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Come scegliere la destinazione del TFR?

La scelta del lavoratore sulla destinazione del Tfr può essere effettuata in modo esplicito oppure in modo tacito.
Modalità di scelta eplicita: Compilazione dei moduli TRF1 o TFR2
 
Per esercitare la scelta sulla destinazione del Tfr bisogna utilizzare gli appositi moduli (approvati con il Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del 30 gennaio 2007). In particolare i lavoratori dipendenti, già in attività al 31 dicembre 2006, devono compilare il modello TFR1, mentre i lavoratori dipendenti assunti dopo il 31 dicembre 2006 devono compilare il modello TFR2. Il modulo deve essere consegnato al lavoratore dal suo datore di lavoro. Una volta compilato, deve essere restituito al datore di lavoro, il quale è tenuto a rilasciare copia controfirmata per ricevuta. I modelli TFR1 o TFR2 devono essere utilizzati anche se si sceglie di mantenere il Tfr futuro presso il proprio datore di lavoro.
  

Cosa sono i fondi pensione?

I fondi pensione sono gli organismi che hanno lo scopo di erogare ai lavoratori iscritti una pensione aggiuntiva rispetto a quella obbligatoria. La normativa prevede che prima dell’adesione, al fine di tutelare gli iscritti e di consentire una scelta meditata e consapevole, debba essere consegnata la documentazione informativa (redatta in conformità alle disposizioni emanate dalla Covip), riguardante in particolare i costi complessivi connessi alla partecipazione al fondo pensione, le modalità di gestione finanziaria, i rischi connessi all’investimento, i rendimenti conseguiti. Gli iscritti hanno inoltre il diritto di ricevere informazioni, con periodicità almeno annuale, sull’andamento della gestione complessiva del fondo pensione nonché sull’ammontare della posizione individuale.

Detraibili le spese per l'iscrizione a Dottorati di Ricerca

Fisco e dottorati di ricerca, iscrizione con lo sconto. Sono spese per l’alta qualificazione per cui spetta la detrazione.
Fisco soft per i futuri dottori di ricerca. Anche le spese di iscrizione ai dottorati presso gli atenei si possono portare in detrazione perché rientrano tra i corsi di istruzione universitaria. Lo chiarisce l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 11/E pubblicata oggi, che prende le mosse dalla richiesta di un contribuente cui il Caf ha negato la possibilità di detrarre le spese sostenute per iscriversi a un corso di dottorato di ricerca vinto senza alcuna borsa di studio presso un ateneo.
In particolare, i tecnici delle Entrate chiariscono che il dottorato di ricerca rappresenta un titolo che si ottiene dopo aver seguito un corso specifico previsto dall’ordinamento universitario per preparare i laureati a svolgere attività di ricerca di alta qualificazione.
Si considerano, quindi, veri e propri corsi di istruzione universitaria e i relativi costi d’iscrizione possono beneficiare della detrazione Irpef del 19% prevista anche per i corsi di perfezionamento e di specializzazione, così come per i master post laurea.
Il testo della risoluzione n. 11/E è disponibile sul sito http://www.agenziaentrate.gov.it/ .Inoltre, su FiscoOggi.it sarà pubblicato un articolo sul tema.

Comunicato stampa dell'Agenzia delle Entrate del 18 febbraio 2010

Guida alla Riforma della scuola dell'infanzia in Italia (I ciclo)

Opuscolo divulgato dal MIUR per spiegare la riforma del primo ciclo di scuola (scuola dell'infanzia)
             Apri Opuscolo

Premio per i migliori oggetti didattici prodotti dalle Scuole

  Il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione - Dipartimento per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione tecnologica e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in collaborazione con FORUM PA, presentano il Premio “A scuola di innovazione”.

Le nuove tecnologie e i prodotti multimediali possono essere di grande aiuto sui banchi di scuola. Il Premio “A scuola di innovazione” vuole promuoverne l’utilizzo, diffondendo le migliori esperienze di questo tipo realizzate in Italia.
Per il bando di partecipazione e gli approfondimenti clickare QUI

Piattaforma didattica sulla Costituzione Italiana

Interessante iniziativa del Parlamento Italiano per la diffusione della conoscenza, in particolare nelle scuole, della Costituzione italiana. Sito ricco di spunti operativi e non solo del testo, ancorchè tradotto in inglese, francese, tedesco, spagnolo, arabo.
          Piattaforma didattica sulla Costituzione Italiana

Concorso Parlawiki, Il Parlamento dei Bambini

Il Parlamento Italiano lancia un concorso rivolto alle classi V della Scuola Elementare e alla Scuola Secondaria di primo grado per avvicinarle alla conoscenza delle Istituzioni e del Parlamento in particolare. QUI puoi trovare i materiali per proporre un lavoro su questo tema alla tua classe e il bando di partecipazione al “Concorso Parlawiki- Costruisci il vocabolario della democrazia”

Insegnare con la Lim

Scuola con la Q


La scuola italiana sta per essere massacrata da una legge devastante ed il nostro Presidente della Repubblica ( a suo dire ) non può far nulla, neanche esprimersi a suo sfavore.
Non è dello stesso parere Cossiga ( che pure lui è stato Presidente ) che giustamente fa cenno alla possibilità di rimandare alle camere una legge ingiusta.
Intanto la Gelmini annuncia l'arrivo delle lavagne multimediali, acquistate con milioni dei nostri Euro, mentre migliaia di maestri se ne andranno a casa per i tagli sconsiderati che il governo ha imposto al paese.
Certo, nelle scuole in cui mancano anche i soldi per pagare i supplenti, una bella lavagna multimediale ci sta proprio bene !!!!!

E' già nata l'anti LIM

Nato dalla collaborazione tra la Fondazione IBM Italia e il Liceo Ginnasio Statale Augusto di Roma, il progetto SmartWall ha l’obiettivo di far leva su nuove modalità di insegnamento frontale in classe e di valorizzare le grandi potenzialità offerte dall’apprendimento cooperativo. Il progetto verrà sperimentato durante la seconda parte dell’anno scolastico 2009-2010.
SmartWall è basato su una soluzione tecnologica che consente di utilizzare una parete all’interno della classe come se si disponesse di una vera e propria lavagna digitale. Realizzata su iniziativa di alcuni volontari IBM che collaborano col mondo della scuola, utilizzando tecnologie già disponibili e a basso costo, questa soluzione si integra nel normale svolgimento delle lezioni. In questo modo sarà possibile favorire una maggiore interazione tra docenti e studenti, superando la tradizionale impostazione frontale delle lezioni ed avvicinandole al modo di pensare, di comunicare ed apprendere dei giovani.
“E’ oramai condivisa l’idea che solo quando le tecnologie si integrano positivamente con i tradizionali strumenti didattici, contribuendo alla creazione di nuovi contesti di apprendimento, possono costituire una risorsa preziosa per ammodernare e rendere più efficace il sistema scolastico” sottolinea Angelo Failla, Direttore della Fondazione IBM Italia.

