Il Parlamento greco sotto assedio, le
strade di Atene invase da una moltitudine di disperati: gente comune ma anche
molti intellettuali, la cui vita è stata schiacciata e oltraggiata dal peso del
debito pubblico e dalla catastrofe del collasso economico. Le misure di
austerity imposte ai cittadini dal governo, la pressione della troika di benefattori internazionali di cui la Grecia è ostaggio: Banca Centrale Europea, Ue e
Fondo Monetario Internazionale. La disperazione di un popolo che ha inventato
la democrazia e, al tempo stesso, la convinzione che attualmente sia proprio
l’essenza stessa della democrazia ad essere in agonia.
Un grido di dolore e insieme una
testimonianza, quella di due donne in viaggio, l’antropologa e videomaker
Pamela Garberini e la giornalista e scrittrice Anna Coluccino, autrici del
documentario Ctrl+Alt+Canc
Arresta il Sistema, che hanno accettato di parlare su Critica Impura del loro
viaggio inchiesta in Grecia, alle radici della devastazione e del meccanismo
perverso dell’indebitamento senza fine. Due donne che, pur di poter dire la
propria sulla crisi finanziaria che stritola la nazione, hanno messo in gioco
se stesse, i propri risparmi, la solidarietà di amici e parenti e smosso, con
il crowdfunding, la grande anima della Rete per autoprodurre questo docu-film.
Sono così sfuggite ad eventuali censure o alle pressioni politiche che
sarebbero state imposte da qualsiasi altro finanziamento e hanno rivendicato a
se stesse e al popolo greco la libertà di parola e il diritto alla propria
dignità, con coraggio, impegno e lucidità. Un viaggio-incontro che è stato un
“andarsene in giro nudi”, come le autrici stesse affermano di aver imparato a
fare, che rappresenta
in definitiva “l’unico modo per mettere alla prova la propria forza” e per dare
testimonianza e visibilità agli altri.
Critica Impura: Vorremmo cominciare
questa intervista con tre delle cinque W dell’apprendista giornalista: come,
quando e perché è nata l’idea di girare questo reportage?
Pamela e Anna: L’idea è nata a fine
febbraio 2012 da una conversazione su Skype. Ci piangevamo addosso a causa
delle nostre reciproche situazioni di vita, cominciando dall’insopportabile
precarietà lavorativa (ancora oggi in attivo), arrivando alla personale
incapacità di sentirsi motori di cambiamento della Storia che ci scorre
intorno. Per trasformare il malessere condiviso ci siamo dette: “Partiamo!”
Anna aveva deciso di chiedere alla redazione con la quale collabora di poter
essere la loro “corrispondente sul campo” e io, avendo a disposizione una Sony
100, le ho proposto di essere il suo occhio. Ovviamente le condizioni non sono
state accettate e ovviamente non ci siamo fermate. Abbiamo deciso di partire
ugualmente, convinte che quello che avremmo speso per stare lì sarebbe
equivalso alle spese fisse che dovevamo affrontare restando a casa. Abbiamo
deciso di mettere in gioco le nostre competenze per raccontare una crisi, la
nostra in primis. Abbiamo
deciso di muovere dei passi, sciolte da ogni condizionamento. Ci siamo volute
immergere in quello che ci sembrava poter essere – da lì a poco – il nostro
futuro e la Grecia rappresentava lo specchio più fedele della situazione che
anche il nostro paese si avviava a vivere. Non volevamo sentirci assuefatte
dalla pigrizia di un lamento passivo e abbiamo organizzato il nostro coraggio,
non tenendo conto di nessuna delle cinque W. In pochissimi giorni, circa una
settimana, l’esistenza ha fatto il resto. L’idea del crowdfunding, la generosità di parenti e amici
incoraggianti, ci ha reso certe della bellezza dei passi che volevamo compiere.
Cosa volevamo dire non era chiaro, volevamo solo poter essere lì, osservatrici
osservate. Di ora in ora, in quei giorni il nostro entusiasmo lievitava, e
infiniti “segni” arrivavano a combaciare con i nostri intenti. Dovremmo
scrivere un libro su questo…
Critica Impura: Molti documentari
prodotti ultimamente sulla crisi in Grecia (Catastroika, Debtocracy ed altri) sono stati finanziati
attraverso il sistema del crowdfunding. E’ stato difficile per voi
intraprendere questa strada per finanziare il vostro progetto?
Pamela e Anna: In realtà, il tutto
ha preso lo spazio di poche ore – ma molto intense – e ha richiesto semplici
azioni: leggere le indicazioni sul sito www.eppela.com; realizzare un
video-appello da spammare su web; domandarci chi eravamo noi due e cosa
volevamo condividere con gli eventuali sostenitori. E voilà… Il resto lo hanno
fatto gli “altri”. In dieci giorni abbiamo raggiunto l’obiettivo grazie al
sostegno di molti. L’importo minimo richiesto era di 600 euro – modesto a
parere della tutor di eppela.com, ma onesto e realizzabile ai nostri occhi.
