Il Cooperative Learning costituisce una
specifica metodologia di insegnamento attraverso la quale gli studenti
apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi
reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso.
L’insegnante assume un ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività,
strutturando “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti, favoriti da un
clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un
processo di “problem solving di gruppo”, conseguendo obiettivi la cui
realizzazione richiede il contributo personale di tutti.
Tali obiettivi possono essere conseguiti se all’interno dei piccoli gruppi
di apprendimento gli studenti sviluppano determinate abilità e competenze sociali, intese come un insieme di “abilità
interpersonali e di piccolo gruppo indispensabili per sviluppare e mantenere un
livello di cooperazione qualitativamente alto”
PRESUPPOSTI TEORICI-PEDAGOGICI
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Il Cooperative Learning è un metodo didattico in cui gli studenti lavorano
insieme in piccoli gruppi per raggiungere obiettivi comuni, cercando di
migliorare reciprocamente il loro apprendimento. Tale metodo si distingue sia dall’apprendimento
competitivo che dall’apprendimento individualistico e, a differenza di questi,
si presta ad essere applicato ad ogni compito, ad ogni materia, ad ogni
curricolo.
Il lavoro di gruppo non è una novità nella scuola, ma la ricerca dimostra che
gli studenti possono anche lavorare insieme senza trarne profitto. Può infatti
accadere che essi operino insieme, ma non abbiano alcun interesse o
soddisfazione nel farlo. Nei gruppi di apprendimento cooperativo, invece, gli studenti si dedicano con piacere
all’attività comune, sono protagonisti di tutte le fasi del loro lavoro, dalla pianificazione alla valutazione,
mentre l’insegnante è soprattutto un facilitatore e un organizzatore dell’attività
di apprendimento.
Quali vantaggi presenta?
Rispetto ad un’impostazione del lavoro tradizionale, la ricerca mostra che
il Cooperative Learning presenta di solito questi vantaggi:
- Migliori risultati degli
studenti: tutti
gli studenti lavorano più a lungo sul compito e con risultati migliori,
migliorando la motivazione intrinseca e sviluppando maggiori capacità di
ragionamento e di pensiero critico;
- Relazioni più positive tra gli
studenti: gli
studenti sono coscienti dell’importanza dell’apporto di ciascuno al lavoro
comune e sviluppano pertanto il rispetto reciproco e lo spirito di
squadra;
- Maggiore benessere psicologico: gli studenti sviluppano un
maggiore senso di autoefficacia e di autostima, sopportano meglio le
difficoltà e lo stress.
Che cosa rende efficace la cooperazione ?
I cinque elementi che rendono efficace la cooperazione sono:
- L’interdipendenza positiva, per cui gli studenti si
impegnano per migliorare il rendimento di ciascun membro del gruppo, non
essendo possibile il successo individuale senza il successo collettivo;
- La responsabilità individuale e di
gruppo: il gruppo è responsabile del
raggiungimento dei suoi obiettivi ed ogni membro è responsabile del suo
contributo;
- L’interazione costruttiva: gli studenti devono
relazionarsi in maniera diretta per lavorare, promuovendo e sostenendo gli
sforzi di ciascuno e lodandosi a vicenda per i successi ottenuti;
- L’attuazione di abilità
sociali specifiche e necessarie nei rapporti interpersonali all’interno
del piccolo gruppo: gli
studenti si impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella creazione di
un clima di collaborazione e fiducia reciproca. Particolare importanza
rivestono le competenze di gestione dei conflitti, più in generale si
parlerà di competenze sociali,
che devono essere oggetto di insegnamento specifico;
- La valutazione di gruppo: il gruppo valuta i propri
risultati e il proprio modo di lavorare e si pone degli obiettivi di
miglioramento.
L'efficacia della metodologia cooperativa è data inoltre dal supporto di alcuni comportamenti e valori specifici.
All'interno di questo quadro generale, le diverse interpretazioni del
principio di interdipendenza e delle variabili più significative
nell'apprendimento (interazione, motivazione all'apprendimento, compito e ruolo
dell'insegnante) hanno originato lo sviluppo di diverse correnti o modalità di Cooperative Learning.
Attualmente i maggiori gruppi di ricerca sul Cooperative Learning sono
quelli di D. Johnson e R. Johnson alla University of Minnesota di Minneapolis,
quello di R. Slavin alla Johnns Hopkins University di Baltimora e quello di S.
