In ogni epoca l’educazione delle nuove generazioni ha
rappresentato un compito naturale, quasi scontato, e condiviso dagli individui
adulti.
Oggi, invece, a causa dei grandi cambiamenti
socio-culturali, scientifici e tecnologici che hanno modificato, e che continuano
a modificare molto rapidamente il nostro contesto sociale, l’educazione è
diventata una sfida, un problema, una vera e propria emergenza
educativa che irrompe improvvisa, inattesa…
Perché?
Quella che stiamo vivendo è la stagione storica del relativismo,
dell’edonismo diffuso, del materialismo. L’uomo occidentale è insidiato
dall’insoddisfazione e dal senso di vuoto esistenziale; la perdita dei valori,
che tradizionalmente hanno sostenuto per decenni individui, famiglie, gruppi
sociali, intere nazioni, infatti, ha ceduto il posto a drammatiche conseguenze
che, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti: lo sradicamento dai legami più
sacri e dagli affetti più degni, la precarietà delle relazioni della nostra
società “liquida”, come l’ha definita il sociologo Baumann, dove anche l’amore,
i sentimenti sono “liquidi”, l’assenza di sogni, di progetti, la sfiducia …
sino all’odio di sé.
Un così problematico e difficile contesto culturale ci
obbliga a considerare la sua reale, profonda incidenza sulla condizione
giovanile. La questione antropologica, infatti, va di pari passo con la
questione pedagogica!
L’attuale deficit di speranza, di volontà di futuro e,
quindi, di azione coraggiosa e consapevole degli adulti, li priva del desiderio
e del coraggio di educare.
Diventa deficit di educazione, nei confronti di se stessi e
degli altri, soprattutto dei piccoli e dei giovani.
I nostri giovani, infatti, sono fragili, spesso insidiati
dal cosiddetto “mal di vivere” e privi, comunque, della maturità che connotava
le giovani generazioni di qualche decennio fa.
I giovani di oggi appaiono facili agli entusiasmi e smarriti
nelle difficoltà che la vita riserva. Li si vede frequentemente disorientati, a
volte addirittura pronti alla resa, di fronte agli ostacoli che incontrano
nelle relazioni familiari e sociali, nello studio, nella ricerca del lavoro,
nell’inserimento nel mondo dei grandi.
L’emergenza educativa odierna ci viene testimoniata da studi
di sociologi, filosofi, politologi, economisti, dai media e dalle cronache giornalistiche;
è stata acutamente evidenziata anche da indagini portate avanti da Istituti di
ricerca, come ad esempio lo IARD, che dal 1983 pubblica periodicamente un
rapporto sulla condizione giovanile.
La Chiesa, nella persona del Santo Padre, e mediante la
Conferenza Episcopale Italiana, continua attivamente a segnalare ed a
denunciare tale emergenza educativa. Essa, come ha scritto Benedetto XVI, è “inevitabile”
in una società nella quale prevale il relativismo cioè il cosiddetto “pensiero
debole” teorizzato da filosofi contemporanei come Rovatti e Vattimo.
Questo relativismo, ha affermato il Papa durante il Discorso
alla Diocesi di Roma del 6 giugno 2005, “sottrae la luce della verità”,
condanna prima o poi ogni persona “a dubitare della bontà della sua stessa
vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per
costruire con gli altri qualcosa in comune”.
Ragazzi e ragazze, così, sono caratterizzati da un disagio,
che il filosofo Umberto Galimberti nel suo volume “L’ospite inquietante”, edito
da Feltrinelli, definisce a ragione, non psichico ma “culturale”, e perciò
vastamente “esistenziale”.
Il vivere non è privo di senso per qualche grave causa di
sofferenza, bensì è sofferente perché privo di senso. “Senso”, si sa, vuol dire
significato e direzione.
Il giovane di oggi, quindi, si sente privo di un
orientamento, di un senso, appunto. Manca di energie, di slancio, di
passione,di senso di sacrificio per un ideale, o un progetto di vita che possa
portarlo all’autorealizzazione. Cede, così, facilmente alle “sirene del nulla”
che non gli chiedono sforzo, fatica, il rispetto di norme e di regole; esse
inizialmente lo allettano facendogli intravvedere “scorciatoie” e “facili
paradisi” per poi abbandonarlo ad uno sconforto ed a una delusione crescenti.
