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Pensioni: il Punto sui Requisiti di accesso


Facciamo il punto sulle pensioni, o meglio sui requisiti di accesso alla pensione e su quello che abbiamo chiamato il pensionamento coatto, visto che si avvicinano i termini per la presentazione della domanda (VediC.M. n. 98 Prot. n.AOODGPER 9733 e D.M. n. 97 in pari data). Cerchiamo di essere il più stringati e chiari possibile. Distinguiamo tra coloro che rientrano nella riforma Fornero e coloro che invece godono dei diritti acquisiti.
RIFORMA FORNERO
Con il primo gennaio 2013 entra in vigore il primo adeguamento dei requisiti pensionistici alla speranza di vita: occorrono 3 mesi in più per andare in pensione rispetto al 2012 (Decreto della Ragioneria dello Stato del 6/12/2011).Questi quindi i requisiti necessari per l’accesso alla pensione, nelle due forme previste dalla riforma.
PENSIONE ANTICIPATA (Ex pensione di anzianità)
Uomini: 42 anni e 5 mesi di contributi
Donne: 41 anni e 5 mesi di contributi
Solo per le donne è prevista una scappatoia, molto onerosa: 57 anni di età e 35 di contributi, ma solo se per il sistema contributivo puro
PENSIONE DI VECCHIAIA
Età di 66 anni e tre mesi, sia per gli uomini che per le donne
BUONUSCITA
Ricordiamo che chi va in pensione anticipata percepirà la buonuscita con due anni di ritardo, chi va in pensione di vecchiaia dopo sei mesi.
DIRITTI ACQUISITI
Naturalmente, per quanto riguarda i diritti acquisiti non è cambiato nulla, dato che i requisiti devono andavano maturati entro il 31/12/2011; riassumiamo le tre possibilità.
PENSIONE DI ANZIANITÀ (Per tutti, uomini e donne)
Si può andare in pensione nel caso si sia raggiunta “QUOTA 96”, in due modi:

QUOTA 96
ANNI
CONTRIBUTI
60
36
61
35

Naturalmente questi sono i requisiti minimi; chi ha di più, rientra comunque nella pensione di anzianità, a meno che non sia arrivato a maturare i requisiti per la pensione di vecchiaia o per compiuto quarantennio.
COMPIUTO QUARANTENNIO (Per uomini e donne)
Si può andare in pensione se si sono maturati 40 anni di contributi, a prescindere dall’età.
PENSIONE DI VECCHIAIA
Uomini: si può andare in pensione se si sono compiuti 65 anni di età
Donne: si può andare in pensione se si sono compiuti 61 anni di età
PENSIONAMENTO COATTO
Purtroppo, né poteva essere altrimenti, rimangono in vigore le norme sul pensionamento coatto per chi ha maturato i diritti acquisiti, ma almeno quest’anno le cose sono più chiare per quanto riguarda il collocamento a riposo per età e la rescissione unilaterale del rapporto di lavoro per compiuto quarantennio
COLLOCAMENTO A RIPOSO PER ETÀ
Chi compie 65 anni entro il 31 agosto 2013 verrà collocato a riposo d’ufficio, salvo trattenimento in servizio a seguito di apposita domanda da inoltrare entro il 25 gennaio 2013.
Sarà possibile il mantenimento in servizio nel caso non ci sia esubero e non ci sia personale da assumere (Nel caso dei dirigenti, si tratta idonei da nominare a seguito dell’espletamento delle procedure concorsuali)
RESCISSIONE UNILATERALE DEL RAPPORTO DI LAVORO
L’Amministrazione rescissione unilaterale del rapporto di lavoro, previo preavviso di sei mesi, in caso di compimento dei 40 anni di contributi; importante: i periodi di riscatto vengono considerati solo se siano già stati emessi i provvedimenti di accettazione.
Il mantenimento in servizio potrà essere disposto nel caso non sussistano situazioni di esubero (Non si tiene cioè conto delle “legittime aspettative di assunzione”).
GLI ERRORI
Attenzione: segnaliamo per l’ennesima volta che abbiamo avuto modo di riscontrare diversi errori nel calcolo della pensione per quanto riguarda i dirigenti, è bene controllare i provvedimenti dell’USR e dell’INPS/INPDAP.

