Oggi la V Commissione bilancio della Camera inizierà a esaminare il disegno di legge di stabilità 2013. Il testo presentato dal Consiglio dei Ministri il 16 ottobre è già stato modificato dal Presidente dell'Assemblea il 18 ottobre, a seguito del parere espresso dalla V Commissione stessa in merito all'incompatibilità di alcune parti con quanto previsto dall'articolo 11 della legge n. 196 del 31 dicembre 2009.
Le modifiche sono state solo tecniche e non politiche. In poche parole sono state stralciate tutte le parti che prevedevano interventi di carattere ordinamentale e non esclusivamente finanziario.
Per quanto riguarda la scuola nel nuovo testo non compaiono più nell'articolo 3 i commi:
32 (Personale docente dichiarato inidoneo), 33 (Diagnosi funzionale dell'alunno disabile), 35 (Salvaprecari regionale), 36 (Posto per DS o DSGA nelle scuole sottodimensionate), 39 (Uffici scolastici interregionali), 40 (Formazione delle classi nelle scuole paritarie) e 41 (Esami di idoneità).
Mentre continuano a farne parte i commi:
30 - 31 (Funzioni superiori assistenti amministrativi), 37 - 38 (Compensi per le commissioni esaminatrici dei concorsi per docenti), 42 (Aumento dell'orario di insegnamento a 24 ore nella scuola secondaria), 43 (Ferie personale docente), 44 (Monetizzazione delle ferie ai docenti precari), 45 (Inderogabilità da parte del CCNL), 46 (Distacchi), 47 - 48 (Comandi presso altre amministrazioni), 75 - 76 (Fondo per la valorizzazione dell'istruzione scolastica).
Per il momento quindi tutte le norme inserite nel disegno di legge per produrre risparmi continuano a essere presenti. Il comma 42, quello dell'aumento dell'orario di insegnamento a 24 ore, che produce la quasi totalità dei risparmi, è dunque pienamente confermato.
Nulla è cambiato rispetto al disegno di legge iniziale.
Solo nei prossimi giorni sapremo veramente in che modo la V Commissione intenderà modificare il provvedimento e quali modifiche saranno accolte o imposte dal Governo.
Milano, 24 ottobre 2012
Mario Piemontese su Rete scuole
La mia esperienza di insegnante a 24 ore
Pochi ricordano che
le 24 ore di insegnamento nella scuola già esistono. Sono una possibilità di
aumento delle ore, volontaria, che ogni docente ha fino ad arrivare appunto a
24.
Ogni anno quando il
DS constata che nella scuola sono a disposizione degli spezzoni orari ha il
dovere di proporli ai docenti già presenti nell’istituto prima di inviarli al
Provveditorato per la ricerca di un supplente annuale.
Ora, visto che gli
insegnanti non navigano nell’oro, si penserebbe che su quelle ore c’è
l’arrembaggio. Assolutamente no, la maggioranza delle volte le ore tornano al
Provveditorato che da parte sua provvede ad assegnarle.
Non avevo mai capito
il perché di questo “spreco” finché non è toccato a me.
Una decina di anni fa nella mia scuola media, in una borgata
di Roma, si erano rese disponibili 6 ore di Educazione Tecnica (ancora si
chiamava così) che furono proposte agli insegnanti della scuola. Tutti le
rifiutarono compreso io, più per imitazione che per convinzione.
Iniziò quindi la ricerca da parte del provveditorato di un
supplente a cui assegnarle. Niente, dopo un mese e mezzo il supplente non si
trovava. Era accaduto che dopo l’accorpamento della cattedra di Educazione
Tecnica si era creato un tale soprannumero di insegnanti che nessuno si era
dedicato a fare supplenze su quella materia certo che non ne avrebbe trovate.
Così, verso la fine
di ottobre, un po’ pregato e un po’ obbligato, accettai di farle io.
Senza entrare troppo nel dettaglio vado subito alle
conclusioni: è stata un’esperienza devastante che mi ha fatto giurare, arrivato
all’agognato termine, che non l’avrei più rifatta.
Non esagero, ricordo solo che gli ultimi mesi sono andato
avanti a Red Bull. Ricordo gli sfottò dei colleghi che mi vedevano berla in
sala professori, alle ultime ore, e la scorta che avevo nel cassetto.
E avevo meno di 50 anni. E avevo 3 ore per classe (quindi 9
classi) e non 2 ore come ha Tecnologia adesso.
Se dovessi insegnare ora per 24 ore avrei 12 classi, quindi circa
300 alunni e 4 terze da portare agli esami. A quasi 60 anni e con
la prospettiva di dover arrivare a 66, se non a 67.
No grazie, ho già provato. Non ho neppure il piacere di scoprire
cosa significhi avere 24 ore d’insegnamento.
Qui non si tratta di sogni infranti o di cultura negata o di
delusione esistenziale. Qui si tratta di pura, “animale” resistenza fisica,
imparagonabile con qualsiasi altro lavoro intellettuale. Ed ho parlato solo
delle 24 ore di insegnamento frontale, poi c’è tutto il resto di cui non parlo
per non tediarvi ma che conoscete bene.
Se passasse questo provvedimento l’unica soluzione per me
sarebbe o il part time o le dimissioni volontarie.
E parliamo dell’aspetto economico
Lo so..lo so che non c’è alcun aspetto economico nel provvedimento
ma, tanto per capire quanto ci estorcerebbero, vi spiego quello che ho
percepito per quelle 6 ore.
Per un periodo di
tempo che va dal 1 novembre alla fine delle lezioni ha preso 7050 € lordi che,
dopo tasse e detrazioni varie, sono diventate circa 3950 (il 44% in meno). E mi
dicono che adesso tasse e detrazioni sono arrivate al 47% (che fortuna che ho
avuto!).
Facendo le debite proporzioni ad occhio e croce se iniziassimo
dal 1 settembre a fare 24 ore ci estorcerebbero oltre 5000€ netti! Ovvero 420€
al mese. Scusate se è poco. E in più avremmo la Red Bull a nostro carico,
speriamo almeno che la rendano mutuabile.
Documento dell’assemblea autoconvocata degli insegnanti di Genova e provincia
"Dopo i durissimi attacchi alla scuola statale dei governi precedenti, molti Docenti avevano sperato che un governo di professori avrebbe, finalmente, considerato la scuola fondamentale e centrale, e non solo a parole, per la ripresa del Paese. Purtroppo la speranza si è dimostrata nuovamente mal riposta. Ancora tagli agli organici. Otto anni di blocco sugli stipendi (con perdita dal 2006 del 25% del potere d’acquisto), senza più nemmeno l’indennità di vacanza contrattuale.
Un patente disprezzo per il quotidiano lavoro dei Docenti spinge la nostra classe politica e dirigenziale persino ad stabilire, senza nessuna consultazione né trattativa ed in spregio al CCNL, un aumento secco di sei ore di insegnamento settimanale a parità di retribuzione, un’ipotesi assurda che non tiene assolutamente conto né di quello che significa insegnare, né della fatica intellettuale che questo comporta, sia in termini di preparazione di lezioni che di lavoro con gli studenti. Se tale scriteriata idea è stata partorita in base ad una logica puramente ragionieristica, ciò significa che essa ha come scopo solo lo smantellamento della scuola statale. Il tutto sembra rientrare nella tecnica tutta politica di depauperare i lavoratori e di togliere ai giovani finanche la speranza di trovare lavoro. Mentre si confermano gigantesche spese militari e privilegi per le caste di potere, non vi sono patrimoniali eque e non viene risolto il problema dei cento miliardi annui di evasione fiscale.