Presto un Netbook per tutti i Professori

Proposta molto interessante che ancora non si capisce da chi verrà finanziata.
Continua l¹impegno nel mondo education di ASUS, che diventa protagonista con i propri mini computer Eee PC di un nuovo progetto volto a rivoluzionare la didattica nella scuola. La nuova iniziativa, tra i primi esempi in Europa, prevede che tutti i professori siano equipaggiati con un computer portatile personale, che possono utilizzare in sostituzione dei tradizionali registri e come strumento interattivo per l¹insegnamento, nonché nelle relazioni con famiglie e studenti.
Asus, annuncia un nuovo progetto sul mondo della scuola che prevede di dotare ciascun insegnante di un computer portatile da utilizzare per la didattica e la gestione alunni. Promotrice con i propri netbook Eee PC di diversi progetti pilota, che hanno visto l¹introduzione del computer in aula ad uso di ogni alunno oppure in sostituzione del registro di classe, ASUS ha raggiunto un nuovo importante traguardo, reso possibile grazie anche alla preziosa collaborazione con Master Training. In due diverse scuole, dislocate in Lombardia e Veneto, ciascun professore disporrà di un computer ASUS, che potrà essere utilizzato sia per la didattica in aula sia in sostituzione del registro personale dell¹insegnante, aprendo le porte all¹era del PC per ogni insegnante.
Si tratta di un nuovo e decisivo passo in avanti verso l¹informatizzazione della scuola, che coinvolge in modo significativo i metodi stessi di insegnamento. Dotando ogni docente di un netbook personale, che può essere usato anche in modalità wireless (senza fili), la scuola è in grado di orientarsi verso nuove forme di didattica, con lezioni sempre più interattive, dove la tecnologia consente di approfondire qualsiasi tema, anche attraverso l¹utilizzo di Internet, fino ad arrivare col tempo ad eliminare carta e penna tramite l¹utilizzo esclusivo di supporti digitali.
Il Liceo Crespi di Busto Arsizio (VA) e l¹Educandato Statale ³Agli Angeli² di Verona sono tra i primissimi esempi di scuole in Europa dove ciascun insegnante potrà disporre di un proprio computer che consente di sostituire completamente sia il registro di classe sia quello personale del professore, grazie anche a MasterCom, un¹applicazione Web interattiva appositamente sviluppata per le scuole da Master Training.
L¹obiettivo è quello di informatizzare e ammodernare l¹intero sistema scolastico. Un cambiamento importante che in altri istituti, quali l¹ITIS ³B. Pascal² di Cesena, il Liceo Mazzini di La Spezia (SP) e il Liceo Giolitti di Bra (CN), sta avvenendo in maniera graduale, con l¹utilizzo del PC da parte dei professori per ora solo in alcune classi – sei nella scuola romagnola e otto in quella ligure, che partiranno con la sperimentazione nei prossimi giorni, e quattro in quella piemontese, dove l¹utilizzo del PC portatile è già una realtà per circa il 30% dei docenti ­ per dar modo agli insegnanti di organizzare la nuova forma di didattica ed estendere poi rapidamente l¹impiego del mini computer di ASUS a tutto il corpo docenti. In particolare, l¹impiego dei piccoli computer Eee PC di ASUS come registri personali degli insegnanti assicura maggiore interattività tra il corpo docente, gli alunni e le loro famiglie, che potranno consultare tramite web, e quindi anche al di fuori della scuola, gli argomenti trattati durante le lezioni o, in alcuni casi, anche le valutazioni assegnate nel corso dei mesi e in generale tutta la programmazione didattica materia per materia.
Grazie all¹applicazione MasterCom con cui i PC sono ottimizzati, inoltre, è possibile gestire anche altri aspetti legati alla didattica degli alunni, tra cui assenze, giustificazioni, pagelle, e comunicazioni scuola-famiglia attraverso pagine personali raggiungibili dai siti web delle scuole, oltre a snellire e velocizzare le procedure amministrative. Tutti gli studenti delle scuole oggetto della nuova iniziativa promossa da ASUS e MasterTraining, infatti, dispongono di badge, uno strumento in grado di registrare, attraverso apposite postazioni di rilevamento, l¹ingresso e l¹uscita degli alunni, inviando queste informazioni ai registri elettronici, che vengono, quindi, aggiornati in automatico. Questo assicura anche maggiore coordinamento tra i professori, anche in sede di consigli di classe e di esami. In queste occasioni, infatti, la situazione di ogni studente potrà essere facilmente consultata a video, condivisa da tutti e archiviata in formato digitale, con una sensibile riduzione di tempi, ingombri e materiale di cancelleria.

fonte: hwgadget.com

Sistema scolastico tedesco: efficiente ma molto rigido

L’istruzione scolastica in Germania è determinata, come per le altre istituzioni, dalla gestione degli stati federali (Länder) ed è strutturata in precise e complesse categorie. I bambini dai tre ai sei anni accedono a una sorta di asilo nido (Kindergarten, giardino di infanzia) che non è obbligatorio. In alcuni Länder esistono anche delle classi pre-scuola, le Vorklassen, che preparano i piccoli al loro ingresso nel mondo scolastico.

La scuola elementare

Poi si passa alla Grundschule, la scuola elementare obbligatoria. Qui gli alunni ricevono la prima istruzione fondamentale, ma anche il primo giudizio degli insegnanti che sarà determinante per il loro futuro scolastico. Infatti, nella Grundschule gli insegnanti hanno il dovere di distinguere da subito i bambini con ritardi nell’apprendimento, che vengono destinati a scuole particolari chiamate una volta Sonderschulen (scuole differenziali) ed oggi Förderzentren (centri di sostegno). La Dottoressa Guadatiello, insegnante nel centro integrazione di Monaco di Baviera, durante una intervista rilasciata a Radio Lora, ha fatto capire che la mancanza di abilità cognitive e la troppa esuberanza portano i piccoli alunni a frequentare scuole diverse. La maggior parte di questi bambini, però, appartiene a famiglie straniere venute a vivere in Germania. I test per verificare, se un bambino può frequentare la scuola elementare o se deve essere iscritto al Förderzentrum, vengono eseguiti in tedesco.

Spesso, quindi, la “inabilità cognitiva” coincide con una mancata conoscenza della lingua. Per esempio: i bambini italiani vivaci verrebbero valutati dai tedeschi come troppo vivaci e per questo indirizzati ai Förderzentren.

Tali differenze nella scuola primaria sono state ampiamente criticate, anche dal commissario delle Nazioni Unite Vernor Muñoz Villalobos, perché perpetuano un sistema di ineguaglianza che i bambini si portano con sé per tutta la vita. Infatti, in base alle sue performances nella scuola primaria, il bambino potrà poi frequentare o meno il liceo e l’università e non sempre il disagio scolastico iniziale sarà recuperabile. La scuola primaria ha una durata di quattro anni dopo i quali, senza nessun esame scolastico, si accede all’istruzione scolastica secondaria inferiore.

Istruzione secondaria

Qui ci sono le prime distinzioni: c’è la Hauptschule, una specie di scuola media e istituto di avviamento lavorativo che dura cinque anni e avvia ad una formazione professionale; c’è la Realschule, più specializzata, simile a un’istituto tecnico, e poi per i più meritevoli c’è il Gymnasium che prepara all’università: è una scuola molto elitaria, che ha una durata di dieci anni.

Nelle scuole secondarie si inizia la mattina dalle 7.30 e si studia fino alle 13. Le lezioni durano circa 55 minuti, con 20 minuti di intervallo totale e i voti funzionano in modo contrario rispetto al sistema italiano. In Germania se un alunno prende 1 ha preso ottimo, fino al 6 che indica un’insufficienza grave. Se uno studente ha due materie insufficienti, non ci sono esami di riparazione, ma solo una bocciatura senza pietà.

In alcuni stati federali però esistono anche le Gesamtschule, una sorta di scuola generica che accorpa tutte le materie delle tre sopra menzionate. In questo caso gli alunni frequentano la stessa scuola e poi vengono distribuiti nei diversi tipi di indirizzo. Dopo i dieci anni della scuola dell’obbligo, gli studenti possono decidere se proseguire verso l’Abitur, l’esame di maturità, necessario per l’accesso universitario.

Serena Marchionni

fonte: www.ioacquaesapone.it

Viaggio nella scuola, seconda parte

Altra intervista di Giuseppe Stabile, questa volta a Grazia Honegger Fresco “Premio Unicef 2008 - Dalla parte dei bambini” e sempre sul tema Scuola, pubblicata il 1 Ott 2008 sul mensile Acqua&Sapone, che vale anch'essa la pena di essere riletta.

Dopo aver raccolto le illuminanti opinioni di Giovanni Bollea, in questo secondo appuntamento abbiamo incontrato Grazia Honegger Fresco, insignita, in collaborazione con il “Segretariato Sociale RAI”, del “Premio Unicef 2008 - Dalla parte dei bambini”, con la motivazione di aver “dedicato la sua lunga vita ad aiutare i bambini ed i genitori nel difficile compito della crescita, (…) facendo della divulgazione educativa una ragione di vita”.