Pietro Perzianiperziani@libero.itcell 3287305659
 direttore di GLS www.governarelascuola.it
past president della FNASA

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Tecnologia: 347 quiz e 24 Verifiche Strutturate

347 quiz e 24 Verifiche Strutturate riguardanti la materia Tecnologia della scuola secondaria di i grado, proposte per il libro Percorsi Tecnologici di Gino Cappè.

Gli argomenti trattati sono:

  • Economia e Settori Produttivi
  • Tecnologia dei Materiali
  • Reti di Comunicazione
  • Produzione Agroalimentare
  • Forme, Fonti e Produzione Di Energia
  • Elettricità, Elettronica, Macchine
  • Abitazione, Città, Territorio

Fact Monster: 1000 risorse per gli Insegnanti

E' un sito americano che propone centinaia  di strumenti didattici sia da utilizzare in classe che a casa. E' in inglese, quindi può essere utile per tutti i docenti che insegnano la lingua a tutti i livelli, ci sono anche buoni spunti sulla cultura americana. Per chi conosce la lingua ma non l'insegna può essere una buona fonte di ispirazione didattica.

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8 Lezioni sullo studio grafico delle Funzioni


  1. Dominio nello studio di funzioni
  2. Pari o dispari? (Studio di funzioni)
  3. Intersezioni con gli assi, studio di funzioni
  4. Segno della funzione nello studio di funzioni (Step 4)
  5. Limiti agli estremi del dominio e asintoti
  6. Derivata prima, massimi e minimi assoluti e relativi, monotonia, studio di funzione (Step 6)
  7. Derivata seconda, convessità e punti di flesso, studio di funzione
  8. Come disegnare il grafico nello studio di funzioni 

 


16 semplici Storie in Inglese per Bambini


16 semplici storie in inglese per bambini e adolescenti piacevolmente illustrati, la maggior parte dedicate ai mesi dell'anno.

Guarda le Storie

Le Irresistibili Parolacce


È difficile spiegarlo, ma ci si impoverisce anche così. Infatti, quando io andavo al ginnasio mi dicevano che nel nostro parlare utilizzavamo circa 2000 vocaboli; dopo il ’68 ne bastavano 1000, mentre adesso ne bastano 500 dei quali il 50% sono parolacce.
Non dovrebbe essere difficile capire che il turpiloquio è anzitutto una mancanza di rispetto verso gli altri oltre che verso se stessi. Respectussignifica riguardo, considerazione. È la capacità di stare davanti all’altro e alle cose stimandole degne di attenzione e di considerazione; direi che è il primo valore dell’educazione. Infatti una persona educata sa stare correttamente davanti all’altro con rispetto.
È pessimismo dire che il rispetto oggi è in declino? Spesso non si rispettano i malati, gli anziani, i bambini, l’ambiente, gli animali, le cose pubbliche, … Talvolta non si rispettano gli amici, la famiglia, la religione, le tradizioni, l’autorità, le regole della convivenza, … Il rispetto è un valore, un impegno individuale e collettivo che s’impara a scuola, ma si promuove con l’esempio.
La mancanza di rispetto si esprime manifestamente nella progressiva maleducazione, inciviltà, arroganza, menefreghismo.
Certi dibattiti televisivi sono una scuola di volgarità fatta di insulti più o meno velati, parolacce, litigi, mancanza di ascolto, etc. In certi particolari momenti molti dimenticano come si sta in società e come si pratica il buon senso; si comportano come chi vede nemici dappertutto e manifestano un’aggressività da giungla. Quando si inizia con uno sguardo torvo, un tono seccato, una sbuffata e qualche parola di troppo, si entra in una spirale impazzita di inciviltà che fa perdere il senno. È così che scatta l’imbarbarimento nei rapporti interpersonali. Il maleducato nelle dispute non capirà mai le ragioni degli altri; vive d’istinto e non è disposto a confrontarsi con le argomentazioni chiarificatrici degli interlocutori. proprio così, ci si abitua a tutto, anche al turpiloquio; quelle che una volta si chiamavano parolacce, sono state sdoganate e lodevolmente giustificate. Una dopo l’altra le ascoltiamo, ne “gustiamo” la volgarità e poi ci accorgiamo che fanno parte a pieno titolo del linguaggio comune, del quotidiano neo-volgare.
In tempi in cui certe parole come imbrogli, raggiri, frodi, truffe, … ronzano ogni giorno nelle nostre orecchie, così altre parole da “scaricatore di porto” (così si diceva una volta), le possiamo ascoltare in macchina, per strada, dai giornali e dalla radio, dalla tv e dai film. Qualche bravo opinionista ci chiede di adeguarci per non essere dei bacchettoni fuori tempo, anche perché “non conta come si parla, ma cosa si dice”. E se uno è un po’ nostalgico del parlare pulito? E se io credo che la forma influenza la sostanza?
Ma una volta il turpiloquio, non lo usavano le persone maleducate? Sì, certo. Una volta la buona formazione, quella che si rifaceva al galateo, voleva il ben parlare. Oggi dopo le varie rivoluzioni più o meno culturali, viviamo un’accondiscendente assuefazione alla volgarità. Il peggio è che il turpiloquio è entrato in casa, grazie agli “amati comici” e “bravi presentatori” televisivi.
Per questi “benemeriti professionisti” le parolacce sono il sale dei “banchetti festivi” a base di sesso che la tv scodella nelle nostre orecchie. Una volta certe parole, gesti, comportamenti, … venivano guardati con disapprovazione; oggi sono parti integranti del quotidiano. Ma è un po’ come lo smog: non ci si fa più caso.
Enrico Bommarito c.p., enricobommarito@virgilio.it