Ciò nondimeno, la nostra preoccupazione di Docenti della Repubblica va soprattutto alla prossima trasformazione in legge del Ddl 953 (ex disegno di legge Aprea) sulla “Autonomia statutaria delle Istituzioni Scolastiche”: legge che molto probabilmente verrà varata, grazie all’inusitata armonia bipartisan tra partiti apparentemente avversi su tutto, tranne che sulla distruzione della Scuola Statale istituita dalla Costituzione.
Questa legge prevede la creazione di un «consiglio dell’Autonomia» al posto dell’attuale Consiglio d’Istituto, organo di indirizzo della scuola. Non ne farà più parte il personale non docente della scuola, al posto del quale troveremo invece «membri esterni, scelti fra le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, in numero non superiore a 2 […]» (art. 4), i cui dubbi criteri di individuazione hanno solo una certezza: un regalo di potere ideologico e finanziario al localismo territoriale. La logica della convenienza privata e della clientela si sostituirà così al controllo democratico dell’interesse collettivo, perché ogni scuola sarà esposta ai poteri forti presenti nel territorio. Ogni Consiglio dell’Autonomia elaborerà uno «Statuto autonomo», diverso per ciascuna delle diecimila scuole italiane, che regolamenterà (normalizzandole) l’amministrazione dell’Istituto, la strutturazione degli organi interni, nonché le delicate relazioni tra le diverse componenti che ne fanno parte: materie finora regolate da una normativa unitaria per tutto il territorio nazionale. Lo Stato, insomma, non garantirà più le pari opportunità degli studenti nell’esercizio del diritto allo studio.
Inoltre lo Statuto definirà in ogni scuola le regole secondo cui studenti e genitori avranno il diritto di partecipare; cancellando così il Decreto Legislativo 297/94 (Testo Unico sulla scuola) che finora dettava le norme sugli organi collegiali. Quei decreti delegati, conquista di dignità e di democrazia, che hanno dato voce a tutte le componenti della scuola.
E non è tutto: lo Statuto autonomo di ogni singola scuola scavalcherà le competenze didattiche dei Docenti e la loro libertà di insegnamento, perché stabilirà «la composizione e le modalità della necessaria partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione e raggiungimento degli obiettivi educativi di ogni singola classe (art. 6 c. 4)».
Verrà istituito un «nucleo di autovalutazione» con il compito di giudicare la “qualità” della scuola (art. 8)». Ne faranno parte uno o più membri esterni, che giudicheranno in collaborazione con l’Invalsi e sulla base dei suoi famigerati quiz.
L’articolo 10 prevede l’opportunità di «ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico delle loro attività», rimarcando che queste «possono essere soggetti sia pubblici che privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni no profit (art. 10 c. 2)».
Tali soggetti avrebbero il proprio posto nel Consiglio dell’Autonomia, implicitamente condizionandone le scelte, secondo criteri altri rispetto a quelli della libertà di ricerca, di pensiero, di insegnamento, di apprendimento, sancita dalla Costituzione repubblicana.
Pertanto, noi sottoscritti Docenti delle scuole di Genova e provincia , nella piena consapevolezza dei nostri diritti, delle nostre prerogative in ambito pedagogico-didattico e, soprattutto, della nostra dignità, rifiutiamo con forza la politica governativa sulla Scuola, e invitiamo i Colleghi di tutte le Scuole d’Italia a respingere con tutte le proprie forze il Ddl 953 (ex disegno di legge Aprea) sulla “Autonomia statutaria delle Istituzioni Scolastiche”, nel nome della Costituzione, delle leggi tuttora vigenti, della libertà di insegnamento, della libertà di pensiero, della libertà di apprendimento.
Rifiutiamo la logica, neoliberista ed antiliberale, che ha spinto il Presidente del Consiglio a tagliare ulteriori fondi alla Scuola Statale e a dichiarare, nell’agosto scorso, che «Il governo non farà mancare alle scuole non statali, cui riconosce una essenziale funzione, il necessario sostegno economico». Se questa logica prevalesse, se fosse varata la controriforma che il Ddl 953 prefigura, noi Docenti non saremmo più liberi di decidere che cosa insegnare e come (con gravissimo pregiudizio per il progresso culturale e civile di questo Paese); il potere discrezionale dei Dirigenti Scolastici aumenterebbe enormemente (alla faccia della “autonomia”); la didattica verrebbe decisa non più dai Docenti, ma dai privati esterni.
Invitiamo tutti i lavoratori della Scuola ad adottare ogni possibile e legale forma di lotta per impedire che questo scempio della comune libertà avvenga; a restituire le tessere di quei sindacati e di quei partiti politici che questo scempio non respingeranno esplicitamente e fattivamente. Invitiamo sempre le forze sindacali tutte a proclamare un vero sciopero generale di tutti i lavoratori della scuola, non depotenziato in partenza dalla scelta del sabato, quando le scuole primarie e medie sono chiuse come del resto gran parte delle scuole superiori.
Invitiamo i genitori e i cittadini a sostenerci e a difendere con noi la Scuola Statale. Altrimenti, il destino delle nostre scuole e dei nostri figli sarà in balia di poteri economici e dei loro ricatti clientelari. Inoltre, le scuole dei territori più poveri verranno ulteriormente impoverite, perché lo Stato non sarà più il principale finanziatore dell’istituzione scolastica.
Invitiamo gli studenti, nostri alunni e nostri figli, a sostenerci e a difendere con noi la Scuola Statale: per non avere Docenti ricattati, demotivati e costretti a diventare trasmettitori di quanto imposto da forze esterne; per far valere ancora le proprie ragioni nei Consigli di Classe; per impedire che ogni scuola abbia il proprio regime, e che i diritti degli studenti non siano più garantiti.
I docenti riuniti in assemblea propongono a tutti i colleghi e ai lavoratori delle scuole genovesi le seguenti forme di lotta ( da adottare in toto o solo in parte):
:
1) blocco delle attività extracurricolari (cordinamento di classe e di dipartimento, progetti, commissioni, uscite e viaggi di istruzione, e tutto quanto non espressamente previsto dal CCNL);
2) blocco delle nuove adozioni dei libri di testo;
3) organizzare una giornata o più giornate di autogestione delle scuole insieme agli studenti, durante le quali i docenti svolgano attività didattica alternativa spiegando agli studenti e alle famiglie la gravità dell’ attacco in corso alla scuola pubblica e l’ importanza della sua difesa;
4) non partecipare al Festival della Scienza;
5) valutare la possibilità di un ricorso al TAR;
6) blocco degli scrutini del primo quadrimestre e finali;
7) rifiuto di collaborare ai test INVALSI;
8) organizzare una manifestazione cittadina insieme a studenti, genitori e cittadini in occasione della giornata inaugurale del “Salone dell’orientamento”.
Invitiamo le forze sindacali tutte a proclamare un vero sciopero generale di tutti i lavoratori della scuola, non depotenziato in partenza dalla scelta del sabato, quando le scuole primarie e medie sono chiuse come del resto gran parte delle scuole superiori.
Chiediamo, inoltre, a tutte le organizzazioni sindacali di sostenere e fare proprie queste nostre proposte, altrimenti ci vedremo costretti a restituire le nostre tessere e revocare l’iscrizione al sindacato.
I docenti presenti hanno anche deciso di riconvocarsi in assemblea in data 5 novembre p.v. alle h. 14.30".