Quel denaro è ancora sul nostro conto paypal, aspetta di essere speso per il
prossimo viaggio. Quindi NO, non è stato difficile. Una dritta per chi volesse
avventurarsi in un’iniziativa similare è, ad esempio, quella di creare un
evento su Facebook e chiedere ai propri contatti di invitare tutti i loro
contatti. In tre giorni eravamo arrivate a 7000 invitati e, grazie a questo
escamotage, abbiamo avuto il piacere di far arrivare il nostro appello fino a
Creta. Dove una sconosciuta – ora nostra amica – di nome Giorgia ci ha accolte
come sorelle e ha organizzato degli incontri importanti, per dar voce ad alcuni
protagonisti chiave del documentario. La rete è una risorsa preziosa che va ben
considerata.
Critica Impura: Che tipo di
accoglienza avete avuto da parte della gente quando avete spiegato la ragione
del vostro lavoro?
Pamela e Anna: La massima
disponibilità di tutti coloro che ci sentivano vicine, per affinità di
qualsiasi genere, altri, pochi a nostro parere, ci hanno evitato. È come in un
viaggio, incontri chi devi incontrare… E quando abbiamo tentato di
cercare, non ha funzionato. Sembrava che le forze che ci accompagnavano ci
ricordassero ad ogni passo che “trovare” ci riusciva meglio. Così ci siamo
lasciate portare, ed è stato bello, forse il regalo più sorprendente.
Critica Impura: Che situazione
politica, economica e sociale avete trovato in Grecia?
Pamela: Ho riconosciuto la faccia di quella
gente nella mia, come ci ricordava la frase di saluto ad ogni passo: “Una
faccia una razza!”. Ho fotografato i murales che raccontano di un capitalismo
schiacciante e affamato di se stesso. Ho visto nei parchi gente che si adopera
a nutrire chi non ha cibo e donne con uncini a raccogliere qualunque cosa nella
spazzatura. Ho visto la vergogna e ho ascoltato il silenzio di chi non crede
più nel suo simile. Ho respirato la stessa aria degli uomini in divisa che non
agivano per senso del dovere ma per senso delpotere. Ho
avuto la sensazione di muovermi nei quartieri di Atene come se fossi dentro
grandi scatole, ognuna delle quali aveva un’etichetta sopra, con la scritta che
diceva: Fragile. Non mi
sono risparmiata in questa terra, non c’è stato un giorno di non lavoro e di
non amore.
Anna: Intanto vale la pena ricordare che
parliamo di otto mesi fa. Nel frattempo le voci amiche che mi giungono da Atene
dicono che le cose vanno rapidamente peggiorando. Comunque, già nel mese di
marzo, tutto quanto osservavo mi appariva stridente, paradossale. È vero che la
mia mente è avvezza al rinvenimento continuo di inestricabili paradossi, ma la
Grecia sembra contenerli tutti: la fine che coincide l’inizio, la speranza che
coincide con la disperazione, l’orrore che coincide il sublime. Tutto convive,
un po’ come a Napoli (altra culla di paradossi, altra culla che
amo). Alcuni luoghi erano impregnati di solidarietà sociale, si respirava
senso di comunità, ottimismo, desiderio di resistere e lottare e vincere; altri
erano madidi di paura, xenofobia, rifiuto, rabbia violenta ed esplosiva, non
meditata, non canalizzata. Dal punto di vista economico, è l’inferno in
terra. Il piano di austerity imposto dalla Troika non ha nessuna possibilità di
ridare dignità alla popolazione; non alla maggior parte di essa almeno, non a
quella che rimesta tra i rifiuti per sopravvivere, ed è di quella che nessuno
sembra avere cura o rispetto.
Ed ecco che agli ultimi, ai
senza-santi-in-paradiso, ai meno fortunati, ai non allineati, a chi si trova a
un passo dall’abisso non restano che due scelte: una rassegnata esistenza di
cassonetti e panchine o la piazza. Perché naturalmente il servizio sanitario –
per loro – non esiste. Possono affidarsi alla solidarietà di chi sta meglio, ma
per quanto ancora le persone potranno permettersi di offrire solidarietà se le
cose non si modificano anche a livello politico oltre che all’interno della
società civile? La manifestazioni di piazza, in questo quadro, si rivelano – a
mio avviso – necessarie. La violenta repressione che caratterizza gli scontri
di piazza, poi, meriterebbe un capitolo a parte. Quello che non si può non considerare
quando si parla di Grecia, comunque, è che i principali partiti – Pasok e Nuova
Democrazia – sono
l’esemplificazione della politica affaristica, clientelare, spietata, corrotta,
eppure sono gli unici interlocutori che l’Europa considera credibili.