Sharan alla Tel Aviv University di Tel Aviv.
Alcuni aspetti del Cooperative Learning sono ancora oggetto di discussione
e di approfondimento: la situazione dei più dotati, l'inserimento di alunni con
handicap grave, le modalità in relazione a specifici obiettivi trasversali, la
possibilità di sviluppare questo metodo combinandolo con altri e con l'uso
delle nuove tecnologie.
E' importante che anche in Italia questa metodologia continui ad essere
approfondita, studiata e sviluppata e che non diventi una nuova moda che prima
crea entusiasmo e poi viene presto accantonata per una presunta inefficacia
dovuta più a un'inadeguata applicazione che non al metodo in sé.
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Cooperative
learning, USA
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Sintesi: Nel corso del 2000 si è aperto, in USA, un dibattito su come condurre le
lezioni in classe e la conseguente disposizione degli arredi.
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Nelle scuole statunitensi sembra
emergere la tendenza a disporre i banchi a cerchio o a
ferro di cavallo, oppure divisi in tanti quadrati o triangoli per 4 - 6
alunni ognuno. Nel
primo caso, l'insegnante sta al centro, nel secondo si sposta da un gruppo all'altro. In certe
scuole, la disposizione dei banchi, cambia più volte al giorno a seconda degli insegnanti o delle materie.
E non mancano le classi dove anziché banchi si trovano tavoli, o dove i
ragazzi siedono a terra sul tappeto.
Una rivoluzione che suscita
perplessità in molti genitori e apre dibattiti alla radio, tv e nei giornali.
Il cambiamento è cominciato una decina di anni fa e pare che le classi con i
banchi in fila siano ora una minoranza. Il merito, o la colpa, vine
attribuito a un discusso metodo di insegnamento, il "Cooperative
learning" (imparare collaborando) praticato in circa il 60% delle scuole
americane. Sebbene non sia dimostrato, esso vuole che gli allievi studino di
più e meglio se distribuiti in piccoli gruppi di 4-6 appunto.
Christine Mosteller, una
professoressa di storia di Washington, caldeggia la nuova disposizione dei
banchi. "Le file tradizionali - afferma - avevano un che di militaresco,
erano un simbolo di disciplina, come le uniformi. Falsavano il rapporto tra i
ragazzi e gli insegnanti. Con i banchi disposti in modo diverso, cresce la
partecipazione degli alunni". Al contrario, Anthony Navarro, il preside
del liceo Mount Harmony nel Maryland, insiste sulle file: "E' l'unico
modo per l'insegnante di vedere tutti gli allievi e di tenerne avvinta
l'attenzione. Il nuovo metodo è caotico, e nei compiti in classe favorisce i
disonesti".
Il direttore del "Cooperative
learning center", il professore Roger Johnson dell'università del
Minnesota, sostiene che, "non più ostaggi delle file, i ragazzi imparano
il lavoro di squadra, soprattutto se divisi in gruppi". A suo parere,
"questo metodo è molto più fruttifero". Johnson ritiene addirittura
che la disposizione dei banchi debba cambiare con le materie "perché
ciascuna richiede un diverso ambiente".
Gail Womble, la direttrice didattica delle elementari Rachel Carson in Virginia, è invece dell'avviso che
sia controproducente: Si formano caste di studenti - obbietta -, i più bravi
in un gruppo, i meno bravi in un altro. Molti restano indietro. E si creano
ostilità tra i capi gruppo".
Ma che cosa ne pensano i ragazzi?
Il Washington Post ne ha intervistati alcuni, e ha scoperto che sono spaccati
in due, come gli insegnanti. Justine Hoy, della media Takoma Park, preferisce
il nuovo metodo: "Ci si aiuta a vicenda, ed è importante: quando le classi sono
numerose, i professori non riescono a fare tutto". Ma Paul Brown, della
media Dear Park, si lamenta: "Nel nuovo metodo le distrazioni abbondano,
forse ci si diverte di più ma certamente si studia di meno". Ed è il
giudizio di molti genitori.
Ma non è finita. Molti medici si
oppongono alla disposizione dei banchi in quadrati o in triangoli perché i
4-6 alunni sono costretti a girarsi per seguire l'insegnante o guardare la
lavagna, spesso per periodi assai lunghi.