Genova, 19/10/2012
Un patente disprezzo per il quotidiano lavoro dei Docenti spinge la nostra classe politica e dirigenziale persino ad stabilire, senza nessuna consultazione né trattativa ed in spregio al CCNL, un aumento secco di sei ore di insegnamento settimanale a parità di retribuzione, un’ipotesi assurda che non tiene assolutamente conto né di quello che significa insegnare, né della fatica intellettuale che questo comporta, sia in termini di preparazione di lezioni che di lavoro con gli studenti. Se tale scriteriata idea è stata partorita in base ad una logica puramente ragionieristica, ciò significa che essa ha come scopo solo lo smantellamento della scuola statale. Il tutto sembra rientrare nella tecnica tutta politica di depauperare i lavoratori e di togliere ai giovani finanche la speranza di trovare lavoro. Mentre si confermano gigantesche spese militari e privilegi per le caste di potere, non vi sono patrimoniali eque e non viene risolto il problema dei cento miliardi annui di evasione fiscale.
Ciò nondimeno, la nostra preoccupazione di Docenti della Repubblica va soprattutto alla prossima trasformazione in legge del Ddl 953 (ex disegno di legge Aprea) sulla “Autonomia statutaria delle Istituzioni Scolastiche”: legge che molto probabilmente verrà varata, grazie all’inusitata armonia bipartisan tra partiti apparentemente avversi su tutto, tranne che sulla distruzione della Scuola Statale istituita dalla Costituzione.
Questa legge prevede la creazione di un «consiglio dell’Autonomia» al posto dell’attuale Consiglio d’Istituto, organo di indirizzo della scuola. Non ne farà più parte il personale non docente della scuola, al posto del quale troveremo invece «membri esterni, scelti fra le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, in numero non superiore a 2 […]» (art. 4), i cui dubbi criteri di individuazione hanno solo una certezza: un regalo di potere ideologico e finanziario al localismo territoriale. La logica della convenienza privata e della clientela si sostituirà così al controllo democratico dell’interesse collettivo, perché ogni scuola sarà esposta ai poteri forti presenti nel territorio. Ogni Consiglio dell’Autonomia elaborerà uno «Statuto autonomo», diverso per ciascuna delle diecimila scuole italiane, che regolamenterà (normalizzandole) l’amministrazione dell’Istituto, la strutturazione degli organi interni, nonché le delicate relazioni tra le diverse componenti che ne fanno parte: materie finora regolate da una normativa unitaria per tutto il territorio nazionale. Lo Stato, insomma, non garantirà più le pari opportunità degli studenti nell’esercizio del diritto allo studio.
Inoltre lo Statuto definirà in ogni scuola le regole secondo cui studenti e genitori avranno il diritto di partecipare; cancellando così il Decreto Legislativo 297/94 (Testo Unico sulla scuola) che finora dettava le norme sugli organi collegiali. Quei decreti delegati, conquista di dignità e di democrazia, che hanno dato voce a tutte le componenti della scuola.
E non è tutto: lo Statuto autonomo di ogni singola scuola scavalcherà le competenze didattiche dei Docenti e la loro libertà di insegnamento, perché stabilirà «la composizione e le modalità della necessaria partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione e raggiungimento degli obiettivi educativi di ogni singola classe (art. 6 c. 4)».
Verrà istituito un «nucleo di autovalutazione» con il compito di giudicare la “qualità” della scuola (art. 8)». Ne faranno parte uno o più membri esterni, che giudicheranno in collaborazione con l’Invalsi e sulla base dei suoi famigerati quiz.
L’articolo 10 prevede l’opportunità di «ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico delle loro attività», rimarcando che queste «possono essere soggetti sia pubblici che privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni no profit (art. 10 c. 2)».
Tali soggetti avrebbero il proprio posto nel Consiglio dell’Autonomia, implicitamente condizionandone le scelte, secondo criteri altri rispetto a quelli della libertà di ricerca, di pensiero, di insegnamento, di apprendimento, sancita dalla Costituzione repubblicana.
Pertanto, noi sottoscritti Docenti delle scuole di Genova e provincia , nella piena consapevolezza dei nostri diritti, delle nostre prerogative in ambito pedagogico-didattico e, soprattutto, della nostra dignità, rifiutiamo con forza la politica governativa sulla Scuola, e invitiamo i Colleghi di tutte le Scuole d’Italia a respingere con tutte le proprie forze il Ddl 953 (ex disegno di legge Aprea) sulla “Autonomia statutaria delle Istituzioni Scolastiche”, nel nome della Costituzione, delle leggi tuttora vigenti, della libertà di insegnamento, della libertà di pensiero, della libertà di apprendimento.
Rifiutiamo la logica, neoliberista ed antiliberale, che ha spinto il Presidente del Consiglio a tagliare ulteriori fondi alla Scuola Statale e a dichiarare, nell’agosto scorso, che «Il governo non farà mancare alle scuole non statali, cui riconosce una essenziale funzione, il necessario sostegno economico». Se questa logica prevalesse, se fosse varata la controriforma che il Ddl 953 prefigura, noi Docenti non saremmo più liberi di decidere che cosa insegnare e come (con gravissimo pregiudizio per il progresso culturale e civile di questo Paese); il potere discrezionale dei Dirigenti Scolastici aumenterebbe enormemente (alla faccia della “autonomia”); la didattica verrebbe decisa non più dai Docenti, ma dai privati esterni.
Invitiamo tutti i lavoratori della Scuola ad adottare ogni possibile e legale forma di lotta per impedire che questo scempio della comune libertà avvenga; a restituire le tessere di quei sindacati e di quei partiti politici che questo scempio non respingeranno esplicitamente e fattivamente. Invitiamo sempre le forze sindacali tutte a proclamare un vero sciopero generale di tutti i lavoratori della scuola, non depotenziato in partenza dalla scelta del sabato, quando le scuole primarie e medie sono chiuse come del resto gran parte delle scuole superiori.
Invitiamo i genitori e i cittadini a sostenerci e a difendere con noi la Scuola Statale. Altrimenti, il destino delle nostre scuole e dei nostri figli sarà in balia di poteri economici e dei loro ricatti clientelari. Inoltre, le scuole dei territori più poveri verranno ulteriormente impoverite, perché lo Stato non sarà più il principale finanziatore dell’istituzione scolastica.
Invitiamo gli studenti, nostri alunni e nostri figli, a sostenerci e a difendere con noi la Scuola Statale: per non avere Docenti ricattati, demotivati e costretti a diventare trasmettitori di quanto imposto da forze esterne; per far valere ancora le proprie ragioni nei Consigli di Classe; per impedire che ogni scuola abbia il proprio regime, e che i diritti degli studenti non siano più garantiti.
I docenti riuniti in assemblea propongono a tutti i colleghi e ai lavoratori delle scuole genovesi le seguenti forme di lotta ( da adottare in toto o solo in parte):
:
1) blocco delle attività extracurricolari (cordinamento di classe e di dipartimento, progetti, commissioni, uscite e viaggi di istruzione, e tutto quanto non espressamente previsto dal CCNL);
2) blocco delle nuove adozioni dei libri di testo;
3) organizzare una giornata o più giornate di autogestione delle scuole insieme agli studenti, durante le quali i docenti svolgano attività didattica alternativa spiegando agli studenti e alle famiglie la gravità dell’ attacco in corso alla scuola pubblica e l’ importanza della sua difesa;
4) non partecipare al Festival della Scienza;
5) valutare la possibilità di un ricorso al TAR;
6) blocco degli scrutini del primo quadrimestre e finali;
7) rifiuto di collaborare ai test INVALSI;
8) organizzare una manifestazione cittadina insieme a studenti, genitori e cittadini in occasione della giornata inaugurale del “Salone dell’orientamento”.