Tali “sirene” sono:
- il sistema dei mass media, con il materialismo,
l’individualismo ed il narcisismo esasperato che promuove
- l’analfabetismo emotivo ed affettivo
- la logica del branco e la conseguente omologazione
di gruppo o di massa
- la ricerca spasmodica della comodità, dell’edonismo, anche
sessuale
- il ricorso alle “raccomandazioni”, alle logiche
clientelari, per paura della preparazione richiesta dal sistema scolastico
d’istruzione e dal mercato del lavoro con la sua competitività e la sua
impietosa richiesta di prestazioni efficaci
- il cinismo carrierista, l’illegalità, la violenza
- la trasgressione (dipendenze, perversioni, ecc.) ed il
conflitto con i genitori o altri adulti, data la mancanza di dialogo ed il gap generazionale.
Il nostro è il tempo della frammentazione e del
disorientamento, come si è detto. L’emergenza educativa impone a tutti,
educatori genitori, insegnanti, sacerdoti, politici, laici la ricerca, in
primis, dell’unità ma anche la capacità di orientamento senza
permissivismi o autoritarismi; piuttosto con una sana direttività: si, no.
Occorre tornare urgentemente con maggiore impegno al dovere
ed al coraggio dell’educazione dei giovani. Come scriveva Antonio Rosmini, essa
è “affare di grande portata”, per il fatto che mira a “rendere l’uomo
stesso buono con riguardo a tutte le circostanze nelle quali si trova; (e
renderlo) capace di usare di esse, e di tutti gli altri mezzi al vero vantaggio
di sé e d’altri; autore del proprio bene e specialmente della propria virtù e
della propria felicità”.
Famiglie, istituzioni scolastiche, associazioni, parrocchie
ed autorità politiche e municipali, tutti cioè, dobbiamo tornare ad un’azione
pedagogica sinergica per aiutare noi stessi, prima di tutto in una logica
autoeducativa, poi i giovani al vero, al bene, al bello.
La vita è dono divino d’inestimabile valore e a tutti va
data la possibilità di usare bene, con profitto, tale dono.
I giovani, però, non ascoltano esempi, ma solo testimoni
credibili. Ne abbiamo esperienza tutti, grandi e piccoli, quando il nostro
cammino si incrocia con quello di padri, madri, educatori, pastori, amici
assolutamente speciali, generosi, limpidi. Solo dei grandi uomini possono
formare altri grandi uomini, infatti.
Da qui il senso di autoeducazione e di responsabilità che
deve animarci. Educare i giovani ad autorealizzarsi vincendo le proprie paure,
le proprie pigrizie, per valorizzare ed accrescere in loro le personali
attitudini, i carismi, le vocazioni, è compito di assoluta urgenza morale e
sociale.
I giovani vanno guidati e condotti ad acquisire reali
abilità, conoscenze, competenze che possano permettere loro di essere i futuri
cittadini italiani ed europei.
Tutto questo, però, non potrà essere realizzabile in assenza
di dialogo fra le giovani generazioni e gli adulti. Occorre, allora, agire
sapientemente perché i soggetti in crescita tornino a dialogare con le
generazioni più mature affidandosi, con fiducia, come scriveva Platone secoli
fa, alla loro “giusta cura”.
Educare è un compito arduo; richiede sensibilità, tatto
pedagogico e dono di sé. Possiamo definirlo un compito di persone
controcorrente, ragionevolmente ottimiste e … capaci di amare!
L’educazione, infatti, è assimilabile ad un processo di
continua rinascita, ad un risorgere e lottare tenacemente per vincere
l’impulsività, la superficialità, il male presente dentro e fuori ciascun
essere umano.
“Educare educandosi” significa, in concreto, assumere la
dimensione più alta e nobile dell’esistenza contribuendo a creare soggetti
capaci, si, di equilibrio e di razionalità, ma anche di nuove idee e spinte valoriali,
di gioia di vivere.
L’educazione oggi più che mai, è valore e risorsa. È atto
d’amore assolutamente imprescindibile.
Gabriella Scaturro, gabriella.scaturro.109@istruzione.it
Dirigente Scolastico 1° Circolo Didattico
“Giovanni XXIII” di Sciacca (AG)