Il Coraggio di Educare


In ogni epoca l’educazione delle nuove generazioni ha rappresentato un compito naturale, quasi scontato, e condiviso dagli individui adulti.
Oggi, invece, a causa dei grandi cambiamenti socio-culturali, scientifici e tecnologici che hanno modificato, e che continuano a modificare molto rapidamente il nostro contesto sociale, l’educazione è diventata una sfida, un problema, una vera e propria emergenza educativa che irrompe improvvisa, inattesa…
Perché?
Quella che stiamo vivendo è la stagione storica del relativismo, dell’edonismo diffuso, del materialismo. L’uomo occidentale è insidiato dall’insoddisfazione e dal senso di vuoto esistenziale; la perdita dei valori, che tradizionalmente hanno sostenuto per decenni individui, famiglie, gruppi sociali, intere nazioni, infatti, ha ceduto il posto a drammatiche conseguenze che, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti: lo sradicamento dai legami più sacri e dagli affetti più degni, la precarietà delle relazioni della nostra società “liquida”, come l’ha definita il sociologo Baumann, dove anche l’amore, i sentimenti sono “liquidi”, l’assenza di sogni, di progetti, la sfiducia … sino all’odio di sé.
Un così problematico e difficile contesto culturale ci obbliga a considerare la sua reale, profonda incidenza sulla condizione giovanile. La questione antropologica, infatti, va di pari passo con la questione pedagogica!
L’attuale deficit di speranza, di volontà di futuro e, quindi, di azione coraggiosa e consapevole degli adulti, li priva del desiderio e del coraggio di educare.
Diventa deficit di educazione, nei confronti di se stessi e degli altri, soprattutto dei piccoli e dei giovani.
I nostri giovani, infatti, sono fragili, spesso insidiati dal cosiddetto “mal di vivere” e privi, comunque, della maturità che connotava le giovani generazioni di qualche decennio fa.
I giovani di oggi appaiono facili agli entusiasmi e smarriti nelle difficoltà che la vita riserva. Li si vede frequentemente disorientati, a volte addirittura pronti alla resa, di fronte agli ostacoli che incontrano nelle relazioni familiari e sociali, nello studio, nella ricerca del lavoro, nell’inserimento nel mondo dei grandi.
L’emergenza educativa odierna ci viene testimoniata da studi di sociologi, filosofi, politologi, economisti, dai media e dalle cronache giornalistiche; è stata acutamente evidenziata anche da indagini portate avanti da Istituti di ricerca, come ad esempio lo IARD, che dal 1983 pubblica periodicamente un rapporto sulla condizione giovanile.
La Chiesa, nella persona del Santo Padre, e mediante la Conferenza Episcopale Italiana, continua attivamente a segnalare ed a denunciare tale emergenza educativa. Essa, come ha scritto Benedetto XVI, è “inevitabile” in una società nella quale prevale il relativismo cioè il cosiddetto “pensiero debole” teorizzato da filosofi contemporanei come Rovatti e Vattimo.
Questo relativismo, ha affermato il Papa durante il Discorso alla Diocesi di Roma del 6 giugno 2005, “sottrae la luce della verità”, condanna prima o poi ogni persona “a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune”.
Ragazzi e ragazze, così, sono caratterizzati da un disagio, che il filosofo Umberto Galimberti nel suo volume “L’ospite inquietante”, edito da Feltrinelli, definisce a ragione, non psichico ma “culturale”, e perciò vastamente “esistenziale”.
Il vivere non è privo di senso per qualche grave causa di sofferenza, bensì è sofferente perché privo di senso. “Senso”, si sa, vuol dire significato e direzione.
Il giovane di oggi, quindi, si sente privo di un orientamento, di un senso, appunto. Manca di energie, di slancio, di passione,di senso di sacrificio per un ideale, o un progetto di vita che possa portarlo all’autorealizzazione. Cede, così, facilmente alle “sirene del nulla” che non gli chiedono sforzo, fatica, il rispetto di norme e di regole; esse inizialmente lo allettano facendogli intravvedere “scorciatoie” e “facili paradisi” per poi abbandonarlo ad uno sconforto ed a una delusione crescenti.