Invitiamo le forze sindacali tutte a proclamare un vero sciopero generale di tutti i lavoratori della scuola, non depotenziato in partenza dalla scelta del sabato, quando le scuole primarie e medie sono chiuse come del resto gran parte delle scuole superiori.
Chiediamo, inoltre, a tutte le organizzazioni sindacali di sostenere e fare proprie queste nostre proposte, altrimenti ci vedremo costretti a restituire le nostre tessere e revocare l’iscrizione al sindacato.
I docenti presenti hanno anche deciso di riconvocarsi in assemblea in data 5 novembre p.v. alle h. 14.30".
Genova, 19/10/2012
Flash Mob di Protesta dei Professori a Roma il 21 ottobre 2012
Manifestazione domenicale di
centinaia di professori che hanno organizzato oggi a Roma un flash mob (riunione che si dissolve nel giro di poco tempo)
davanti al ministero dell'Istruzione per protestare contro l'aumento a 24 ore
dell'orario di lezione frontale previsto nella legge di stabilità.
Ieri sera i docenti si sono inviati sms con il cellulare per autoconvocare la riunione alle 11 davanti al MIUR. Oltre 200 di loro, senza simboli né di partiti né di sindacati, attraversando la strada da un lato all'altro di viale Trastevere, hanno di fatto bloccato il traffico sia veicolare che su rotaia.
vedi anche:
- Flash mob dei professori al ministero traffico bloccato aTrastevere
- Flash mob dei professori al ministero
Ieri sera i docenti si sono inviati sms con il cellulare per autoconvocare la riunione alle 11 davanti al MIUR. Oltre 200 di loro, senza simboli né di partiti né di sindacati, attraversando la strada da un lato all'altro di viale Trastevere, hanno di fatto bloccato il traffico sia veicolare che su rotaia.
clicca sulle foto per ingrandirle
vedi anche:
- Flash mob dei professori al ministero traffico bloccato aTrastevere
- Flash mob dei professori al ministero
In America si insegna così
Lettera di un insegnante italiano in USA al Blog di Beppe
Severgnini
Caro Beppe/Italians, si e` parlato di scuola in Italia,
cosi` vorrei parlarvi della mia esperienza di insegnante in una scuola
superiore pubblica qui negli USA. Prima di tutto, sappiate che le scuole
(pubbliche) sono molto diverse da stato a stato: stipendi, programmi didattici,
contratti lavorativi etc. Io insegno (matematica) nella regione di
Philadelphia. Prima di venire qui ho insegnato in Italia (superiori), poi nel
South Carolina. Ecco alcuni dati (mi limito al punto di vista dell’insegnante).
1. L’esame di abilitazione lo fai quando vuoi, ed e` (troppo) facile. 2. Non
esistono concorsi: se sei bravo, ti assumono con un regolare colloquio e
lettera/e di raccomandazione (intendo all’americana, cioe` una raccomandazione
oggettiva e verificabile, scritta da ex preside o simile). Spesso ti fanno
insegnare una lezione per vedere come te la cavi in termini di preparazione e
rapporto con gli studenti. 3. Dopo tre anni di servizio “soddisfacente” diventi
“tenior” cioe` di ruolo. 4. La giornata lavorativa e` dalle 7.20 alle 15, dal
lunedi` al venerdi`. Bisogna restare nell’edificio (a parte la scappatina al
bar per un caffe`). Ore di insegnamento attivo (con studenti in classe): 22-23
in settimana, il resto preparazione, correzione temi, sorveglianza, lettura “Italians”
etc… 5. Gli stipendi vanno da $35000 a $98000 lordi l’anno, a seconda degli
anni di servizio e del tipo di laurea (“normale”, master, o phd). Dopo 15 anni
si raggiunge il massimo di anzianita` salariale. 6. Le attivita` dopo scuola
sono remunerate separatamente (molti clubs e sport). 7. Contratto triennale
molto dettagliato, e solo per il nostro distretto scolastico (4 scuole in
tutto). 8. Negli ultimi anni e` diventato molto difficile trovare un posto in
una buona scuola, mentre e` relativamente facile insegnare in aree povere
(rurali o urbane che siano).
Per me il punto 2 e` stato come essere in paradiso. Il punto
4 potra` sembrare pesante, in realta` anche in Italia lavoravo tanto quanto
ora. Saluti,
Massimo Malossini, maxmalossini@gmail.com
fonte: http://italians.corriere.it
Le 6 Ore In Più? Una Furbata Della Ragioneria Generale Per La Casta
Lucida analisi di Oscar Giannino, apparsa su Tempi.it, che, oltre a indurre alla riflessione sulle effettive angherie della casta, la dice lunga sulla effettiva fedeltà del funzionari della Ragioneria della Stato.
Commentando le vessazioni della legge di stabilità a carico soprattutto della povera gente, Giannino afferma: “Quando si scopre che è la Ragioneria generale a decidere di aumentare di 6 ore in assenza di corrispettivo l’insegnamento frontale dei docenti delle medie e superiori, non si sa se ridere o piangere. Così si risparmia sulle supplenze affidate ai precari, certo. Ma comparate questa misura a quanto è successo negli stessi giorni al portafoglio dei mandarini di Stato. La Corte costituzionale ha deciso per loro, e i giudici hanno ringraziato. Gli italiani perdono reddito a livelli record. Ma questo riguarda noi, poveri sudditi. Chi indossa la livrea del sovrano pubblico incassa. Il Tesoro dovrà trovare altri pacchi di milioni per restituire denari a chi dallo Stato ne prende più di 90 mila l’anno. Usciranno come sempre dalle vostre tasche. Mica è solo quella politica, la casta intoccabile.”
Il problema però, secondo Giannino, e che tutto questo meccanismo di restituzione di soldi ai burocrati “puzza di bruciato sin dall’inizio”.
Infatti “quando due anni fa Tremonti chiese un contributo di solidarietà del 5 per cento ai pubblici dirigenti sopra i 90 mila euro, e del 10 sopra i 150 mila” i tecnici della Ragioneria generale, che hanno scritto materialmente la norma, capendo benissimo che si rivolgeva contro di loro, l’hanno formulato con la consapevolezza del vulnus in modo che la Corte non avrebbe potuto fare altro che annullare la legge di solidarietà che li colpiva.
Per Giannino infatti i funzionari della Ragioneria non avrebbero mai potuto “ignorare che andava formulata per bene proprio per evitare di incappare nell’ovvia obiezione di incostituzionalità per lesa eguaglianza.
Invece la norma è stata proprio scritta – da coloro al cui reddito si applicava – strizzando l’occhietto alla Corte. Che, venuto il suo turno, non ha mancato di sparare. “
Ma l’economista aggiunge ancora: “Il punto non è tanto e solo la mancata previsione di un analogo contributo per i dirigenti privati, ma di aver omesso che la soglia del reddito nel pubblico valeva sia per chi è contrattualizzato, sia per chi, come giudici e militari, non ha contratto, sia per chi la superasse per indennità integrative, contrattualizzate o meno.
Capitava così che il taglio scattasse per i dirigenti dell’Agenzia delle entrate, ma non per quelli di Sogei.
Non ci credo che chi ha fatto errori così pedestri sia un somaro.
È un beneficiario interessato ad aggirare un taglio, e ha ottenuto il suo fine. La Corte, per non farci mancare nulla, ha aggiunto anche la restituzione ai giudici degli adeguamenti automatici retributivi – quelli che abbiamo levato ai pensionati al minimo – scrivendo che sono garanzia di «serenità e indipendenza del magistrato».