Secondo lei, la nostra società sa prendersi cura dei bambini?

«Molto poco, dato che siamo diventati incapaci di rapportarci con i più piccoli. Bisogna partire da una diversa conoscenza del bambino, com’è e quali sono i suoi bisogni. Dovremmo ricominciare dall’inizio, fin dal parto e dall’allattamento, per comprendere come educare i nostri figli».

Il nostro modo di vivere incide su quello che insegniamo ai ragazzi?

«Naturalmente. La difficoltà di molti adulti ad essere persone responsabili ha delle conseguenze sui bambini: ad esempio molti genitori sono in grande confusione e spesso non sanno dire no quando serve. Inoltre viviamo in modo sempre più frenetico e purtroppo già da piccini pressiamo i nostri figli per anticipare sempre i tempi. Ma lasciamoli in pace questi bambini e rispettiamo i loro tempi lunghi!».

Da dove partire per rifondare la scuola italiana?

«Anzitutto non bisogna ossessionare i bambini con la competizione, puntando invece sulla collaborazione. Se la motivazione ad imparare e ad agire viene indotta, non è autentica».

Cosa pensa del ritorno dei voti in pagella?

«Credo che tutto il sistema dei premi sia non solo negativo, ma proprio sbagliato da un punto di vista etico. In questo modo facciamo vivere il bambino in una dimensione nella quale non può dire a se stesso “sono felice di quello che faccio”, ma “devo fare questo e poi avrò il mio premio”. I bambini soffrono nel sentirsi sempre giudicati e messi in competizione: questo fa nascere molti problemi che portano anche al bullismo. È necessario cambiare completamente la scuola ed abolire tutti i voti: lo sa che in Finlandia, Paese che possiede uno dei migliori sistemi scolastici, non danno i voti fino alla terza media?»

Condivide la scelta del ritorno al maestro unico nelle scuole elementari?

«Idealmente potrebbe essere positivo. Ma cercando di essere concreti, dobbiamo tener conto che, purtroppo, nel nostro Paese la sofferenza psichica è in forte aumento e molti insegnanti ne sono vittime. Per esempio, cosa succederebbe ad una classe di bambini di sei anni se la loro unica maestra fosse, inconsapevolmente, una persona nevrotica e sadica? Oltretutto si rischierebbe di tornare alla situazione per cui ognuno ha la sua classe che sente come territorio personale, senza confrontarsi con nessuno: questa sarebbe una grande regressione culturale».

Come si può far lavorare bene gli insegnanti e salvaguardare i bambini?

«Mi auguro che, nonostante l’introduzione del maestro unico, venga preservata ed utilizzata la preziosa esperienza di collaborazione e scambio faticosamente accumulata dagli insegnanti in questi ultimi anni. Fermo restando che le cose fondamentali sono il livello di formazione e l’equilibrio interiore dei docenti. Ma attenzione, non bastano i famigerati corsi di aggiornamento! Bisogna aiutare i docenti a guardarsi dentro, per comprendere cosa succede nella loro persona ed in quella dei bambini».

Lei è stata un’allieva di Maria Montessori ed ha sempre lottato per applicare e divulgare i metodi di insegnamento che l’hanno resa famosa in tutto il mondo. Cosa resta del suo messaggio?

«Ero molto giovane quando conobbi Maria Montessori. Rimasi affascinata dalle sue bellissime conferenze e, poco più che ventenne, frequentai il suo ultimo corso tenuto a Roma, un anno prima di morire. Aveva un carattere rigoroso e severo, ma sapeva essere anche ironica. Niente a che vedere con la donna sentimentale e romantica rappresentata ultimamente nella brutta fiction televisiva su di lei. Purtroppo, soprattutto in Italia, la Montessori è ancora inascoltata. Lei fondava il lavoro sulla libera scelta, ponendo l'accento sui bisogni del bambino e sulla capacità dell'adulto di osservare e di capire questi episodi. Sul suo metodo di insegnamento c'è una grande disinformazione, ma, fortunatamente, al contrario di quello che succede nel nostro Paese, all’estero, dall’Australia all’India fino al Giappone, ci sono migliaia di scuole basate sui suoi studi».

Nel corso degli anni si sono succeduti molti ministri della Pubblica Istruzione, a volte pieni di idee e buona volontà. Eppure si ha la sensazione di una scuola prigioniera di un caos in continuo aumento …

«La struttura in sé è come un guscio vuoto, con il ministero della Pubblica Istruzione che è una macchina burocratica spaventosa. Quello che deve cambiare è il modo degli adulti di relazionarsi con i bambini. Bisogna cambiare dal basso, perché il ministro più aperto ed intelligente può al massimo limitare i danni. La sostanza è che la cosa più importante, la relazione umana, rimane un fatto individuale, di ogni genitore ed insegnante con i propri figli ed alunni. Ma ci siamo mai veramente chiesti perché ai bambini non piace andare a scuola?»

EDUCATRICE E DIVULGATRICE

Grazia Honegger Fresco nasce a Roma nel 1929. Formatasi alla scuola di Maria Montessori, ha dedicato tutta la sua vita ai bambini, attraverso l’insegnamento, la formazione e la divulgazione. è stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma ed è direttrice del trimestrale “Il quaderno Montessori”. Ha scritto molti saggi e manuali per l’educazione, tra i quali “Essere genitori”, “Essere nonni”, “Un bambino con noi” (Red Edizioni, anni vari), mentre nel 2007 ha pubblicato “Maria Montessori, una storia attuale” (L’Ancora del Mediterraneo). Sposata, con due figli e cinque nipoti, da molti anni vive in provincia di Varese.

IL METODO MONTESSORI

Maria Montessori (1870 – 1952), medico, pedagogista ed antropologa, iniziò la sua attività prendendosi cura di bambini con ritardo mentale. Nel 1907 fondò a Roma la prima Casa dei Bambini nella quale cominciò a mettere in pratica la sua rivoluzionaria idea di scuola senza premi e castighi che la renderà presto famosa in tutto il mondo. Costretta ad abbandonare l’Italia nel 1934 per insormontabili divergenze con il regime fascista, fu accolta in molte Nazioni desiderose di approfondire e mettere in pratica, fino ai giorni nostri, i suoi insegnamenti, così come illustrati in molti suoi libri. Morì in Olanda il 6 maggio 1952.

Di seguito evidenziamo in modo sommario alcuni elementi che contraddistinguono il “Metodo Montessori”.

• La classe è un ambiente organizzato con varie attività e materiali che i bambini scelgono liberamente

• L’insegnamento avviene sia individualmente che in piccoli gruppi

• Le classi sono formate da studenti di età diverse

• Tutta l’attività è basata sulla libera collaborazione

• Non ci sono voti, premi o test

• Nello spazio di libertà lasciato agli allievi ci sono poche, chiare e ferme regole di convivenza.

Viaggio nella scuola, prima parte

Intervista a Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile, fatta da Giuseppe Stabile e pubblicata il 1 Set 2008 sul mensile Acqua&Sapone che vale la pena di essere riletta.

Le vacanze se ne vanno e la scuola ritorna ma, purtroppo, tanti problemi restano: noi di Acqua&Sapone vogliamo dare il nostro contributo per approfondire la tematica dell’educazione, argomento che riguarda tutti, non solo i più giovani e le loro famiglie, incidendo profondamente sul futuro del Paese. Racconteremo esperienze ed incontreremo esperti, ben sapendo che, seppur siano in molti ad affannarsi nel dare ricette e nel proporre riforme, resta vero quello che scrisse il grande Don Milani (1923 – 1967):

“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio a averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma come bisogna essere per far scuola… “.
Il nostro primo incontro è con Giovanni Bollea, il padre della Neuropsichiatria Infantile, un uomo straordinario che, con coerenza e concretezza, ha dedicato tutta la sua vita ai bambini ed ai ragazzi.

Professor Bollea, cosa dovrebbe dare la scuola ai nostri figli?