E la dottoressa Kathleen Finch
della Clinica di Bethesda, la clinica dei presidenti, teme che i ragazzi
prendano il torcicollo. La soluzione? "L'unica saggia alternativa alle
file - dice - è il ferro di cavallo"
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Insegnare a studenti con problemi attraverso metodologie
differenziate di gestione della classe
I PROBLEMI SU CUI INCIDERE
"Questi ragazzi non hanno voglia di
studiare"; "I ragazzi non sanno comunicare, spiegare bene le cose,
esprimere in modo chiaro le loro idee ..."; "Sono molto egocentrici
ed immaturi..."; "Sono poco scolarizzati, non stanno attenti, sono
indisciplinati e, oggi più di ieri, si muovono in continuazione...";
"E' difficile individualizzare l'apprendimento quando ti trovi a lavorare
con alunni portatori di problemi così diversi tra loro: c'é chi é isolato, chi
vuole prevalere sugli altri, chi é in costante ritardo nei ritmi di
apprendimento e chi si confronta con un ideale talmente perfetto che non porta
mai a termine il lavoro ....."; "Vorrei trovare delle soluzioni
didattiche più efficaci ma è difficile farlo da soli, così come é arduo
riuscire a concordare qualche intervento con i colleghi...".
Se raccogliamo le impressioni dei ragazzi invece
sentiamo dire: "Questa materia é proprio noiosa ..."; "...
l'insegnante dice tante cose, ma dimentica di insegnarci a studiare ...";
"Questa scuola è troppo difficile!"; "Meglio cercarsi un
lavoro ben pagato che continuare a perdere tempo solamente per avere il pezzo
di carta".
Queste possono essere un campione di affermazioni e
percezioni che insegnanti e studenti nutrono nei confronti della scuola e
dell'apprendimento. Esse fanno riferimento a problemi di comportamento, di
mantenimento della disciplina, di motivazione, di impegno responsabile verso i
compiti scolastici, insoddisfazione professionale, di disagio verso la scuola.
Questi sono solo alcuni dei problemi che, ogni giorno,
insegnanti ed alunni si trovano a vivere sulla loro pelle e che, se non
affrontati, portano al “burn out” dei docenti e al disagio e alla dispersione
scolastica degli studenti.
Fin dove possono intervenire gli insegnanti curricolari,
oltre a quello che abitualmente fanno per gestire la classe, per agire con
efficacia anche nei confronti di quegli alunni non "certificati" ma
considerati "problematici"?
Come é possibile intervenire dando risposte
individualizzate lavorando con classi composte da più di 20 studenti?
Qual é il ruolo dell'insegnante di classe in relazione
a quello di insegnanti di sostegno, di consulenti esterni dell'A.S.L., di
eventuali figure di psicopedagogisti o psicologi scolastici presenti
nell'istituzione, di assistenti sociali o altro personale della scuola?
Fino a che punto il rapporto con le famiglie diventa
un tassello essenziale della gestione di situazioni problema e chi lo deve
gestire?
Quali metodologie / strategie di insegnamento possono
essere utili attuare per gestire situazioni problema sempre più variegate?
IL RUOLO DELL'INSEGNANTE
Ci sembra che agli insegnanti possano essere
affidate alcune funzioni fondamentali:
1. quella di istruire, cioè di aiutare gli allievi ad
acquisire padronanza di abilità e di conoscenze disciplinari;
2. quella di condurre la classe, cioè di definire
regole e procedure, tenendo costante l'attenzione e la partecipazione durante
la lezione;
3. quella di socializzare gli studenti e mantenere un
buon clima di classe.
Spesso succede che non tutti gli studenti reagiscano
in maniera positiva agli interventi di istruzione, gestione della classe o
socializzazione e che sia necessario un lavoro suppletivo, che richiede
ulteriori abilità.
Per rispondere agli interrogativi sovraesposti,
infatti, sono necessarie la capacità di analizzare la situazione, di
decodificare le diagnosi dei diversi specialisti, di condurre interviste
finalizzate a raccogliere le informazioni utili alla costruzione di un
piano di intervento.
Ma prima ancora é indispensabile l'apertura ad
accorgersi che c'é un problema e che su questo problema é possibile intervenire
efficacemente anche se risulta difficile; é vitale pensare che sia
effettivamente possibile risolvere il problema e che il primo passo per fare ciò
consista nell'affrontarlo, superando l'ansia, l'impotenza, l'inadeguatezza o la
rabbia, che coglie chiunque di fronte ad una situazione nuova, complessa e
stressante.
Daniela Pavan, Piergiuseppe Ellerani
fonte: edscuola.it