A questo punto di disperante asimmetria per cui lo Stato prende e il suddito paga, è solo una chicca barocca. Il supremo scherno che gli intoccabili riservano a noi paria.”
E di fronte a quanto sostiene Giannino c’è quantomeno di rimanere allibiti, sia per l’assenso del ministro ad accettare una ulteriore stangata a danno dei docenti e della scuola per favorire funzionari probamente “infedeli”, e sia per l’ulteriore ignobile colpo contro i lavoratori che lavorano e penano e subiscono mazzate per mantenere privilegi, tenori di vita altissimi e benessere a presunti filibustieri sempre all’arrembaggio nelle tasche degli altri.
Più che sconfortante.
Commentando le vessazioni della legge di stabilità a carico soprattutto della povera gente, Giannino afferma: “Quando si scopre che è la Ragioneria generale a decidere di aumentare di 6 ore in assenza di corrispettivo l’insegnamento frontale dei docenti delle medie e superiori, non si sa se ridere o piangere. Così si risparmia sulle supplenze affidate ai precari, certo. Ma comparate questa misura a quanto è successo negli stessi giorni al portafoglio dei mandarini di Stato. La Corte costituzionale ha deciso per loro, e i giudici hanno ringraziato. Gli italiani perdono reddito a livelli record. Ma questo riguarda noi, poveri sudditi. Chi indossa la livrea del sovrano pubblico incassa. Il Tesoro dovrà trovare altri pacchi di milioni per restituire denari a chi dallo Stato ne prende più di 90 mila l’anno. Usciranno come sempre dalle vostre tasche. Mica è solo quella politica, la casta intoccabile.”
Il problema però, secondo Giannino, e che tutto questo meccanismo di restituzione di soldi ai burocrati “puzza di bruciato sin dall’inizio”.
Infatti “quando due anni fa Tremonti chiese un contributo di solidarietà del 5 per cento ai pubblici dirigenti sopra i 90 mila euro, e del 10 sopra i 150 mila” i tecnici della Ragioneria generale, che hanno scritto materialmente la norma, capendo benissimo che si rivolgeva contro di loro, l’hanno formulato con la consapevolezza del vulnus in modo che la Corte non avrebbe potuto fare altro che annullare la legge di solidarietà che li colpiva.
Per Giannino infatti i funzionari della Ragioneria non avrebbero mai potuto “ignorare che andava formulata per bene proprio per evitare di incappare nell’ovvia obiezione di incostituzionalità per lesa eguaglianza.
Invece la norma è stata proprio scritta – da coloro al cui reddito si applicava – strizzando l’occhietto alla Corte. Che, venuto il suo turno, non ha mancato di sparare. “
Ma l’economista aggiunge ancora: “Il punto non è tanto e solo la mancata previsione di un analogo contributo per i dirigenti privati, ma di aver omesso che la soglia del reddito nel pubblico valeva sia per chi è contrattualizzato, sia per chi, come giudici e militari, non ha contratto, sia per chi la superasse per indennità integrative, contrattualizzate o meno.
Capitava così che il taglio scattasse per i dirigenti dell’Agenzia delle entrate, ma non per quelli di Sogei.
Non ci credo che chi ha fatto errori così pedestri sia un somaro.
È un beneficiario interessato ad aggirare un taglio, e ha ottenuto il suo fine. La Corte, per non farci mancare nulla, ha aggiunto anche la restituzione ai giudici degli adeguamenti automatici retributivi – quelli che abbiamo levato ai pensionati al minimo – scrivendo che sono garanzia di «serenità e indipendenza del magistrato».
A questo punto di disperante asimmetria per cui lo Stato prende e il suddito paga, è solo una chicca barocca. Il supremo scherno che gli intoccabili riservano a noi paria.”
E di fronte a quanto sostiene Giannino c’è quantomeno di rimanere allibiti, sia per l’assenso del ministro ad accettare una ulteriore stangata a danno dei docenti e della scuola per favorire funzionari probamente “infedeli”, e sia per l’ulteriore ignobile colpo contro i lavoratori che lavorano e penano e subiscono mazzate per mantenere privilegi, tenori di vita altissimi e benessere a presunti filibustieri sempre all’arrembaggio nelle tasche degli altri.
Più che sconfortante.
di Pasquale Almirante su http://www.tecnicadellascuola.it
Aumento a 24 ore: lettera del Presidente del CiDi Napoli
PROPOSTA INDECENTE
Dopo una ridda di indiscrezioni e di parziali marce indietro sembra che l’articolo che prevede un orario di servizio di 24 ore a parità di stipendio per gli insegnanti della secondaria sia rimasto inalterato nel Disegno di legge che il Governo proporrà al Parlamento, anche se (bontà sua) il ministro Profumo, con i suoi ineffabili colleghi, si mostra disponibile alla discussione e a modifiche, purché “a saldi invariati”.
Ecco, ai nostri governanti la scuola appare così: un limone da spremere finché non avrà più succo, finché resterà avvizzita e inaridita; non basta che abbia contribuito per l’86% al risparmio della spesa statale, che abbia subito il blocco di retribuzioni già in coda a tutte le classifiche europee, forse c’è ancora qualcosa da cavarne.
Peccato! Molti di noi pensavano che il ministro Profumo, un accademico di rilievo, uomo di sinistra (è stato candidato alle primarie del Pd per il comune di Torino), avrebbe potuto ridare slancio ad una scuola falcidiata dai provvedimenti di Gelmini-Tremonti.
Ma così non è stato. Tuttavia dispiace che l’ex-rettore mostri così palesemente di condividere i peggiori pregiudizi brunettiani, che ormai da anni colpiscono la scuola e i suoi operatori.
A quale altra categoria, se non a presunti fannulloni, si potrebbe imporre un incremento di un terzo dell’orario di lavoro a parità di stipendio senza colpo ferire?
Certo, l’orario di lavoro degli insegnanti potrebbe apparire estremamente ridotto, se confrontato con quello previsto da contratti di altre categorie, anche all’interno dello stesso comparto pubblico. Ma, a parte il fatto che l’insegnamento può essere considerato un lavoro certamente usurante, come dimostra il drammatico incremento della sindrome di burn-out tra gli insegnanti, e che il contratto di lavoro prevede comunque 40+40 ore di impegno collegiale (ma forse il Ministro le considera un’inutile perdita di tempo, o un modo di impiegare amenamente le giornate), chi può credere, se non un osservatore prevenuto e distratto, che l’impegno dell’insegnante si riduca alle lezioni? E non vanno preparate? Magari con quelle slides e con quegli strumenti digitali che tanto piacciono al Ministro? E i compiti in classe? Non vanno elaborati e corretti? E giudicati e valutati? E commentati e magari riproposti? Ormai quasi tutte le discipline (anche Educazione Fisica) prevedono alle superiori il doppio voto, orale e scritto (un residuo ottocentesco che ormai andrebbe superato).
E la personalizzazione, l’individualizzazione, la laboratorialità, la collegialità, la condivisione, lo sviluppo delle competenze, di cui sono pieni i documenti ministeriali, sono vuote parole, l’ultima frontiera del burocratese scolastico, l’ennesima riforma gattopardesca del “tutto deve cambiare perché nulla cambi”, o richiedono da parte degli insegnanti impegno, riflessione, progettazione, collaborazione, che certo non possono mettersi in atto tra i muri di una classe e in presenza degli studenti, ma nei (rari) spazi di collegialità, o, più spesso, in riunioni informali, già oggi gratuite e volontarie, a casa, al telefono, al computer?
