esso sostenibile se ripartito su 5 anni.
b. Una scuola dove si impara davvero.
La scuola è il terreno sul quale si gioca il futuro del nostro Paese.
Bisogna tornare ad investire, ma farlo con modalità nuove,
che mettano al centro la qualità dell'educazione che diamo ai nostri figli. E'
davvero un paradosso, quello di una scuola nella quale si danno voti a tutti,
ma non alla qualità dell'insegnamento e delle strutture scolastiche. Gli
istituti scolastici devono godere di un'ampia autonomia, anche riguardo alla
selezione del personale didattico e amministrativo, con una piena
responsabilizzazione dei rispettivi vertici e il corrispondente pieno recupero
da parte loro delle prerogative programmatorie e dirigenziali necessarie.
Questo obiettivo va preparato attraverso una fase transitoria nella quale si
incominci a responsabilizzare gli istituti scolastici mediante una valutazione
della performance gestita da una struttura indipendente
centralizzata. Perciò proponiamo:
1. un forte investimento sulla scuola e, in particolare,
sulla formazione e l'incentivazione degli insegnanti, sull'edilizia scolastica
(v. infra 5. c.) e sull'upgrade tecnologico della didattica;
2. la valutazione degli istituti scolastici attraverso il
completamento e il rafforzamento del nuovo Sistema di Valutazione centrato
sull’azione di Invalsi e Indire, con la prospettiva di avvicinare gradualmente
il nostro modello a quello britannico centrato sull’azione della Ofsted;
3. incentivi ai dirigenti scolastici basati sulla
valutazione della performance delle strutture loro affidate;
4. una revisione complessiva delle procedure di selezione e
assunzione dei docenti, basata sulle competenze specifiche e sull'effettiva
capacità di insegnare;
5. una formazione in servizio per gli insegnanti
obbligatoria e certificata, i cui esiti devono contribuire alla valutazione dei
docenti e alle progressioni di carriera, basata su un mix di: aggiornamento
disciplinare, progettazione di percorsi con altri colleghi, aggiornamento
sull’uso delle nuove tecnologie per la didattica, incontri con psicologi
dell’età evolutiva o con medici per capire come affrontare handicap o disturbi
di apprendimento sui quali la scienza ha fatto progressi.
6. la valutazione e incentivazione degli insegnanti,
attivando in ciascun istituto scolastico un meccanismo finalizzato
all’attribuzione di un premio economico annuale agli insegnanti migliori,
scelti da un comitato composto dal preside, da due insegnanti eletti dagli
altri (cui andrà il 50% del premio e che non potranno ovviamente essere
selezionati per il premio intero) e da un rappresentante delle famiglie eletto
dalle stesse, sulla scorta del progetto pilota "Valorizza", già
sperimentato in quattro province nel corso del 2010-2011.
c. Eliminare la formazione che serve solo ai formatori.
Esiste un’offerta molto ampia di corsi di formazione
professionale che vivono solo per mantenere in vita le organizzazioni che
organizzano i corsi senza nessun beneficio pubblico. Bisogna spostare le
risorse da questo ambito in altri dove possono produrre benefici reali, in
particolare sulle competenze tecniche e artigianali che rappresentano la vera
forza del modello produttivo italiano. Rilevazione sistematica del tasso di
coerenza tra la formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, a sei
mesi e tre anni dalla fine del corso, e pubblicazione online di questi dati in
modo che tutti possano conoscere i risultati del passato recente prima di
scegliere un corso.
d. Rilanciare l'università e la ricerca.
L’Italia, che in molti settori dell’industria e del
commercio è ai vertici mondiali, non è ugualmente rappresentata ai vertici
delle classifiche delle istituzioni universitarie e di ricerca. Nelle
istituzioni estere che si trovano ai vertici di tali classifiche, invece,
lavorano molti ricercatori italiani, incapaci di trovare una posizione adeguata
in Italia, mentre – salvo rarissime eccezioni – non si trovano ricercatori
stranieri nelle istituzioni italiane.