Ora, davanti a un’Unione Europea che sostiene
governanti che essa stessa giudica corrotti e incapaci e ai quali ha
addirittura addossato l’intera responsabilità della crisi economica greca, come
potrebbe la gente NON scendere in piazza? Si tratta di una presa in giro bella
e buona e io trovo sensato che la gente abbia un moto di dignità di fronte a questa
situazione. Le ultime elezioni, poi, hanno dimostrato che il voto clientelare
ancora regge (malgrado abbia subito durissimi colpi), per cui quale altra
soluzione resta a chi non può più curarsi, non può più pagare l’affitto e le
tasse, non ha lavoro; a chi vede i propri figli morire di inservibilità, a chi
non vede alcun futuro per se stesso e per chi ama? Come potrebbero queste
persone NON scendere in piazza? Non foss’altro che per desiderio di non
sentirsi soli e disperati…
Che altro strumento resta alle persone se il
potere economico e politico è saldamente in mano alla peggiore espressione
dell’umanità greca? Certo, può organizzare modelli di vita alternativi, ma non
basta. Così come non basta la piazza. Così come non bastano le elezioni. Serve
tutto. In periodi del genere, non si possono scegliere porzioni di lotta,
bisogna agire su tutti i fronti per ottenere un risultato, occorre occupare
tutte le strade e saturare tutti i presidi di libertà e giustizia, sostenendo
la comunità ogni volta che si rende necessario.
Insomma, perché vi sia chiaro il modo in cui
io – oggi – guardo il mondo, vi faccio un esempio. Giorni fa, ad Avellino, un
uomo è uscito di casa in mutande e si è fatto una gran bella passeggiata per il
corso principale. I quotidiani e gli abitanti della città si sono sbizzarriti a
commentare il “folle” gesto mentre io ho provato – come mi capita raramente –
un sentimento di puro e sincero sollievo. Ho sentito che, finalmente, c’era
qualcuno che si comportava in maniera normale. Ecco. Nella situazione in
cui siamo, per me, vivere come se niente fosse rappresenta un gesto folle e
incomprensibile. Uscire nudi per strada, invece, mi suona come qualcosa di gran
lunga più comprensibile se consideriamo la pressione psicologica e
l’ingiustizia sociale cui siamo sottoposti.
Critica Impura: Qual è stato
l’incontro più significativo tra gli intervistati e che cosa vi ha lasciato dal
punto di vista umano?
Pamela: Mi piace cercare in ognuno qualcosa da
amare, anche se solo un dettaglio, questo di base. Ogni persona incontrata in
questo viaggio è nel mio cuore. Ho immortalato in me molti volti e, pur non
comunicando con tutti verbalmente, riconosco loro un’importanza enorme
nel mio vagare. Penso alle donne dell’Agorà di Kipseli, dai volti come maschere
della tragedia greca, che della tragedia del momento incarnavano l’essenza.
Penso all’uomo con disturbi mentali che ha rapito la mia attenzione per tutta
una sera e al quale io ho rubato l’anima registrando su nastro le sue
schizofrenie, sempre là, in quel mercato vivificato. Ma se devo
scegliere, l’incontro più significativo per me, per la mia crescita personale è
stato quello con Babis. Un insegnante di Exarchia,
iscritto al partito di Antarsya (Ammutinamento) poco presente nel
documentario, ma vivido nei miei ricordi. È stato il nostro Cicerone, è grazie
a lui che l’80% delle voci raccolte ad Atene è giunto a voi. Il suo inglese era
davvero improbabile, ma esistente almeno, il mio no! Con lui tuttavia ho
davvero dovuto interrogarmi molto sulla mia capacità di ascolto e sul mio
individualismo. Abbiamo speso ore intere a parlare di attivismo politico, del
suo senso e, in molte occasioni, avrei desiderato abbassare al minimo il volume
della sua bocca o scappare. Con lui non trovavo mai conciliazione, si tentavano
costantemente apologie claudicanti e mi sfiancavo. Ma ora mi par di riconoscere
che è anche grazie al suo insistente dire, che la mia visione di umanità è più nitida,
non combaciante con la sua, ma neppure distante come allora poteva apparire.
Abbiamo partecipato a molti cortei e manifestazioni durante il mese trascorso
in Grecia e ogni volta al termine di queste mi sentivo schiacciata da un senso
di inutilità, il nostro dibattere, quello mio e di Babis, tradotto con
pazienza e partecipazione da Anna, verteva sempre su questo unico punto. La mia
messa in dubbio dell’utilità di tali maree umane accalcate tutte insieme.
Sono certa di tirarmi addosso critiche anche
ora, e me ne assumo la responsabilità, ma è proprio lì, in quei contesti di
protesta che mi pare di scorgere un vicolo cieco, uno stop di fronte a uomini
ai quali è stato concesso di essere armati contro altri uomini. Mi chiedo
ancora oggi come poter dirigere la propria presenza, quale sia il modo più
risanante. Non amo questo tipo di unificazione che a mio dire non vivifica la
bellezza, ma alimenta solo la rabbia, quella contro l’altro, e questo è ciò che
non mi ha permesso di toccare il dito di Babis. Ma sono certa che entrambi
puntiamo alla luna.
Anna: Questa non è una domanda facile.
Perché sia del tutto sincera, quindi, occorrerà dilungarsi un po’. Spero avrete
pazienza.