Insomma, caro ministro Profumo, o lei ha una visione ottocentesca della scuola (tablet a parte), o davvero crede che gli insegnanti siano una pletora di fannulloni (da smuovere, ipse dixit, col bastone e la carota, ma più bastone), oppure sta raccontando l’ennesima favola in cui la scuola ha il ruolo del capro espiatorio.
Piuttosto che modificare ex-lege un contratto vigente si discuta seriamente con i sindacati, con l’associazionismo, con il mondo della scuola tutto, su un nuovo modello di scuola, ma che sia davvero nuovo, negli spazi, nei tempi, negli strumenti.
Che nel contratto della scuola molto vi sia di obsoleto e di non rispondente ad una idea di scuola moderna ed efficace, è vero. Ma ciò non va a vantaggio degli insegnanti, come molti pensano, quasi consentisse un impegno relativo, con molto tempo libero e tre mesi di ferie. Piuttosto, va a loro detrimento, perché impedisce un reale apprezzamento dell’impegno che il lavoro scolastico richiede e ne rende impossibile la precisa quantificazione.
Credo che molti insegnanti sarebbero favorevoli ad un orario lungo, con uno stipendio congruo, in cui fossero concentrate tutte le incombenze che il loro lavoro richiede, dalla preparazione delle lezioni e dei compiti alla loro correzione, in luoghi adeguatamente attrezzati, agli incontri con gli studenti e le famiglie, agli interventi di approfondimento e recupero.
Ma questo significherebbe un reale investimento per la qualità. Sarebbe interessante conoscere quale partito sia disposto a dichiararsi favorevole ad una prospettiva del genere, ora che le elezioni sono vicine.
E poi, queste sei ore in più non si inserirebbero certo in una prospettiva didattica, di organico funzionale, da impiegare secondo le esigenze del progetto formativo di istituto, così da permettere ad esempio compresenze o articolazioni diversificate del gruppo classe, ma sarebbero da spendere in un’ottica meramente frontale, per coprire spezzoni vacanti o colleghi assenti, finendo così per rendere più ardue le condizioni di lavoro, svilendo la qualità dell’insegnamento, e per danneggiare i precari e i giovani, ai quali pure il ministro dichiara di voler aprire le porte della scuola con il concorso appena bandito.
Insomma, un pasticcio da rispedire al mittente, e di cui chiedere una indiscutibile bocciatura alle forze politiche in cui ci riconosciamo, che avranno qui un significativo banco di prova pre-elettorale.
Infine, un’ultima beffa: il Ministro ha dichiarato che i risparmi realizzati serviranno per migliorare la sicurezza delle scuole e per arricchire la formazione degli insegnanti (magari mediante gli immancabili tablet, che sembra il ministero si stia preparando ad acquistare in larga scala). Ma formazione dei dipendenti e sicurezza degli edifici non sarebbero dovere di un efficace datore di lavoro? O forse sono i lavoratori a doverseli pagare di tasca propria, come sembra suggerire il ministro? Sarebbe come se gli operai delle industrie emiliane, i cui capannoni sono crollati per le scosse di terremoto, li riedificassero a proprie spese attraverso trattenute sullo stipendio.
Che la scuola italiana si regga sulle spalle degli insegnanti lo sappiamo già da tempo, ora, teste Profumo, la metafora diventa verità letterale.
Antonio Maiorano
(Presidente Cidi Napoli)
Lettera al Ministro Profumo di un'Insegnante molto incattivita
Signor ministro Profumo,
mi piacerebbe che questa mail arrivasse fino
a Lei e non ad uno dei suoi segretari o membri del suo staff, per
poterLe trasmettere, con le mie parole, tutta l'indignazione che provo
per le Sue ultime dichiarazioni e per i provvedimenti che il Suo
governo intende prendere riguardo alla scuola.
Mi presento: mi chiamo
Antonietta Brillante; sono dottore di ricerca in filosofia politica; ho
ottenuto tre abilitazioni alll'ultimo concorso indetto alla fine degli
anni 90; sono entrata di ruolo nella scuola pubblica nel 2004 e
attualmente insegno filosofia e scienze della formazione presso il
Liceo Forteguerri di Pistoia.
In base a quanto ho appena letto su
alcuni quotidiani, Lei ha argomentato la proposta di portare a 24 ore
settimanali l'attività di insegnamento dei docenti della scuola
secondaria, sostenendo che "bisogna portare il livello di impegno dei
docenti sugli standard dell'Europa occidentale".
Mi chiedo e Le chiedo
se Lei è mai stato in una scuola di un Paese dell'Europa occidentale,
possibilmente del nord-Europa. E' un interrogativo che non mi pongo da
oggi, ma che oggi, a fronte delle Sue ultime dichiarazioni, si fa più
impellente ed esige una risposta precisa.
Ebbene, io Le posso dire
che ci sono stata. Quattro anni fa, sono stata in Danimarca, in un
paesino dello Jutland, Skive, per due settimane. Ho accompagnato una
classe ad uno scambio e, dal momento che insegno in un Liceo
pedagogico, abbiamo visitato, full-time, per 14 giorni, scuole di ogni
ordine e grado: dai Kindergarten ai Licei. Le posso anche dire che le
nostre scuole, per quanto riguarda le strutture, i materiali didattici,
gli spazi e i tempi della didattica, sono proprie di un Paese arretrato
e sottosviluppato: e di questo, la responsabilità è di chi ha deciso,
da vent'anni a questa parte che, prima, per entrare in Europa, poi, per
far fronte alla crisi, bisogna tagliare la spesa pubblica, cioè la
scuola, la sanità, le pensioni (sia mai le spese militari - vedi
acquisto degli F 135 - o le missioni militari all'estero). Per inciso,
"ricette" per le quali non è necessario un governo di "tecnici", né lo
stipendio di ministro o di
parlamentare: le saprei proporre pure io,
che mi occupo di altro e ho ben altre competenze.
A Skive mi sono
resa conto che, per quanto riguarda il curriculum di studi e la
didattica, con eccezione di quella che prevede l'uso di laboratori, noi
non abbiamo niente da invidiare ai Paesi europei. Non solo il livello
di preparazione dei colleghi danesi non era certo superiore al mio o a
quello di molti colleghi italiani, ma ho anche rilevato che, per quanto
riguarda lo studio analitico dei testi e delle fonti (siano essi
letterari, storici o filosofici), mediante il quale gli alunni
conseguono diverse competenze, molti docenti italiani potrebbero avere
qualcosa da insegnare a quei colleghi.
A Skive ho anche scoperto che i
colleghi danesi, che lavorano 18 ore alla settimana, per un anno
scolastico di 200 giorni, percepiscono uno stipendio medio di 3.000
euro (parlo di 4 anni fa), a fronte di uno stipendio, quale è il mio,
di 1.380 euro, che tale resterà fino al 2017. Non solo: i colleghi di
Skive, quando hanno compiti da correggere, inviano una copia in un
ufficio a Copenaghen, che calcola il tempo medio di correzione per il
numero di alunni e computa, su quelle basi, un compenso aggiuntivo. I
docenti di Skive non devono controllare gli alunni durante i lunghi
intervalli e neppure hanno l'obbligo di incontrarsi con i genitori,
perché il rapporto privilegiato è quello diretto: docente-discente
(unica eccezione: 5 minuti di colloquio a quadrimestre, concessi ai
genitori degli alunni che frequentano il primo anno).
Ministro, sono
questi gli standard europei!