Tali “sirene” sono:
- il sistema dei mass media, con il materialismo, l’individualismo ed il narcisismo esasperato che promuove
-  l’analfabetismo emotivo ed affettivo
-  la logica del branco e la conseguente omologazione di gruppo o di massa
- la ricerca spasmodica della comodità, dell’edonismo, anche sessuale
- il ricorso alle “raccomandazioni”, alle logiche clientelari, per paura della preparazione richiesta dal sistema scolastico d’istruzione e dal mercato del lavoro con la sua competitività e la sua impietosa richiesta di prestazioni efficaci
-  il cinismo carrierista, l’illegalità, la violenza
- la trasgressione (dipendenze, perversioni, ecc.) ed il conflitto con i genitori o altri adulti, data la mancanza di dialogo ed il gap generazionale.
Il nostro è il tempo della frammentazione e del disorientamento, come si è detto. L’emergenza educativa impone a tutti, educatori genitori, insegnanti, sacerdoti, politici, laici la ricerca, in primis, dell’unità ma anche la capacità di orientamento senza permissivismi o autoritarismi; piuttosto con una sana direttività: si, no.
Occorre tornare urgentemente con maggiore impegno al dovere ed al coraggio dell’educazione dei giovani. Come scriveva Antonio Rosmini, essa è “affare di grande portata”, per il fatto che mira a “rendere l’uomo stesso buono con riguardo a tutte le circostanze nelle quali si trova; (e renderlo) capace di usare di esse, e di tutti gli altri mezzi al vero vantaggio di sé e d’altri; autore del proprio bene e specialmente della propria virtù e della propria felicità”.
Famiglie, istituzioni scolastiche, associazioni, parrocchie ed autorità politiche e municipali, tutti cioè, dobbiamo tornare ad un’azione pedagogica sinergica per aiutare noi stessi, prima di tutto in una logica autoeducativa, poi i giovani al vero, al bene, al bello.
La vita è dono divino d’inestimabile valore e a tutti va data la possibilità di usare bene, con profitto, tale dono.
I giovani, però, non ascoltano esempi, ma solo testimoni credibili. Ne abbiamo esperienza tutti, grandi e piccoli, quando il nostro cammino si incrocia con quello di padri, madri, educatori, pastori, amici assolutamente speciali, generosi, limpidi. Solo dei grandi uomini possono formare altri grandi uomini, infatti.
Da qui il senso di autoeducazione e di responsabilità che deve animarci. Educare i giovani ad autorealizzarsi vincendo le proprie paure, le proprie pigrizie, per valorizzare ed accrescere in loro le personali attitudini, i carismi, le vocazioni, è compito di assoluta urgenza morale e sociale.
I giovani vanno guidati e condotti ad acquisire reali abilità, conoscenze, competenze che possano permettere loro di essere i futuri cittadini italiani ed europei.
Tutto questo, però, non potrà essere realizzabile in assenza di dialogo fra le giovani generazioni e gli adulti. Occorre, allora, agire sapientemente perché i soggetti in crescita tornino a dialogare con le generazioni più mature affidandosi, con fiducia, come scriveva Platone secoli fa, alla loro “giusta cura”.
Educare è un compito arduo; richiede sensibilità, tatto pedagogico e dono di sé. Possiamo definirlo un compito di persone controcorrente, ragionevolmente ottimiste e … capaci di amare!
L’educazione, infatti, è assimilabile ad un processo di continua rinascita, ad un risorgere e lottare tenacemente per vincere l’impulsività, la superficialità, il male presente dentro e fuori ciascun essere umano.
“Educare educandosi” significa, in concreto, assumere la dimensione più alta e nobile dell’esistenza contribuendo a creare soggetti capaci, si, di equilibrio e di razionalità, ma anche di nuove idee e spinte valoriali, di gioia di vivere.
L’educazione oggi più che mai, è valore e risorsa. È atto d’amore assolutamente imprescindibile.