«Il bambino ha bisogno solo di Amore e, dunque, anche lo Stato, ed in particolare la scuola, dovrebbe essere capace di amare i figli degli italiani. Il sistema scolastico deve sentire e concretizzare questo dovere, adattandosi continuamente alle esigenze sempre mutevoli della società nella quale viviamo. La scuola dovrebbe essere profondamente comprensiva dei bisogni dei più giovani nelle varie fasi della loro vita. Ad esempio, l’adolescenza non è solo un lungo periodo di transizione, ma è la preparazione della maturazione di un individuo».

Com’è la nostra scuola?

«Oggi la scuola sembra dare molta cultura agli studenti, ma in realtà non forma la persona. Invece è necessario insegnare ai ragazzi ad amare se stessi e gli altri, preparandosi per essere utili a chi è nel bisogno. Ad un bambino bisogna insegnare ad essere un rivoluzionario, nel senso di cercare sempre il bene maggiore da donare agli altri per migliorarne l’esistenza. Lo scopo della vita non può essere accumulare denaro, ma creare rapporti d’amore. Noi invece insegniamo ai bambini a diventare degli impiegati che devono ricevere uno stipendio! Oggi, piuttosto di aiutare i ragazzi ad esprimere la loro creatività in uno spirito di servizio, ci limitiamo ad istruirli per raggiungere titoli che gli permettano di guadagnare denaro. Invece di formare persone e cittadini che pensano a se ed agli altri, oggi trasmettiamo un unico valore: il denaro».

Quale dovrebbe essere il ruolo dei genitori?

«I genitori devono partecipare attivamente alla formazione dei loro figli. I bambini ed i ragazzi hanno bisogno di essere aiutati dalle famiglie e dalla scuola a maturare come uomini, come donne e come cittadini. Il padre e la madre non devono mai delegare alla scuola perché sono loro i principali formatori dei loro ragazzi; l’importanza della vita sociale ed il significato della scuola provengono dai genitori. È assurdo far studiare i propri figli per il voto! Dobbiamo invece educare un giovane ad essere una persona matura che sappia amare ed esprimersi creativamente in un’attività lavorativa che sia utile a chi è più debole».

Come dovrebbe essere il rapporto tra scuola e società?

«La scuola deve avere il sapore della società, perché ha l’enorme responsabilità di dover sfornare delle persone e dei cittadini. Secondo me, già a sedici anni i giovani dovrebbero essere coinvolti anche nella vita politica e sociale. Un adolescente deve sentirsi subito in grado ed in dovere di dare il suo contributo alla collettività, senza essere abituato a pensare solo al suo tornaconto personale in questa mentalità egoistica che oggi prevale.
Contemporaneamente, un adolescente deve poter ascoltare nelle aule scolastiche degli esperti e dei professionisti della vita di tutti i giorni, come direttori di banche o architetti o altro. Non si possono trascorrere anni ed anni solo ad accumulare nozioni senza avere una motivazione profonda allo sforzo formativo».

Da dove iniziare a cambiare le cose?

«La scuola dovrebbe essere completamente diversa e ci vorrebbe una vera rivoluzione già dalle elementari. Ma uscire da questa situazione è molto complicato. Dovremmo partire da una formazione profonda degli insegnanti che oltretutto dovrebbero vivere in prima persona i valori da trasmettere».

IL LUOGO DEI VALORI

La scuola deve ritornare ad essere il luogo dove, anche attraverso la disciplina, si trasmettono i valori del merito, della solidarietà, della responsabilità, del “ben fare” e della fiducia nel futuro, sottraendo i ragazzi agli effetti perversi della pubblicità. Per questo, ho intenzione di proporre al governo un intervento legislativo che introduca, a partire dalla quinta elementare, due ore settimanali, in cui genitori e figli insieme vengano istruiti ad una fruizione razionale e costruttiva delle reti telematiche, per evitare che si trasformino in strumenti di violenza, depravazione sessuale e alienazione.

Giovanni Bollea - Il Messaggero 4 agosto 2008

TORNA IL 7 IN CONDOTTA

Dopo esser stato lo spauracchio di intere generazioni di studenti, 10 anni fa era stato abolito il “voto in condotta”, compreso quel 7 che voleva dire bocciatura. Con l'anno scolastico 2008-2009 è tornato con il nome di “Valutazione del comportamento”. La sostanza comunque non cambia: il giudizio sul comportamento dello studente a scuola sarà dato dal Consiglio di Classe e potrà comportare anche la bocciatura. In particolare saranno puniti gli atti di bullismo o di esibizionismo, come i video messi su You-Tube.

Le ragioni per cui l'italia non è un Paese che fa largo ai Giovani

Un' interessante inchiesta pubblicata sul mensile online "acquaesapone" che analizza le cause, che coinvolgono anche noi, per cui per un giovane vivere in Italia è difficoltoso.

Chiamiamoli non più anziani, ma sempreverdi. La vita si allunga e, per gli italiani, gli anni dei capelli grigi non rappresentano più un incubo. Secondo il rapporto Censis Salute, l’85,8% degli intervistati over 60, ovvero di chi ha varcato la soglia di quella che una volta si definiva terza età, giudica positivamente la propria condizione: fanno ciò che vogliono, si sentono gratificati e contenti di ciò che hanno. Meno del 15% ritiene noiosa o troppo piena di guai la loro vita e, tra ciò che si desidererebbe fare, al primo posto figura l’attività fisica (49,2%), avere maggiori amicizie e rapporti con gli altri (45,3), dedicarsi ad un hobby o viaggiare. Anche per gli studiosi, la terza età non è più un periodo di decadimento, ma una fase dello sviluppo dell’individuo che, come le altre, si accompagna a processi di cambiamento, ma non risulta necessariamente peggiorativa. Dai dati Istat 2007, poi, si apprende che la speranza di vita nel nostro paese è attualmente di 77,7 anni per gli uomini e 83,7 per le donne e recentemente, da studi dell’Istituto Nazionale di Statistica, è scaturito che un nostro neonato su due ha fondate speranze di arrivare a spegnere cento candeline in buona salute.

Culle vuote e nonni al potere

Tutto bene, pare, ma abbiamo appena accostato i termini “Italia” e “neonati”: e qui i sorrisi cominciano a spegnersi. Perché il nostro, assieme al Giappone, è notoriamente quello con la popolazione più anziana e dove il tasso di natalità, con un numero medio di 1,2 figli per donna, rimane tra i più bassi in Europa (media 1,4) e nel mondo (media 2,8). Senza contare che una grossa mano alla cicogna lo danno i nuovi italiani figli di immigrati. Solo la Spagna nella UE ha un indice inferiore (1,1), mentre all’estremo opposto c’è l’Irlanda, con una media quasi doppia (2,0).
Culle vuote, dunque, ma il nostro è anche il Paese della gerontocrazia, con una classe dirigente tra le più vecchie d’Europa. In seguito ai rivolgimenti economici degli ultimi tempi, sono proprio coloro “che hanno intorno a trent’anni” ad aver pagato il prezzo maggiore alla crisi: sono stati i primi, affacciandosi al mondo del lavoro in concomitanza dell’entrata in vigore dell’euro, a vedere dimezzato il potere d’acquisto del proprio salario; sono loro ad aver sperimentato per primi le incognite del precariato, e, fa sapere l’ISTAT, in seguito all’attuale congiuntura economica hanno perso il lavoro quattro volte in più rispetto ai loro genitori. Una generazione compressa tra l’aumento della disoccupazione generato dalla crisi mondiale e la mentalità con cui è stata formata: quella, per intenderci, del posto fisso e delle mansioni canoniche.
La trentenne che cerca il lavoro da segretaria, o da operaia, commessa, insegnante, avrà sempre più difficoltà ad essere inquadrata “a tempo indeterminato” e dovrà probabilmente cambiare spesso occupazione. Sicuramente meglio si troverà invece la trentenne che cercherà di capire di cosa davvero il mondo del lavoro ha bisogno, cercando di diventare imprenditrice di se stessa, senza attendere troppo aiuti “istituzionali”.