Di ognuno degli amici incontrati mi porto
dentro pezzi e non lo dico per assecondare lo standard retorico che vuole
“tutti ugualmente importanti”, ma perché le persone che ho incontrato in questa
esperienza sono arrivate in un momento della mia vita in cui avevo l’esigenza
di dare, avere, vedere e sentire solo cose “vere” (dove per vere intendo
importanti, profonde, urgenti, non cattedratiche, non freddamente analitiche,
non strategiche: vere). Non volevo più intrattenere discussioni superficiali,
non volevo più vivere dove tutti fingevano un’insopportabile normalità. Avevo
una tale urgenza di discussioni profonde e intense, di esperienze piene e reali
che ho intrapreso questo viaggio scegliendo la totale esposizione. Ho indossato
l’anima a fior di pelle mettendo a rischio la mia incolumità emotiva e ancora
oggi – da allora – vivo così. Ho imparato da quel viaggio che andarsene in giro
“nudi” è l’unico modo per mettere alla prova la propria forza. Ho voluto,
insomma, cominciare ad addestrare la mia psiche alla nudità e alla resistenza,
perché sentivo di aver bisogno di tutta la forza possibile per resistere al
cinismo (atteggiamento che detesto e che mi pare una lieta ammissione di
sconfitta; qualcosa a cui vorrei oppormi per il resto della vita).
Grazie a questo atteggiamento mentale, mi sono
rivista almeno un po’ in molte delle persone che abbiamo intervistato; persone
con il bisogno di dire la verità su se stesse, sulla loro comunità, sulla
loro storia. Io non so e non mi importa assolutamente nulla del se sia –
eticamente o tecnicamente – giusto o sbagliato quel che dicono gli intervistati
nel nostro film, so però che è “vero”. Ne sono certa. Diverse volte mi è
capitato di commuovermi intervistando e di vedere gli intervistati commuoversi.
Eravamo tutti esposti e fragili. Ed è qualcosa che ho voluto e cercato e
ottenuto.
Volevo incontrare esseri umani pronti a
raccontare cose “vere”. Di trattati e saggi ne avevo letti abbastanza, di
analisti, scienziati, esperti e politologi ne avevo sentiti fin troppi. Volevo
conoscere la gente, quella che come me si dibatte e si interroga e soffre e sbaglia
e si chiede: “c’è qualcosa che posso fare?”. Spero che tutto questo sia
evidente nel film. “Solo chi non fa non sbaglia” – si dice – e io ci credo
fortemente. Per questo ho sempre preferito fare e sbagliare che stare a
guardare e bearmi della mia pretesa innocenza.
Detto questo, non voglio eludere la risposta
con un generico “mi hanno colpito quasi tutti” e quindi sarà sincera fino in
fondo. In effetti c’è qualcuno che mi torna alla mente più spesso di altri: si
tratta di Christos, il professore di matematica, il dottorando in filosofia,
l’uomo impegnato politicamente e socialmente, l’anarchico.
Matematica, filosofia, politica e anarchia
sono quattro cose che amo. Le ho sempre fatte dialogare con naturalezza,
come fossero l’una emanazione dell’altra e non nasconderò il fatto che,
vederle personificate in un uomo, mi abbia colpito anche al di là dell’aspetto
strettamente professionale. Del resto, a camminare con l’anima a fior di pelle
si rischia anche questo. Comunque, la ragione per cui, oggi, posso dire di
essere rimasta colpita da lui più che da chiunque altro è che le parole di
Christos – nell’intervista di quasi due ore che gli abbiamo fatto – cantavano
all’unisono con quelle che ho nella testa.
Il mio spirito comunista-libertario ha gioito
all’idea d’aver trovato qualcuno la cui lotta interiore fosse così simile alla
mia. L’eterna lotta tra quelle che chiamo la mia “anima nichilista” e la mia
“anima marxista” l’ho rivista in Christos e mi sono sentita meno sola. Quasi
non c’è parola da lui pronunciata che io non condivida; dall’idea che, alla
base di tutto, debba esserci un’istruzione fondata sul lasciare i ragazzi
liberi di pensare e di dubitare, di esprimersi per quello che sono, a quella
che racconta della necessità di essere solidali ogni volta che se ne ha
l’occasione, del fidarsi degli esseri umani. Ecco, sono convinta che sia questo
che – essenzialmente – ha fatto sì che io abbracciassi una prospettiva
collettivista, comunitaria e libertaria: io credo nell’essere umano. Credo che
se l’essere umano verrà affrancato dalle necessità materiali; educato al
pensiero libero, all’ascolto, alla critica, al dubbio; cresciuto in una società
giusta e serena; se verrà lasciato completamente libero di scegliere per
sé e per la sua vita, alla fine sceglierà di agire con amore nei riguardi
dell’altro. E non credo serva più di questo per realizzare quella che troppo
spesso chiamiamo “Utopia” pur senza capire fino in fondo quel che diciamo.
Tutto il dolore e la gioia che sono dietro a questo semplice assunto li ho
visti passare negli occhi e nel sorriso di Christos, con la stessa dirompente
potenza che sento agitarsi dentro in me. La differenza è che in lui abitava una
maggiore calma, un conflitto più risolto, una serena “rassegnazione” all’idea
che l’Utopia abiti sempre due passi più in là,
avvicinabile ma irraggiungibile. Per questo, ancora me lo porto dentro il
Professore e non credo mi lascerà mai.
Critica Impura: Nell’’intervista a
Ioannis, amico e sodale di Panagulis, emerge in tutta la sua drammaticità il legame
tra la situazione attuale della Grecia e il regime dittatoriale di Papadopulos.