Io sono un'ottima insegnante: non solo
perché ho un livello di preparazione nelle mie discipline persino
superiore a quello che è richiesto ad un docente di scuola superiore,
ma perché ho la capacità - lo attestano i riconoscimenti degli ex
alunni e delle loro famiglie - di coinvolgere gli studenti, di
sollecitare la loro attenzione, il loro interesse e la loro curiosità.
Sono una professionista e come tale voglio essere considerata e
trattata. Questo significa anche, signor ministro, che io non lavoro 18
ore, perché, quando torno a casa, leggo, studio, mi auto-aggiorno;
preparo nuovi percorsi didattici e di approfondimento adeguati alle
classi nelle quali mi trovo ad insegnare, che sono diverse ogni anno, e
per le quali è prevista, proprio dal Suo Ministero, una programmazione
ad hoc. Correggo i compiti, tanti compiti e non faccio test a crocette,
"a risposta chiusa", per i quali la correzione richiederebbe meno tempo
e fatica, perché ritengo
che con quei test i ragazzi imparerebbero
poco e la stessa valutazione non sarebbe adeguata, ma propongo quesiti
a risposte aperte e saggi brevi. E quando correggo, non mi limito a
fare segni rossi, ma suggerisco alternative corrette. Ha idea di quanto
tempo ci voglia?
Io non sono un'eccezione tra i docenti della scuola
italiana, perché, fortunatamente, le nostre scuole possono contare su
una grande maggioranza di professionisti, che credono nel loro lavoro e
lo svolgono con passione ed impegno: che lo praticano come Beruf.
Quanto all'aumento delle ore di insegnamento: Lei sa cosa significa
insegnare, cioè svolgere attività didattica per lo più frontale o
lezione guidata, perché non abbiamo altri strumenti a disposizione,
per 24 ore alla settimana? Lo ha mai fatto? Le posso dire una cosa: ho
svolto diversi lavori prima di incominciare ad insegnare e nulla è più
faticoso che guidare un gruppo di alunni sulla strada della conoscenza,
del sapere. E' una fatica fisica e mentale. E quello che affermo non ha
niente a che vedere con il problema della disciplina, con il fatto di
dover alzare la voce per farsi ascoltare: un problema che non ho mai
avuto, neppure quando svolgevo supplenze temporanee o insegnavo nella
scuola secondaria di primo grado a ragazzini più piccoli.
E a
proposito di standard europei, signor Ministro, mi fa piacere
informarLa che a Skive, e nelle altre scuole danesi che ho visitato, i
miei colleghi non solo non hanno cattedre di formica verde, ma hanno un
piccolo studio dove possono fermarsi, nelle ore libere tra un impegno
e l'altro, e correggere compiti, studiare, riposarsi. Hanno in
dotazione computer; hanno sale-professori attrezzate con cucine,
salottini con tavolini e divani, distributori gratuiti di bevande calde
e fredde. Vuole venire a Pistoia, signor ministro, a vedere che cosa ho
a disposizione io, nella mia scuola, quando devo restare intere
giornate, perché ho riunioni pomeridiane, e non posso rientrare a casa,
non tanto perché la mia abitazione dista 40 km dalla scuola, ma perché
il servizio di trasporti regionale è talmente disastroso sulla linea
Firenze-Pistoia, che sono costretta a trascorrere intere giornate fuori
casa?
Venga, e le mostrerò volentieri la sala-professori, i bagni per
gli insegnanti e, se vorrà vederli, anche quelli per gli studenti; se
viene quando il freddo sarà arrivato, si copra bene, perché lo scorso
anno, a gennaio, per diversi giorni, la temperatura, nelle aule, non
superava i 10°. Le mostrerò volentieri le lavagne di ardesia, dove
tento di presentare mappe concettuali con gessi talmente scadenti che
le cimose polverose non riescono a cancellare i segni. Le mostrerò le
poche aule che hanno carte geografiche degne di un mercato del
modernariato e quelle invece ancora più spoglie, dove, però, può darsi
che penzoli un crocifisso privo di una gamba o di un braccio.
Lei
afferma che i soldi risparmiati aumentando le nostre ore di lezione,
cioè impiegando meno personale docente e aggravando le difficoltà di
una scuola già stremata, verranno investiti in futuro per creare scuole
di standard europeo. Non le credo. Sono false promesse e pure offensive
per chi nella scuola pubblica lavora e per chi crede nella sua funzione
e importanza. Se quella fosse stata la Sua intenzione e l'intenzione
del Suo governo, avreste dovuto cominciare perlomeno a darci dei
segnali nel corso di questi mesi: non solo questi segnali non ci sono
stati, ma quelli che abbiamo visto e vediamo vanno in direzione
opposta: l'affossamento e la distruzione della scuola pubblica (per non
parlare dell'università).
Il demagogismo non mi attira, né mi
attraggono le pulsioni anti-casta. Eppure, signor Ministro mi sento di
dirLe che Lei, come molti uomini e donne che hanno responsabilità
politiche, siete, parafrasando il titolo di un bel libro di Marco
Belpoliti, "senza vergogna": ed è ora, invece, che la vergogna venga
riscoperta come virtù civile, e diventi il fondamento di un'etica
pubblica, per un Paese, la cui stragrande maggioranza di cittadini e di
non-cittadini non merita di essere rappresentata e guidata da una
classe politica e "tecnica", ammesso che questa parola abbia un senso,
weberianamente miope, non lungimirante, sostanzialmente incapace di
pensare all'interesse pubblico e di agire per esso.
Domani sarò in
piazza, signor ministro, a gridare con la poca voce che ho la richiesta
delle Sue dimissioni!
Antonietta Brillante
mi piacerebbe che questa mail arrivasse fino
a Lei e non ad uno dei suoi segretari o membri del suo staff, per
poterLe trasmettere, con le mie parole, tutta l'indignazione che provo
per le Sue ultime dichiarazioni e per i provvedimenti che il Suo
governo intende prendere riguardo alla scuola.
Mi presento: mi chiamo
Antonietta Brillante; sono dottore di ricerca in filosofia politica; ho
ottenuto tre abilitazioni alll'ultimo concorso indetto alla fine degli
anni 90; sono entrata di ruolo nella scuola pubblica nel 2004 e
attualmente insegno filosofia e scienze della formazione presso il
Liceo Forteguerri di Pistoia.
In base a quanto ho appena letto su
alcuni quotidiani, Lei ha argomentato la proposta di portare a 24 ore
settimanali l'attività di insegnamento dei docenti della scuola
secondaria, sostenendo che "bisogna portare il livello di impegno dei
docenti sugli standard dell'Europa occidentale".
Mi chiedo e Le chiedo
se Lei è mai stato in una scuola di un Paese dell'Europa occidentale,
possibilmente del nord-Europa. E' un interrogativo che non mi pongo da
oggi, ma che oggi, a fronte delle Sue ultime dichiarazioni, si fa più
impellente ed esige una risposta precisa.
Ebbene, io Le posso dire
che ci sono stata. Quattro anni fa, sono stata in Danimarca, in un
paesino dello Jutland, Skive, per due settimane. Ho accompagnato una
classe ad uno scambio e, dal momento che insegno in un Liceo
pedagogico, abbiamo visitato, full-time, per 14 giorni, scuole di ogni
ordine e grado: dai Kindergarten ai Licei. Le posso anche dire che le
nostre scuole, per quanto riguarda le strutture, i materiali didattici,
gli spazi e i tempi della didattica, sono proprie di un Paese arretrato
e sottosviluppato: e di questo, la responsabilità è di chi ha deciso,
da vent'anni a questa parte che, prima, per entrare in Europa, poi, per
far fronte alla crisi, bisogna tagliare la spesa pubblica, cioè la
scuola, la sanità, le pensioni (sia mai le spese militari - vedi
acquisto degli F 135 - o le missioni militari all'estero). Per inciso,
"ricette" per le quali non è necessario un governo di "tecnici", né lo
stipendio di ministro o di
parlamentare: le saprei proporre pure io,
che mi occupo di altro e ho ben altre competenze.