L’Italia “regala” i giovani

L’emigrazione attuale non è più fatta di braccia, ma di cervelli, di teste cinte dal lauro accademico: emigrano in decine di migliaia l’anno, regalando ad altri Paesi una ricchezza che l’Italia costringe a portare altrove. Il nostro non è un Paese per giovani, ha sintetizzato Confindustria parafrasando la metafora del film dei fratelli Coen, in uno studio realizzato, mettendo in fila una serie di numeri, profili e previsioni sul mondo giovanile e l’istruzione. Qualche dato? Si calcola che il sistema Italia abbia speso oltre un miliardo di euro per l’istruzione di 11.700 giovani professionisti che ora lavorano (e producono) oltre confine. L’importo è stato quantificato dal blog “La fuga dei talenti”, incrociando gli ultimi dati Ocse (riferiti al 2006) sulla spesa per l’istruzione in Italia e il Rapporto sulla situazione sociale nel Paese del Censis, riferito allo stesso anno. L’istruzione di ciascun giovane italiano dalla scuola primaria fino all’Università costa infatti, secondo l’Ocse, oltre 100.000 euro. Se la moltiplichiamo per il numero dei giovani espatriati solo nel 2007 (almeno 11.700), tale esodo costa all’Italia oltre 1 miliardo e 170 milioni di euro investiti per la loro formazione, senza contare quello che non producono per noi. I neolaureati mettono le loro capacità al servizio di aziende e istituzioni straniere, che le investono in attività produttive e beneficiano dei loro frutti economici, e si tratta di fatto di un investimento “regalato” dall’Italia, dovuto in buona misura all’assenza di meritocrazia e alla poca partecipazione attiva degli under 40 nei processi decisionali del nostro Paese. Il processo non è certo controbilanciato dall’afflusso di “cervelli” stranieri nella penisola: come ha documentato la recente ricerca della Fondazione Rodolfo De Benedetti, in Italia - per ogni cento laureati nazionali - ce ne sono 2,3 stranieri contro una media UE di 10,45.

Una scuola di serie B

Ancora in tema di istruzione, i dati offerti da Confindustria non sono affatto incoraggianti. Il nostro sistema non riesce a raggiungere affatto i parametri europei fissati a Lisbona: i giovani che lasciano gli studi prematuramente (dopo l’istruzione di primo grado) sono il 19,8% contro l’obiettivo posto del 10%; il tasso di istruzione superiore è solo del 76% contro il traguardo dell’85%, i giovani italiani entrano nel mercato del lavoro mediamente tre anni dopo i colleghi europei e la nostra classe insegnante è la più vecchia d’Europa: un solo insegnante su cento (!) ha meno di trent’anni; in compenso, si fa per dire, l’età media dei ricercatori è ben oltre i 40. Abbiamo un quarto di borse di studio rispetto alla Francia e spendiamo per il diritto allo studio la metà della media UE. L’età media dei membri dei Consigli d’Amministrazione delle banche è di 15 anni superiore alla media continentale e, da un'analisi condotta sulla banca dati del Who's who (il database dei top manager pubblici e privati), risulta negli ultimi vent’anni un sensibile aumento dell'età dei dirigenti industriali italiani: si è passati da una media di 56,8 anni a una di quasi 61 (60,8 anni).

Che fare?

La ricetta di Confindustria

«Dobbiamo restituire il futuro ai nostri giovani», ha dichiarato il Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia nell’illustrare 4 proposte che sono state presentate al vaglio del Governo. Al primo punto figura l'abolizione del valore legale dei titoli di studio; seguono la flexicurity alla danese, (non è una parolaccia, significa che il giovane ha diritto a una formazione continua e parallela in cambio di obblighi progressivi di accettazione delle proposte di lavoro): la Danimarca ha introdotto questo sistema nel 1994 e da allora la disoccupazione giovanile si è ridotta dal 30% al 12,5%, la più bassa in Europa. Poi un piano di patrimonializzazione giovanile per permettere il proseguimento degli studi anche a chi parte da posizioni sociali svantaggiate e il compimento della riforma degli Istituti tecnici. Le proposte verranno presentate anche al Governo per trovare sbocco legislativo. «L'obiettivo - spiega la Marcegaglia - è fare di tutto perché i giovani non siano più i grandi esclusi di questo Paese».

Libere professioni

Buio pesto anche nelle libere professioni. Il giornalismo, la medicina, l'avvocatura e il notariato hanno tempi di accesso lunghissimi; per di più stage, tirocini gratuiti e condizioni di estremo precariato o sotto-occupazione si susseguono senza soluzione di continuità fino a oltre 40 anni. Qualche esempio: l'età media dei praticanti giornalisti è di 36 anni; i medici sotto i 35 anni sono poco meno del 12%, mentre i 35-39enni, rispetto a 11 anni fa, sono diminuiti del 13,8%. Gli avvocati, pur iscritti all'albo, sono a loro volta costretti per anni e anni a un ruolo umiliante di passacarte, e tra i notai due su dieci sono figli d'arte.

Giovani senza lavoro: ma dipende sempre dagli altri?

In Germania all’età di 18 anni la quasi totalità dei giovani esce dalla famiglia: per studiare lontani, mantenendosi spesso con piccoli lavori, o iniziare un’esperienza lavorativa. Certo la famiglia è sempre un paracadute pronto a salvarli dai fallimenti, ma i ragazzi che “tornano” a casa sono una percentuale bassissima. Stessa cosa negli Usa, in Gran Bretagna, in Francia, ecc... Lo sanno bene anche tutti i giovani italiani che hanno vissuto per un periodo all’estero, dove certo non affrontavano la vita con la passività che magari avevano in Italia.
è vero che il sistema italiano è meno meritocratico, più nepotista, più governato dai “vecchi”, ma quanta energia, quanta creatività dedicano i ragazzi italiani alla ricerca del lavoro? Quanto sono disposti a rischiare? Quanto davvero conoscono le proprie potenzialità?

Stipendio più basso

Lavori meno qualificanti, minori possibilità di emergere, retribuzioni più basse: se nel 2003 il guadagno medio lordo di un giovane d'età compresa tra i 24 e i 30 anni - si legge nel rapporto del Forum Nazionale dei Giovani e del Cnel in collaborazione con Unicredit Group - era di 20.252 euro, rispetto ai 25.032 euro percepiti dagli over50, nel 2007 il divario si è significativamente ampliato: a fronte dei 22.121 euro corrisposti agli under30, i 51-60enni hanno percepito una retribuzione media lorda di 29.976 euro.

Politica

I neoparlamentari hanno un'età media di 51 anni. Dal 1992 a oggi i deputati under35 non hanno mai raggiunto la soglia del 10% degli eletti, fatta eccezione per la XII° Legislatura nella quale costituivano il 12,4%. Tra i partiti la Lega Nord, unica eccezione, presenta un 20,1% di eletti tra gli over35 contro l'11,4% tra i 25-35enni; per gli altri partiti la percentuale di eletti in età matura è quasi il triplo (47,4%). E quindi i giovani sino ai 25 anni, che costituiscono il 18,7% della popolazione maggiorenne, hanno una rappresentanza pari solo a un terzo dell'incidenza effettiva sugli elettori.

Sotto i 35 anni, 1 su 2 è precario

Oltre un collaboratore su due con meno di 35 anni è precario: secondo l'Istat, il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, dopo un anno erano ancora nella medesima posizione. Ovviamente, chi lavora per 10 anni a progetto, come collaboratore o a tempo determinato, ogni volta è costretto a ricominciare dalla base della piramide, rimanendo escluso dalle posizioni di vertice.

Vecchi prof

Il mondo accademico somiglia sempre più ad un ospizio: tra i professori ordinari l'età media è di 59 anni. Nel dettaglio, la metà dei professori di prima fascia ha superato i 60 anni e circa 8 docenti su 100 (7,6%) hanno compiuto i 70 anni. Non va meglio per le fasce più basse: l'età media dei professori associati è di 52 anni e quella dei ricercatori è di 45. Solo il 3,4% di chi ottiene un dottorato di ricerca, infine, ha meno di 28 anni.

di Maurizio Targa

carta igienica

Una storia tenera e drammatica, come è tutto ciò che capita nelle scuole di questo nostro Bel Paese.