Dirigente Scolastico 1° Circolo Didattico
“Giovanni XXIII” di Sciacca (AG)

Scuola, genitori sempre più aggressivi


Ora d’informatica, al Giorgi, istituto tecnico industriale in viale Liguria a Milano, in una classe del primo anno. Il professore guarda il registro e chiama il ragazzo per interrogarlo. Lo studente non è preparato e di fronte all’insegnante risponde: “Ma stai zitto. Il quattordicenne passa il resto dell’ora in corridoio.
A scuola si precipita la mamma, chiamata dal ragazzo: vuole parlare con il professore, anche se non è ora di ricevimento e le lezioni sono in corso. La signora va su tutte le furie e chiama il marito, che si presenta durante la pausa pranzo. Racconta una collega “gli ha mollato uno schiaffo senza nemmeno che lui potesse difendersi: aveva entrambe le mani occupate”.
Un episodio gravissimo, denuncia la preside Annamaria Indinimeo,genitori sempre più aggressivi nei confronti della scuola. Siamo al paradosso, una volta lo studente rischiava la sberla se portava a casa un brutto voto.
Al liceo Parini, due anni fa un’insegnante di matematica e uno d’inglese avevano chiesto il trasferimento denunciando un pressing intollerabile da parte delle famiglie. Il preside, Carlo Arrigo Pedretti, era stato costretto a chiudere la porta ai genitori durante i consigli di classe fino alla fine dell’anno per allentare le pressioni.
L’episodio non si era concluso con la relazione dell’ispezione inviata dal provveditorato: l’insegnante di matematica era stata trasferita in un’altra scuola, quello di inglese invece era stato elogiato “per le sue indiscutibili capacità” e invitato a rimanere.
Sul blog dei genitori un fiume di accuse, fermato quando preside e professore hanno deciso di sporgere denuncia. Lo stesso anno la preside della scuola elementare “Sorelle Agazzi” era finita in ospedale dopo essere stata picchiata dalla mamma di un bambino che lanciava sedie dalla finestra.
Cominciarono i sindacati, dopo il ’68, a delegittimare presidi e Ministri, mettendo in crisi il principio di autorità. Finì che, a catena, studenti e genitori misero in crisi l’autorità dei docenti. Continuò con la presa di posizione dei docenti, e l’acquiescenza di governi deboli, che rifiutarono la valutazione del loro operato. La scusa era che volevano garanzie su chi li valutava. Oggi naturalmente gli studenti rifiutano la valutazione dei docenti, probabilmente anche loro vorrebbero garanzie su chi mette loro i voti.