Dalle testimonianze che avete raccolto la conclusione che si potrebbe trarre è
che la democrazia sia stata minata irrimediabilmente in quel preciso momento
storico. Che rapporto sembra intercorrere, da ciò che avete potuto analizzare,
fra la vecchia classe dirigente formatasi alla scuola dei Colonnelli e
l’attuale classe dirigente greca?
Pamela: Prima di partire avevamo deciso di
leggere Un uomo di Oriana Fallaci, un capitolo a testa
ad alta voce prima di addormentarci e ci ha fatto compagnia per un bel pezzo.
Poi un giorno ad Atene, Anna decise di leggerne un po’ per conto suo, ridemmo
del tradimento e da allora non lo abbiamo più terminato. Forse eravamo
giunte a rifiutare il grido di una donna che chiedeva il riconoscimento per se
stessa soltanto del ruolo di compagna nella vicenda. Tuttavia ci colpì molto la
descrizione del funerale di Alekos nelle prime pagine del racconto e molto ci
sorprese incontrare di persona Morakis, la guardia che lo aiutò a fuggire da
Boiati. Altri “eroi della resistenza” ci è capitato di incontrare, tanti Sancho
Panza dalle vite degne di attenzione, eroi che come Cervantes combatterono
davvero, contro la dittatura in questo caso, finendo in prigione e in povertà,
dimenticati da tutti. Se la memoria non mi inganna Ioannis ha criticato
aspramente le gesta di Panagulis, lo rimproverava duramente durante
l’intervista di aver agito scioccamente poiché consapevole del fatto che il suo
attentato non sarebbe andato a buon fine.La democrazia, a mio dire, non si è
mai verificata. Come dice Cleri, è sempre stata “la democrazia dei pochi” e, se
di pochi, questa resta un’ideale filosofico a cui tendere, uno come tanti.
Anna: Uno degli slogan più urlati nelle strade
durante le manifestazioni è “Pane, educazione e libertà. La Junta non è finita
nel 1973”. Pane, educazione e libertà erano le parole d’ordine della
resistenza negli anni della Dittatura dei Colonnelli, è quindi evidente come e
quanto il legame tra i due periodi storici sia – oggi – fortemente sentito. Le
limitazioni alla libertà imposte dalla dittatura politica dei Colonnelli
vengono rispecchiate dalle limitazioni alla libertà imposte dalla dittatura
economica della Troika. Si tratta di limitazioni diverse ma tangenti che non
fanno che gettar sale sulla ferita ancora fresca del fascismo. Un fascismo
appena uscito dalla porta ma che torna a bussare alla finestra con indosso lo
stemma di Alba Dorata (il movimento neonazi appena sedutosi
al parlamento greco con il sette percento dei consensi). Il ricordo del
regime fascista (‘67 – ‘74) è così presente nella società greca che già
serpeggia, tra la gente, l’idea che l’esercito possa riproporre un colpo di
stato da un momento all’altro. Naturalmente non esiste alcuna prova a sostegno
di quest’ipotesi, ma pochi, vaghissimi indizi bastano a far scattare l’allarme.
Per non parlare, poi, della classe dirigente al governo: una classe dirigente
che affonda le sue radici in un passato che precede i Colonnelli e di cui i
Colonnelli non sono che un effetto. La ragione dello sviluppo di quella
dittatura pesa sui padri e sui nonni degli attuali dirigenti greci. I
collegamenti “famigliari” che esistono tra i politici ante-guerra e quelli
presenti sono impressionanti. La famiglia Karamanlis è al potere dagli anni ’50
e i Papandreu non sono da meno. Eppure, se i Colonnelli hanno avuto vita facile
nel far accettare il loro insediamento all’allora monarca è stato perché il
governo di Kostantinos Karamanlis era corrotto fino al midollo.
Quegli stessi governi, oggi, hanno trasportato
loro dirette emanazioni fino ai giorni nostri e, nel frattempo, l’eredità
fascista ha “donato” alla Grecia generali scalpitanti che pretendono uno stato
armato fino ai denti (la Grecia è il paese con la maggior spesa militare
d’Europa). Per l’apparato militare greco è come se la Turchia dovesse attaccare
la penisola ellenica da un momento all’altro e – in generale – il modello di
pensiero veicolato dalla classe politica e da quella militare resta quello
dell’élite che ha diritto ad abbuffarsi, a vivere nel lusso più sfrenato, che
specula senza vergogna alle spalle e per conto della popolazione, che cerca il
potere e mantiene il potere per conservare clientele e privilegi. Si tratta –
insomma – del medesimo atteggiamento mentale che viene ben esemplificato da
Sordi nel Marchese del Grillo:
“Perché io so’ io, e voi non siete un cazzo”.
Critica Impura: Sempre Ionnis
afferma, riprendendo un pensiero di Ghiannis Ritzos, che “non c’è vita senza
dignità e non c’è dignità senza lotta”. Secondo voi come stanno reagendo il
popolo greco, gli intellettuali non organici e la classe dirigente tutta?