In alcune classi, dove ci sono alunni da pochi giorni nel nostro paese, la comunicazione è quasi impossibile per la distanza della lingua. Mi sono servito spesso del traduttore di google per un primo approccio e il sorriso amichevole di chi comprende l’ho visto disegnarsi sul loro volto. È bellissimo.
Peccato che il collegamento nella scuola è abusivo, o meglio è un wifi non criptato. Quando riuscirò a scoprire il proprietario lo ringrazierò per il prezioso servigio fornito alla scuola.

Abbiamo provato all’inizio dell’anno scolastico a diffondere la copertura wifi nella scuola per attivare lezioni multimediali, come la famosa lavagna interattiva del Ministero della Pubblica Istruzione, che altro non è, se non un proiettore, uno schermo pilotato da un computer. La risposta è la solita: non ci sono fondi. Per il progetto “copertura wifi” non sarebbero servite grosse cifre.

Questa mattina hanno bussato alla porta durante la lezione. Era il bidello, informava gli alunni che abbiamo esaurito la carta igienica…
…e io volevo il wifi…
Gabriele Sozzani lunedì 25 gennaio 2010
link:
http://gabrielesozzani.blogspot.com/2010/01/carta-igienica.html

La Scuola pubblica vista "nemica" da uno Studente di Liceo alla vigilia dell' Esame di Maturità 2009

I dati parlano chiaro: 28.000 studenti non ammessi all'esame di Maturità, il 50% in più rispetto allo scorso anno.
Tutto 'merito' del ministro più contestato degli ultimi anni, Mariastella Gelmini, soprannominata dagli studenti italiani Maria 'Star' Gelmini, per la sua totale indifferenza nei confronti delle manifestazioni studentesche contro i suoi provvedimenti. Manifestazioni che quest'anno sono arrivate a mobilitare anche più di un milione di persone tra studenti e professori nella sola città di Roma. Oltre ai numerosi tagli operati nella scorsa finanziaria e gli inutili provvedimenti per "ridare serietà alla scuola pubblica", alcune norme da lei introdotte hanno portato a questo esponenziale aumento dei non ammessi all'esame di stato (oltre a un raddoppiamento dei bocciati alle medie e un numero molto maggiore di studenti con debiti ai licei). Tra questi provvedimenti, i più duri da digerire sono l'obbligo di avere la media del 6 per essere ammessi agli esami e la bocciatura automatica con il 5 in condotta. Non trovo assolutamente giusto che due cambiamenti cosi significativi possano essere introdotti ad anno scolastico già inoltrato e debbano gravare sui ragazzi dell'ultimo anno, abituati nei 4 anni trascorsi nella scuola ad un minore rigore sui voti. Ma evidentemente il 6% di non - ammessi non era sufficiente per lei: infatti per gli studenti che dovranno dare l'esame il prossimo anno, Maria 'Star' ha in serbo un ulteriore inasprimento delle regole: per essere ammessi alla Maturità bisognerà avere il 6 in tutte le materie, obbligatorio e senza possibilità di medie. Personalmente in questi ultimi anni ho notato solo uno spacco sempre più profondo nella scuola, in seguito ai provvedimenti della Gelmini e alla riforma Fioroni: le scuole pubbliche si stanno svuotando.
Nel mio liceo (pubblico), negli ultimi due anni siamo passati da una media di 900 studenti complessivi a una media di 700. Molti miei amici e compagni si sono trasferiti in scuole private, costose ma di manica larga con i voti. Ragazzi che prima rischiavano il debito nel mio liceo, appena passati alle scuole private hanno iniziato a prendere tutti 8 e 9 nelle materie in cui prima zoppicavano, senza ovviamente cambiare metodo di studio o studiare di più. Anche molti ragazzi della mia scuola che quest'anno non sono stati ammessi agli esami cambieranno scuola, passando a una privata. Tutto questo processo secondo me porterà ad un unico risultato: si creerà, e si sta già creando, un enorme divario tra chi vuole studiare e chi non vuole o non riesce a farlo. Infatti, continuando di questo passo, nella scuola pubblica rimarrà solo chi è molto portato in tutte le materie e ha buone attitudini allo studio, mentre chi arranca in qualche materia, chi ha dei problemi a studiare e chi non ha una spiccata capacità di apprendimento sarà costretto a passare in scuole private o paritarie dove la promozione è garantita dalla retta pagata e dalle donazioni alla scuola. La mia opinione è che la scuola pubblica dovrebbe dare a tutti le stesse possibilità ed aiutare chi è in difficoltà in qualche materia, e non, come succede oggi, rinunciare a chi è in difficoltà, punendolo e bocciando, senza nemmeno provare a recuperare questi ragazzi. Spero che la Gelmini, dopo aver perso credibilità più volte nel corso del suo mandato che dura da appena un anno (l'ultima di queste gaffe è stata oggi, quando si è scoperto che uno degli allegati per una traccia dei temi della maturità riguardava il '68 e la sua cultura, quando appena ieri Maria 'Star' aveva dichiarato "La scuola buonista del '68 è stata archiviata"), verrà presto rimpiazzata da qualcuno più competente in materia di scuola, che sappia fare riforme che premino sì i meriti, ma che aiutino seriamente a recuperare chi è in difficoltà. Qualcuno che riesca a far capire il valore dell'istruzione e della cultura ai ragazzi della mia età, che non sanno più quali sono i valori da seguire e non sanno più pensare con la loro testa, merito della 'tivù spazzatura', del 'grande esempio moralmente formativo' dato da alcuni politici nell'ultimo periodo e di una scuola vista come 'nemica'.
luca92

fonte: diregiovani.it

Un'interessante proposta del Ministro Bondi per gli Insegnanti in esubero

E' una di quelle notizie che fanno saltare sulla sedia. Il Ministro dei Beni Culturali Bondi ha proposto, nel quadro della riforma del suo ministero, di utilizzare anche gli insegnanti in esubero (ovviamente con il loro accordo e d'intesa col ministero dell'Istruzione). La prima immagine che viene alla mente è quella di un insegnante seduto su una sedia a controllare i visitatori nella sala di qualche museo ma leggendo meglio la proposta emerge qualcosa di meno pessimistico.

(dal Corriere della Sera.it) "Questo è il pacchetto di proposte per il futuro dei Beni culturali firmato ieri dalla Uil-Beni culturali. La prima novità, che riguarda gli insegnanti, viene direttamente dal ministro Sandro Bondi che l'ha messa sul tappeto commentando il materiale prodotto dalla Uil: «Vorrei discutere col ministro Gelmini la possibilità di impiegare gli insegnanti in esubero nei musei e nella valorizzazione del nostro patrimonio artistico e ambientale. Potrebbero essere utilizzati anche come dirigenti di strutture se non addirittura di musei». Un'idea, quella di Bondi, che nasce da una considerazione: il personale dei beni culturali scarseggia, alcuni insegnanti invece potranno essere più numerosi del necessario."

Beh... direi che, a queste condizioni,  la cosa può essere molto interessante, se riguarda la direzione di strutture appartenenti ai Beni Culturali o dei Musei. Speriamo sia la volta buona che gli insegnanti vengano valorizzati per quello che meritano.

In crescita i giovani che dopo l’obbligo non proseguono gli studi, né trovano un impiego

Preccupante rapporto dell'Istat sull'occupazione, soprattutto quella giovanile che dopo la scuola dell'obbligo non prosegue gli studi superiori e, se lo cerca, non trova neanche lavoro.

(daFTAonline) In Italia, come in Europa, sembra non conoscere fine la caduta dell’occupazione. Se i dati di novembre erano stati i peggiori da molti anni a questa parte, quelle di dicembre hanno evidenziato un ulteriore scivolone. In questo contesto di difficoltà generalizzata, certo non sorprendono i numeri che dipingono le difficoltà nel rapportarsi al mondo del lavoro dei giovani italiani di età compresa tra i 19 e i 29 anni.