A Skive mi sono
resa conto che, per quanto riguarda il curriculum di studi e la
didattica, con eccezione di quella che prevede l'uso di laboratori, noi
non abbiamo niente da invidiare ai Paesi europei. Non solo il livello
di preparazione dei colleghi danesi non era certo superiore al mio o a
quello di molti colleghi italiani, ma ho anche rilevato che, per quanto
riguarda lo studio analitico dei testi e delle fonti (siano essi
letterari, storici o filosofici), mediante il quale gli alunni
conseguono diverse competenze, molti docenti italiani potrebbero avere
qualcosa da insegnare a quei colleghi.
A Skive ho anche scoperto che i
colleghi danesi, che lavorano 18 ore alla settimana, per un anno
scolastico di 200 giorni, percepiscono uno stipendio medio di 3.000
euro (parlo di 4 anni fa), a fronte di uno stipendio, quale è il mio,
di 1.380 euro, che tale resterà fino al 2017. Non solo: i colleghi di
Skive, quando hanno compiti da correggere, inviano una copia in un
ufficio a Copenaghen, che calcola il tempo medio di correzione per il
numero di alunni e computa, su quelle basi, un compenso aggiuntivo. I
docenti di Skive non devono controllare gli alunni durante i lunghi
intervalli e neppure hanno l'obbligo di incontrarsi con i genitori,
perché il rapporto privilegiato è quello diretto: docente-discente
(unica eccezione: 5 minuti di colloquio a quadrimestre, concessi ai
genitori degli alunni che frequentano il primo anno).
Ministro, sono
questi gli standard europei!
Io sono un'ottima insegnante: non solo
perché ho un livello di preparazione nelle mie discipline persino
superiore a quello che è richiesto ad un docente di scuola superiore,
ma perché ho la capacità - lo attestano i riconoscimenti degli ex
alunni e delle loro famiglie - di coinvolgere gli studenti, di
sollecitare la loro attenzione, il loro interesse e la loro curiosità.
Sono una professionista e come tale voglio essere considerata e
trattata. Questo significa anche, signor ministro, che io non lavoro 18
ore, perché, quando torno a casa, leggo, studio, mi auto-aggiorno;
preparo nuovi percorsi didattici e di approfondimento adeguati alle
classi nelle quali mi trovo ad insegnare, che sono diverse ogni anno, e
per le quali è prevista, proprio dal Suo Ministero, una programmazione
ad hoc. Correggo i compiti, tanti compiti e non faccio test a crocette,
"a risposta chiusa", per i quali la correzione richiederebbe meno tempo
e fatica, perché ritengo
che con quei test i ragazzi imparerebbero
poco e la stessa valutazione non sarebbe adeguata, ma propongo quesiti
a risposte aperte e saggi brevi. E quando correggo, non mi limito a
fare segni rossi, ma suggerisco alternative corrette. Ha idea di quanto
tempo ci voglia?
Io non sono un'eccezione tra i docenti della scuola
italiana, perché, fortunatamente, le nostre scuole possono contare su
una grande maggioranza di professionisti, che credono nel loro lavoro e
lo svolgono con passione ed impegno: che lo praticano come Beruf.
Quanto all'aumento delle ore di insegnamento: Lei sa cosa significa
insegnare, cioè svolgere attività didattica per lo più frontale o
lezione guidata, perché non abbiamo altri strumenti a disposizione,
per 24 ore alla settimana? Lo ha mai fatto? Le posso dire una cosa: ho
svolto diversi lavori prima di incominciare ad insegnare e nulla è più
faticoso che guidare un gruppo di alunni sulla strada della conoscenza,
del sapere. E' una fatica fisica e mentale. E quello che affermo non ha
niente a che vedere con il problema della disciplina, con il fatto di
dover alzare la voce per farsi ascoltare: un problema che non ho mai
avuto, neppure quando svolgevo supplenze temporanee o insegnavo nella
scuola secondaria di primo grado a ragazzini più piccoli.
E a
proposito di standard europei, signor Ministro, mi fa piacere
informarLa che a Skive, e nelle altre scuole danesi che ho visitato, i
miei colleghi non solo non hanno cattedre di formica verde, ma hanno un
piccolo studio dove possono fermarsi, nelle ore libere tra un impegno
e l'altro, e correggere compiti, studiare, riposarsi. Hanno in
dotazione computer; hanno sale-professori attrezzate con cucine,
salottini con tavolini e divani, distributori gratuiti di bevande calde
e fredde. Vuole venire a Pistoia, signor ministro, a vedere che cosa ho
a disposizione io, nella mia scuola, quando devo restare intere
giornate, perché ho riunioni pomeridiane, e non posso rientrare a casa,
non tanto perché la mia abitazione dista 40 km dalla scuola, ma perché
il servizio di trasporti regionale è talmente disastroso sulla linea
Firenze-Pistoia, che sono costretta a trascorrere intere giornate fuori
casa?
Venga, e le mostrerò volentieri la sala-professori, i bagni per
gli insegnanti e, se vorrà vederli, anche quelli per gli studenti; se
viene quando il freddo sarà arrivato, si copra bene, perché lo scorso
anno, a gennaio, per diversi giorni, la temperatura, nelle aule, non
superava i 10°. Le mostrerò volentieri le lavagne di ardesia, dove
tento di presentare mappe concettuali con gessi talmente scadenti che
le cimose polverose non riescono a cancellare i segni. Le mostrerò le
poche aule che hanno carte geografiche degne di un mercato del
modernariato e quelle invece ancora più spoglie, dove, però, può darsi
che penzoli un crocifisso privo di una gamba o di un braccio.
Lei
afferma che i soldi risparmiati aumentando le nostre ore di lezione,
cioè impiegando meno personale docente e aggravando le difficoltà di
una scuola già stremata, verranno investiti in futuro per creare scuole
di standard europeo. Non le credo. Sono false promesse e pure offensive
per chi nella scuola pubblica lavora e per chi crede nella sua funzione
e importanza. Se quella fosse stata la Sua intenzione e l'intenzione
del Suo governo, avreste dovuto cominciare perlomeno a darci dei
segnali nel corso di questi mesi: non solo questi segnali non ci sono
stati, ma quelli che abbiamo visto e vediamo vanno in direzione
opposta: l'affossamento e la distruzione della scuola pubblica (per non
parlare dell'università).
Il demagogismo non mi attira, né mi
attraggono le pulsioni anti-casta. Eppure, signor Ministro mi sento di
dirLe che Lei, come molti uomini e donne che hanno responsabilità
politiche, siete, parafrasando il titolo di un bel libro di Marco
Belpoliti, "senza vergogna": ed è ora, invece, che la vergogna venga
riscoperta come virtù civile, e diventi il fondamento di un'etica
pubblica, per un Paese, la cui stragrande maggioranza di cittadini e di
non-cittadini non merita di essere rappresentata e guidata da una
classe politica e "tecnica", ammesso che questa parola abbia un senso,
weberianamente miope, non lungimirante, sostanzialmente incapace di
pensare all'interesse pubblico e di agire per esso.
Domani sarò in
piazza, signor ministro, a gridare con la poca voce che ho la richiesta
delle Sue dimissioni!
Antonietta Brillante
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