Pamela: La frase di Ritzos che vi ha colpito
ci è stata ricordata da un ragazzo saharawi al quale viene, da ormai troppo tempo,
negato il diritto di asilo in Grecia. Si è creato un intasamento, ogni giorno
pare entrino in Grecia 300 profughi dal confine con la Turchia e le domande di
questi non vengono evase. Nel gennaio 2011, il ragazzo in questione ha
partecipato a uno sciopero della fame durato 44 giorni che ha coinvolto 300
immigrati. Si è trattato di una delle proteste più emblematiche d’Europa,
conclusasi tuttavia in un nulla di fatto. Il popolo greco sta reagendo
scendendo in piazza, scioperando, occupando luoghi di cultura per incontrarsi e
sostenersi vicendevolmente, il popolo greco sta organizzando in piccoli gruppi
una possibile resistenza. È un popolo capace di autocritica, almeno quella
porzione di popolo incontrata da noi. È una porzione stanca, che si sente
derubata e impotente. Gli stipendi, almeno ai dati raccolti ormai circa un anno
fa, sono sotto i 500 euro e le pensioni sono arrivate a 300 euro. La classe
dirigente raccontataci dagli intervistati sembra incapace di fronteggiare
la situazione, burattini nelle mani di chi burattino è già.
Anna: Alcuni si muovono, tentano,
immaginano, cambiano se stessi e il circostante. Altri restano immobili –
indifferenti o alienati – raccontando a se stessi di non poter fare nulla e
continuando a fare appello alle clientele per soddisfare necessità egoistiche.
Naturalmente, l’umanità da noi incontrata fa esattamente quel che racconta
Pamela, ovvero tutto il possibile, ma le cronache elettorali raccontano anche
un’altra storia; una storia che conosciamo bene perché è anche quella del
nostro paese. C’è chi lavora – a piccoli o grandi passi – perché il mondo
diventi un luogo di libertà e giustizia e chi lavora per tenere a galla se
stesso e nessun altro, nella convinzione che tutti possano fare altrettanto, se
vogliono. Ecco, a mio avviso, questo è “matematicamente” sbagliato. È
facile giudicare quali donchisciotteschi, folli, vanagloriosi ed egocentrici
gli sforzi di chi prova a fare qualcosa per una collettività più o meno ampia
di individui, del resto non esiste altro modo per fornire un alibi al proprio
disimpegno; difficile è capire – ma capirlo per davvero – che il bisogno
individuale è un astrazione. I bisogni sono tutti collettivi ed è per questo
che anche i diritti lo sono. Pertanto, chi vuole essere efficace e
(soprattutto!) duraturo nella difesa di un “suo” diritto, dovrà scegliere di
agire collettivamente. Se accettiamo che l’essere umano sia animale sociale, dobbiamo
accettare che non esiste altro modo per conservare la dignità individuale se
non prendendosi cura del “sé collettivo”. Agendo individualmente, prima o poi,
si pagherà lo scotto del proprio egoismo. Lo vedo nella mia terra, l’Irpinia,
così avvezza alla politica clientelare. Chi si è servito di quel sistema e –
oggi – vede il proprio lavoro svanire, i propri figli costretti ad una
dolorosissima, eterna adolescenza e la società tutta patire dell’immaturità
politica ed umana dimostrata dalle generazioni precedenti, non può fare a meno
di biasimare se stesso. E a buona ragione. Tutto questo, i greci come gli
italiani, stentano a capirlo e – di fatto – rendono meno efficace il tentativo
di chi resiste all’abbrutimento, alla logica primitiva del mors tua vita mea.
Critica Impura: La Grecia appare come
uno di tre paesi europei (Grecia, Italia e Spagna) in cui sarebbe potuta
succedere una cosa del genere, forse proprio a causa del pregresso regime dei
Colonnelli in Grecia e, in generale, della pregressa esperienza del fascismo.
Tuttavia, l’Italia e la Spagna si sono liberate del retaggio “sudamericanista”
con sessant’anni di anticipo e questo forse, in un primo momento, le ha
maggiormente preservate da danni irreparabili. L’effetto domino nei paesi
dell’Europa meridionale secondo voi fino a che punto si spingerà?