Occupazione mai così in basso dal 2004
A dicembre, la disoccupazione in Italia è salita a quota 8,5%, toccando il livello massimo dal 2004. Secondo i dati raccolti dall’Istat, nell’ultimo mese dello scorso anno gli occupati, nel nostro Paese, sono stati 22 milioni e 914mila (306mila unità in meno rispetto al dicembre 2008). Numeri simili equivalgono a dire che il tasso di occupazione italiano è pari al 57,1% (1,1% in meno rispetto a dicembre 2008), mentre le persone in cerca di lavoro sono 2 milioni e 138mila. Guardando all’andamento del mercato del lavoro, l’agenzia di rating Fitch ha stimato che in Italia il tasso di disoccupazione, nel 2010 e 2011, continuerà a crescere, mantenendosi tra il 9 e il 9,5%, con effetti particolarmente negativi su giovani, stranieri e lavoratori con contratti temporanei.

La generazione né-né
Tali numeri assumono un aspetto ancora più fosco se li si incrocia con altre statistiche derivanti da un’indagine del ministero del Lavoro a proposito del rapporto dei giovani italiani con il mondo del lavoro. Le rilevazioni, infatti, hanno messo in luce come in Italia il 9% dei ragazzi tra i 19 e i 29 anni dopo la licenzia media, nel 2009, non abbia né proseguito gli studi, né trovato un’occupazione. La generazione “né-né”, come è stata etichettata, è particolarmente presente nel Mezzogiorno: nelle regioni del Sud, infatti, il fenomeno tocca picchi del 15%; il che equivale a dire che su 3 milioni di ventenni che vivono al Sud, quasi mezzo milione non ha continuato la formazione dopo la scuola dell'obbligo pur non avendo un'occupazione.

Nel budget 2010 dei Conti Pubblici meno fondi alla Scuola

Tanto per cambiare nel 2010 saranno stanziati meno fondi alla Scuola. In particolare per l’istruzione scolastica si prevedono stanziamenti in calo del 2% (da 16,5 miliardi del 2009 a 15) concentrati soprattutto nella fascia della scuola secondaria. Per contro vi sarà un forte incremento degli stanziamenti per l’istruzione universitaria ma legati per la maggior parte ai fondi destinati agli istituti di alta cultura. A Ricerca e Innovazione vanno 75,5 milioni in più.
Stretta anche (-38,5%, -670 milioni) per le spese generali della Amministrazioni Pubbliche. Il costo del personale pubblico, tra retribuzioni e altre uscite, ammonta 79,9 miliardi, in lieve calo sul 2009.

Queste sono le novità contenute nel Budget dello Stato per il 2010, pubblicato oggi dalla Ragioneria generale dello Stato, da cui emergono anche più fondi destinati a sicurezza, ambiente e giustizia.

Meno Quantità e più Qualità nella riforma delle Superiori del Ministro Gelmini

Ancora una volta viene sbandierata una riforma “in stretto accordo con insegnanti e addetti ai lavori" come dice Silvio Berlusconi. Ed io ribadisco: chi sono questi insegnanti ed addetti ai lavori che hanno collaborato alla stesura di questa riforma? Esistono veramente o è un bluff per mettere un sigillo di condivisione ad un’iniziativa unilaterale e dirigistica? E poi, che fine ha fatto il Liceo Tecnologico?

( da periodicoitaliano.info) “Il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, non si è lasciata scoraggiare dagli scioperi e dalle contestazioni degli studenti e non ha alcuna intenzione di arrestare la sua opera riformatrice: “Più matematica, scienze e lingue straniere. Latino obbligatorio nei licei Classico, Scientifico, Linguistico e delle Scienze umane. Relazioni più strette con il mondo del lavoro e con l’università” ha dichiarato entusiasta. E questo sarà solo l’inizio per una delle Riforme del centro - destra che si preannunciano rivoluzionarie. La Gelmini ha già espresso il suo “No” a una scuola - parcheggio di studenti: ecco perchè l’obbligo d’istruzione è stato abbassato da 16 a 15 anni. Il ministero vuole offrire la possibilità di lavorare a chi non ama studiare, rendendosi dunque utile alla società e all’economia del nostro Paese. Il ministro, con il consenso del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha inoltre annunciato il via libera del Governo alla Riforma dele scuole superiori, Licei ed Istituti tecnici e professionali: “E’ un passo epocale che verrà attuato dal prossimo anno”, ha dichiarato. Ma non potevano mancare gli allarmismi: la senatrice del Pd, Mariapia Garavaglia, ha gridato subito allo scandalo, temendo una nuova Riforma Gentile del 1923, promulgata durante l’epoca fascista.
Sonora la risposta di Silvio Berlusconi: “La verità è che una riforma organica delle superiori era attesa da decenni. E il fatto che a vararla sia un Governo di centro - destra rappresenta per la sinistra una bruciante sconfitta. Con queste riforme, dal prossimo anno scolastico avremo delle scuole che potranno essere comparate a quelle dei Paesi europei più avanzati”. Una riforma avanzata, in stretto accordo con insegnanti e addetti ai lavori: leggi per il popolo e con il popolo. Secca la risposta del Ministro Gelmini alle critiche avanzate dall’opposizione: “La sinistra è allergica alle riforme e rappresenta solo la conservazione e la difesa a oltranza dell’indifendibile. La scuola cambia e non sarà più un ammortizzatore sociale”. Per il Presidente dell’Associazione nazionale Presidi, Giorgio Rembado, è una “riforma necessaria e ineludibile”.
Tra le novità: riduzione dell’orario delle lezioni, gli studenti italiani sono quelli che trascorrono più ore tra i banchi di scuola, ma con risultati scarsi. Da 1089 ore annue scenderemo a 977 (media Unione Europea);. Nei Licei: basta indirizzi sperimentali e progetti fittizi. I licei saranno solo sei. Nell’Artistico dominano sei indirizzi: arti figurative, architettura e ambiente, audiovisivo e multimedia, design, grafica e scenografia. Al Liceo classico più matematica e una lingua straniera. Al Liceo scientifico tre lingue straniere e potenziamento delle discipline matematiche. Ma le novità più attese sono il Liceo musicale e coreutico (“Sarà obbligatiorio studiare la mia musica e quella del maestro Apicella” ha ironizzato il nostro presidente del Consiglio) e il Liceo delle Scienze umane, che sostituisce il vecchio Liceo sociopedagogico.
Per gli istituti tecnici e professionali, la Gelmini promette che “non sarà istruzione di serie B”. Anzi, “sarà la migliore risposta della scuola alla crisi e favorirà il contrasto della dispersione scolastica”. Più ore di laboratorio, più stage, tirocini e alternanza scuola - lavoro. Perchè se tempo fa la scienza si affermò grazie alla tecnica, oggi il mondo del lavoro, per progredire, ha bisogno di tecnici e professionisti di alto livello. Non solo intellettuali da Liceo, dunque.

Fabio Giuffrida

Un articolo sulla Scuola "salvata" che vale la pena di commentare

Riporto un articolo di Marcello Veneziani sulla riforma della scuola che, in alcuni passaggi, giudico addirittura sconcertante. E' l'ennesima persona che, per il solo fatto di essere stato studente, crede di sapere tutto della Scuola sin nei più reconditi meandri. Esprimere un parere è lecito, pontificare no. Soprattutto se si sta parlando di qualcosa che non si conosce, se non marginalmente.

(ilGiornale.it) Finalmente il Sessantotto va in pensione con la riforma della scuola. Dopo i guasti dell'immaginazione ritorna la realtà e si mette ordine al caos delle materie. Non foss'altro che per questo, siamo grati alla Gelmini e al governo Berlusconi. E l'assenza di campagne contro la riforma mostra la scarsità di argomenti contro. Di più non poteva fare Mariastella Gelmini. Ragionevole, realista, la sua riforma migliora le condizioni della scuola italiana. Solo un governo coeso, non ricattato da partitini e lobby, con un'ampia maggioranza in Parlamento e un largo consenso nel Paese, poteva permettersi di riformare la scuola.