1. Mettere a punto un sistema di valutazione delle
università e sostenere quelle che producono le ricerche migliori. L’Italia
spende per l’università e la ricerca meno dei grandi paesi con cui dobbiamo
confrontarci, ma questo non è il solo problema. Il reclutamento dei ricercatori
è spesso viziato da logiche familistiche e clientelari. Le risorse vengono
disperse tra centri di eccellenza e strutture improduttive. Anche in questo
campo si devono introdurre meccanismi competitivi. I dipartimenti universitari
che reclutano male devo sapere che riceveranno sempre meno soldi pubblici. Deve
essere chiaro che chi recluta ricercatori capaci di farsi apprezzare in campo
internazionale ne riceverà di più. È un risultato che si può ottenere usando
indicatori quantitativi sulla qualità della ricerca prodotta sul modello
dell'Anvur e il parere di esperti internazionali autorevoli e fuori dai
giochi. L’obiettivo è avere una comunità scientifica meno provinciale, che
esporta idee e attrae talenti.
2. Consentire la scommessa degli atenei e degli studenti
sulla qualità della formazione. Agli atenei che vi sono interessati deve essere
consentito di aumentare le tasse universitarie in funzione di progetti di
eccellenza didattica, trovando al tempo stesso compensazioni per le famiglie
con redditi medi o bassi. Agli studenti devono essere offerti prestiti per
coprire integralmente i costi, prevedendo che la restituzione rateizzata -
parziale o integrale - inizi solo quando essi avranno raggiunto un determinato
livello di reddito.
3. Consentire a tutti gli studenti universitari di
finanziarsi gli studi e le tasse. Obbligo per le Università di stabilire
accordi con almeno tre banche (di cui almeno una locale e almeno una nazionale)
per i finanziamenti agli studi universitari, garantiti da un fondo pubblico di
garanzia.
4. Incentivi fiscali per contributi alla ricerca
universitaria. Detrazione dalla base imponibile di quanto donato alle
università e tassazione agevolata per chi investe negli spin-off universitari.
5. Un fondo nazionale per la ricerca gestito con criteri da
venture capital. Istituire un fondo nazionale per la ricerca che operi con le
modalità del venture capital e sia in condizione di finanziare i progetti
meritevoli al di fuori delle contingenze politiche.
e. Promuovere l'accesso al lavoro di giovani, donne e
over 55.
Da noi lavora solo il 57% delle persone tra 15 e 64 anni,
contro il 70% della Germania o del Regno Unito - questo significa che ci sono
da noi 5 milioni di lavoratori in meno. E' un dato ancor più allarmante di
quello del tasso di disoccupazione. Vuol dire che in Italia molti hanno
rinunciato: i ne-ne (né studenti, né lavoratori) giovani, le donne con o senza
figli, i cinquantenni e sessantenni precocemente espulsi dal mondo del lavoro.
1. Per le donne, la maternità rappresenta una delle
principali cause dell’abbandono del mercato del lavoro. Il nostro piano asili
nido (v. supra 4.a.) ha l’obiettivo non solo di migliorare lo sviluppo
cognitivo dei bambini ma anche di ridurre fortemente il tasso di abbandono del
lavoro delle mamme. Inoltre, in funzione delle risorse disponibili, valuteremo
la detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile secondo il modello
proposto nel d.d.l. n. 2102 presentato al Senato che prevede un'azione
positiva fino al raggiungimento del tasso di occupazione femminile del 60%
(oggi è al 45%).
2. Per i giovani. Al fine di combattere la precarietà e
ridurre il cuneo fiscale, tutti i nuovi contratti a tempo indeterminato avranno
un bonus contributivo di 1000 euro l'anno, cioè cento euro al mese, per tre
anni, con una riduzione del costo contributivo di circa il 20 per cento per gli
operai e del 15 per cento per gli impiegati secondo i dati della CGIA di
Mestre. Il finanziamento di questo intervento pari a 1,5 miliardi avverrà
tagliando la spesa pubblica. Tale bonus sarà aumentato di ulteriori 200 euro
per le aziende che tramutino in contratti a tempo indeterminato una quota
superiore al 40 per cento dei contratti a tempo determinato in essere alla fine
dell'anno 2012. Sono inoltre necessari un forte impulso ai servizi di
orientamento scolastico e professionale e la drastica riduzione dei costi di
transazione relativi ai rapporti di apprendistato; il lancio di un programma di
formazione mirata agli skill shortages, finanziato progressivamente
secondo la straordinaria esperienza olandese dell’ultimo ventennio.
3. Per gli over-55, occorre consentire l'intreccio tra
lavoro parziale e pensionamento parziale, flessibilizzazione dell’età
pensionabile secondo il modello svedese, forte incentivazione economica
dell’assunzione dei sessantenni, promozione della domanda di servizi che
valorizzino l'esperienza degli over 55.