Pamela: Temo si voglia creare un Sud Europa
schiavo dei Paesi del Nord. Questa è anche la paura di Cleri, di Angelo o di
Alexandros nel documentario. Impossessandosi di terre e risorse minerarie
stanno cercando di rendere reali e materiali i denari “volatili” concessi agli
stati in difficoltà per sanare i debiti. Questo sistema di potere finirà col
ritrovarsi, prima o poi costretto a cibarsi di se stesso. Anna un giorno mi
cantava un brano di De Andrè che diceva: “non ci sono poteri buoni”:
condivido il suo pensiero, anzi sono convinta che occorra una nuova grammatica
della ribellione ovvero “antipotere anziché contropotere”. Temo ci si stia
dirigendo verso un collasso, che tuttavia credo necessario, come ogni fine, per
poi rinascere nuovi. La ragnatela degli eventi, intricatissima per i miei
ragionamenti, mi tiene in stallo il più delle volte e onestamente non riesco ad
immaginare le condizioni in cui vivremo nei prossimi decenni. Credo si possa
agire sul mondo partendo da se stessi, il mio cambiamento interiore è quello su
cui incessantemente mi applico perché credo che quello degli altri non sia mia
responsabilità. Non so se può bastare. Come dice Nikolas dell’associazione Melograno: io non intendo
convincere nessuno, mi limito ad agire e a rendere noto quello che
faccio. Il resto riguarda l’altro. Una cosa la so però: a questo livello
di coscienza l’essere umano potrebbe davvero unire le forze, partendo dalla
propria, per un processo di trasformazione che sia comune. Mi è risultato
possibile sentirmi unità anche nella Babele vissuta durante la conferenza pro-Palestina di Latuff, nel rispetto di ogni
differenza e nel caos di una comprensione verbale ma non emozionale. La
solidarietà che in certi luoghi ho potuto constatare mi muove verso nuove forme
di organizzazione sociale, è lì che intendo rivolgere la mia attenzione. Sono
certa che il potere attribuito al denaro sia uno dei mali peggiori di questa
umanità e per ora sto studiando le alternative nascenti per tentare un
sincretismo possibile. Per quanto mi riguarda continuerò a muovermi verso ciò
che mi attrae per corrispondenza e lo farò cercando dentro di me la presenza
più giusta, per sentire al meglio ciò che arriverà. La scelta di essere
presente, o quanto meno provarci, rimane ancora mia. Non voglio credere che il
mio ottimismo possa essermi sottratto. Non voglio cedere alla violenza e alla
sottomissione come unica scelta possibile.
Presumo si arriverà a breve ad un momento di
caos estremo. Quando penso che è nel XX secolo che l’interdisciplinarietà ha
come subito una accelerazione nell’entrata in gioco dello stabilire relazioni
tra i discorsi e le letture, mi pare di scorgere tra i miei pensieri un mestolo
nel ribollire. Il web ha poi permesso a moltissimi di mescolare, creando colori
nel pentolone e sfumature di vario genere e quel caos estremo e nuovamente
ordinato, quando ci decideremo ad abbassare la fiamma e a sollevare via il
mestolo, si paleserà per un triste attimo di consapevolezza e di riavvio.
Giriamo intorno secondo me a un messaggio semplice, che tendiamo a dimenticare:
“Ama il prossimo tuo perché sei tu stesso”.
Il domino poi mi ha sempre affascinata, credo
in una fitta rete di collegamenti tra esseri viventi e pur ignorando il disegno
totale dei vari tasselli sono felice di farne parte. Se cadere poi ci
consentirà di riposizionarci, ben venga la spinta che è dietro di me, mossa pur
sempre da esseri umani quanto lo sono io. Questo disegno forse non rappresenta
più ciò che siamo.
Anna: Se la medesima ricetta – senza alcuna
variazione in base alle specificità territoriali – viene applicata a paesi
diversi, non vedo come si possa evitare un effetto domino. Mi sembra un errore
di valutazione talmente caprino quello di imporre provvedimenti economici su
larga scala ed ex abrupto,
che non posso evitare di credere che l’interesse collettivo non sia al centro
delle preoccupazioni della classe dirigente europea. È evidente che a questo
gruppo di potere non importa nulla dei danni collaterali; non è interessato a
“salvare l’Europa” ma a tenere in vita un sistema economico-finanziario che ha
ampiamente mostrato la corda. La scienza insegna che la lotta per la
conservazione è fallimentare: le cose cambiano, le società e gli individui si
trasformano come tutto quanto esiste in natura. E così anche il modello
capitalistico ha fatto il suo corso. Non è più in grado di soddisfare le
esigenze dei più e la sua funzione “rivoluzionaria” – necessaria e
indispensabile perché si verificasse lo sradicamento della società feudale – si
è conclusa. Al momento, gli effetti di questo collasso sistemico si fanno
sentire meno in quei paesi europei con una democrazia più forte e strutturata,
ma parlando con amici scandinavi o tedeschi è evidente come i primi sintomi del
collasso comincino ad affliggere anche loro. Io credo moltissimo nell’Europa,
ma credo ancor di più nella Terra e ritengo che la specie umana dovrebbe
cominciare a ragionare di politica, economia e risorse in maniera globale;
provando finalmente a dar forma e sostanza a quell’egualitarismo di cui andiamo
riempiendoci la bocca da quasi trecento anni e di cui scriviamo in ogni
costituzione democratica, salvo poi trovare miliardi di possibili eccezioni che
ci salvano la faccia ma non il culo. Per questo non mi fa affatto orrore che si
ragioni da europei e ben oltre i confini nazionali, il punto è: come?.
Finché il rapporto tra Sud e Nord Europa
ricalcherà quello tra Sud e Nord America, non vedo come un ragionamento
europeista possa andare a vantaggio dei cittadini europei tutti. Perché la
vecchia idea degli “Stati Uniti D’Europa” possa aver un qualche senso occorre
dar vita a politiche economiche completamente diverse da quelle che sono state
implementate e che – finora – non hanno prodotto altro che recessione e miseria
diffusa. Se il modello di riferimento di queste classi dirigenti sono gli Stati
Uniti d’America (in cui d’unito c’è solo il nord, e il sud è ancora oggi un
centro commerciale di risorse a buon mercato e vite umane sacrificabili)
l’effetto domino è inevitabile.
Critica Impura: Una notazione
stilistica: tutto il paesaggio, le strade, i volti e le storie stesse che
narrate sono avvolte da una stupenda luce che piomba quasi con accecante
regolarità sul reale. Potete spiegarci le ragioni di questa scelta?
Pamela: Nessuna scelta in verità. Un dono;
solo ciò che è stato, senza filtri né effetti di alcun tipo. Se mio è stato
l’occhio, intanto, la bocca che ci ha permesso di comunicare è stata di Anna,
nelle fasi di registrazione. Non sono un operatore video, riconosco la mia
professionalità nel montaggio, negli ultimi dodici anni infatti mi sono
occupata di montare immagini girate da professionisti e, solo da poco e in rare
occasioni, mi sono cimentata nelle riprese, quello che vedete ha a che fare con
il mio personale gusto estetico (discutibilissimo peraltro, o anche no) condito
dalla luce emanata da chi ha deciso di parlare con noi. L’attrezzatura inoltre
è davvero obsoleta, ho girato con una Sony 100 (l’audio è stato catturato con
un collarino dal cavo neppure troppo lungo), ma questo ci ha concesso di
riportare il nostro sguardo a casa. Sguardo che durante il viaggio si è
accecato per un paio di giorni per poi ridischiudersi, quasi a volerci mostrare
aspetti-inaspettati. Mi riferisco al “fenomeno immigrazione”, che da giorni ci
accompagnava e che era attorno come un’ombra di cui noi percepivamo solo la
presenza… dopo aver riparato la telecamera la gravità della situazione si è
rivelata frontalmente senza maschere, spiazzandoci letteralmente. Bisogna
fermare gli occhi a volte per poter osservare veramente.
Anna: Sottoscrivo Pamela. Le scelte sono
arrivate in fase di post- produzione. Lì ne abbiamo fatte moltissime. Scegliere
cosa montare sulla base di settanta ore di girato, significa scegliere che film
fare tra i mille possibili. Tutta la post-produzione è permeata da precise
scelte stilistiche, come – ad esempio – quella di non utilizzare nessuna
immagine di repertorio e nessuna musica che non fosse stata registrata live durante il viaggio. Il lavoro di
pre-produzione, invece, è stato soprattutto organizzativo e ha riguardato il
reperimento di risorse, l’intreccio dei necessari contatti sul posto e la
pianificazione degli itinerari, ma anche quelli sono stati sostanzialmente
modificati dagli accadimenti. Sia in fase di pre-produzione che di ripresa,
quindi, il principale lavoro è stato scandagliare le nostre psicologie e tenere
a freno le vanità. Abbiamo lavorato costantemente su noi stesse per tener fede
ai presupposti di base, uno dei quali era non cercare nulla; tentare di non
essere mai finte, costruite; costringerci alla medesima verità che pretendevamo
dall’esterno. Non c’è un lavoro “registico” in senso classico. Non abbiamo mai
cercato la location migliore, la luce migliore,
l’inquadratura d’effetto. Abbiamo sempre intervistato le persone incontrate nei
luoghi più veri e naturali possibili, li abbiamo sempre colti in momenti che ci
sembravano rispettare le identità e la verità del racconto. Abbiamo solo
narrato al meglio delle nostre possibilità quello che ci capitava sotto gli
occhi e gli incontri che ci scorrevano tra le dita. La vera “scrittura scenica”
è arrivata dopo. Lì l’intervento soggettivo è stato enorme e decisivo.
Critica Impura: Dove è stato
proiettato finora il vostro lavoro e come è nata la collaborazione conFestivalStoria?
Pamela e Anna: Anche la
distribuzione di Ctrl+Alt+Canc
Arresta il Sistema è stata
possibile, per ora, grazie alla solidarietà e alla disponibilità di molti
circoli Arci, luoghi occupati e associazioni culturali un po’ in tutta Italia.
Abbiamo deciso per tutto il mese di giugno di accompagnare questo nostro
figlio, per mano, chiedendo di essere ospitate. Tanti ci hanno detto sì: le Scuderie Estensi del Comune di Tivoli, l’Ynot Bar ad Avellino, l’Arci Cafiero di Barletta, lo Zei Spazio Sociale di Lecce, il Circolo Arci Al Verde di Bernalda (MT), l’Ex Cinema Palazzo di Roma, ilC.S.A. Casa Loca di Milano, il Comune di Olevano Romano
e il Forte Fanfulla di Roma.
A settembre abbiamo partecipato al Faito Doc Festival e il prossimo 6 dicembre avremo
l’onore di partecipare alFestivalStoria di Napoli, grazie allo spazio
concessoci dal Prof. Angelo D’Orsi, nell’ambito di un dibattito su L’area mediterranea capro espiatorio della crisi.
Il prossimo 17 gennaio è prevista una proiezione a Tivoli presso la Casa delle Culture nella rassegna Cinekult.
Marina Paradiso e Michele Paier stanno inoltre
realizzando i sottotitoli per una possibile distribuzione in Spagna; il Festival delle Terre a Parigi ci ha chiesto di poter
visionare il nostro lavoro, aspettiamo delle risposte. Per il futuro stiamo
ragionando sul da farsi. Nostro desiderio principale comunque è tornare in
Grecia, a ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questa avventura,
quanto prima.