Se i ministri e i governi vanno giudicati attraverso i paragoni, la riforma Gelmini è decisamente preferibile alla riforma Berlinguer, svetta rispetto ai tentativi a volte anche encomiabili di De Mauro e Fioroni e segna un passo avanti rispetto alla svolta impressa alla scuola dalla stessa Moratti, che aveva un impianto manageriale-privato più che scolastico-educativo. Alcuni ministri della scuola del centrosinistra pensavano anche loro che si dovesse tornare alla serietà degli studi e alla selezione, dunque avevano aspirazioni non lontane da quelle che hanno animato la Gelmini; ma lavoravano sull'orlo precario di governi risicati, ricattati da sinistre radicali, comunisti, verdi e sessantottini e gli annunci di serietà e selezione finivano maledetti nel gorgo del nulla.
Non so, in verità, se davvero si tratti di una svolta storica e di una riforma epocale, come dice la Ministro con comprensibile fierezza. E non paragono l'apprezzabile impianto della riforma Gelmini alla grande riforma di Gentile che fu l'architrave storica della scuola italiana o anche alla grande innovazione di Bottai, che fu il ministro più rivoluzionario, più «a sinistra» e più modernizzatore della scuola, benché d'epoca fascista; aprì la scuola al nuovo, alla tecnica e alla scienza senza far perdere la meritocrazia, l'educazione nazionale e l'aspirazione alla qualità. A limitare lo sguardo alla Repubblica, non credo che ci siano stati tentativi migliori di cambiare la scuola. Quasi tutte le riforme, da quella di Gui a quella di Misasi, da Ferrari Aggradi a Sullo e alla Falcucci, più sottofondo di Moro ed Andreotti, dalla scuola media unica ai decreti delegati, una sfilza numerosa di ministri della Pubblica istruzione democristiani incisero male sulla scuola italiana, e ne favorirono il declino.
Uno dei migliori del passato, massacrato dalla demagogia studentesca e sindacale, fu non a caso un ministro mosca bianca perché non democristiano: fu il liberale Salvatore Valitutti, non a caso di scuola gentiliana. Ricordo gli slogan contro di lui: Valitutti Valiniente. Slogan falso e ingeneroso, che ignorava la statura intellettuale e civile del galantuomo liberale. Ma con quei governicchi lì, che duravano poco, vivevano di mediazioni interne e di compromessi con la sinistra e i sindacati, che si poteva fare? Quando si farà la storia della Dc alla guida dell'Italia si potranno scrivere pagine positive e negative; ma penso che sulla scuola e la cultura il potere democristiano abbia scritto le pagine più brutte.
  Insomma in un bilancio storico, la riforma scolastica del governo Berlusconi, nel tempo della crisi, è sicuramente un passo avanti e segna un'inversione di tendenza. Però lasciatemi dire una cosa: i ministri e i governi sono impotenti a mutare il corso della scuola, il suo profilo e il suo ruolo nella società. La scuola vive un inarrestabile declino, paragonabile alla tv pubblica. Un declino che non può essere fermato dalle leggi, perché il marcio è negli uomini e nella mentalità. Non potendo cambiare quelli, perché è impossibile cambiare i due terzi dei docenti italiani, la scuola s'infrange nella sua stessa inadeguatezza. E non avviando alcuna rivoluzione culturale nel Paese, non riuscendo a bilanciare il potere della agenzie private (a cominciare dal web e dalla stessa tv) con una crescita civile e culturale dello spirito pubblico, la scuola vive un'indecorosa marginalità. Non è più al centro ma alla periferia dei processi innovativi, ai margini della cultura, di cui è un malfamato e popoloso sobborgo, pervasa da piagnistei e rancori, latitanze e ritardi, ideologie e ignoranze militanti.
  Da decenni non è più un luogo formativo, non seleziona classi dirigenti e società del futuro, vive una lungodegenza in vistoso affanno sulla vita. Il suo declino è un processo che viene da lontano, è troppo difficile arrestarlo ed impossibile farlo a suon di leggi e di riforme, pur benememerite. E si innesta poi sulla crisi demografica del Paese, sull'assenza di utenti, cioè i ragazzi, a parte i rinforzi che vengono dagli immigrati, che però pongono più problemi che soluzioni. Naturalmente, questa considerazione non deve indurre al disarmo e al disfattismo. Le riforme si devono fare, tutti i tentativi per migliorare la scuola vanno fatti e non si deve abbandonare la nave alla bufera. Ma non aspettatevi la resurrezione dalla scuola, non riponete troppe aspettative sulla riforma e poi non prendetevela con la Gelmini e il suo governo se la scuola resterà affogata nei suoi malanni. È un pachiderma malato, a cui prestare le dovute terapie perché sul suo dorso ci sono pur sempre i cittadini del futuro. Abbiate cura di lei, ma non fatevi illusioni.

Nuove regole per la Carriera dei Docenti

Pubblico uno stralcio dell'intervista, rilasciata a settembre 2009 al mensile Tuttoscuola, in cui il Ministro Gelmini fa un elenco di buoni propositi. Dopo 4 mesi forse si può fare un primo bilancio. Cosa è cambiato? Quel famoso tavolo di consultazione è stato aperto? C'è qualcuno che vi ha partecipato e ce ne può parlare? Troppo spesso si propongono riforme aggettivandole con "condivise" dagli insegnanti. Io vorrei capire meglio come, dove, quando e chi, della nostra categoria, ha condiviso. Fatemi sapere, Grazie

"Entro sei mesi intendo definire le regole per la carriera dei docenti. Vorrei farlo con il coinvolgimento dei sindacati e delle associazioni professionali. Apriamo un tavolo, sono aperta a consigli, suggerimenti, proposte, non ad una contrattazione sindacale. Se dopo sei mesi si sarà pervenuti a una soluzione condivisa bene, altrimenti il Governo andrà avanti per la propria strada prendendosi tutte le responsabilità. E' una cosa troppo importante, un passaggio fondamentale per arrivare a quella valorizzazione dei docenti che tutti vogliamo".


"Se ci si vuole arrivare, sei mesi sono più che sufficienti, non perderò e non farò perdere questo treno alla scuola. Del resto siamo tutti d'accordo, ritengo, sul fatto che la qualità della scuola è data prima di tutto dalla qualità delle persone che la rappresentano. Ebbene dobbiamo essere tutti consapevoli che se la carriera resta quella che è, o mi lasci dire quella che non è, non avremo mai le migliori risorse sulle nostre cattedre. Dobbiamo attrarre verso l'insegnamento le risorse migliori, i cervelli più brillanti, quelli in grado di accendere la scintilla della conoscenza nei nostri studenti. Come farlo? Discutiamo di questo".


"Io dico che prospettare un percorso in cui chi dà di più può raggiungere uno status e dei riconoscimenti anche economici di tutto rispetto possa rendere più appetibile una professione che è in se stessa affascinante, ma che oggi presenta troppi fattori disincentivanti per i giovani più motivati. Mi chiedo se ci può essere oggi qualche giovane brillante e ambizioso che possa essere attratto dalla prospettiva di entrare in ruolo a 40 anni per guadagnare 1.300 euro al mese. Lo chiedo ai sindacati, ci può essere? Lo dico chiaramente: l'insegnamento non può essere una professione di serie B, non può essere il ripiego nel caso non siano andate bene altre strade o per chi vuole conciliare un impiego a mezzo servizio con altri impegni. Oggi in troppi casi, non nascondiamolo, è così".

Pensioni: nuovi controlli a tappeto sulle invalidità civili

Finiscono nel mirino dell’Inps le false pensioni di invalidità. Con l’anno nuovo dovrebbero infatti partire 100 mila verifiche aggiuntive sulle invalidità civili, lo stabilisce il pacchetto welfare all'interno alla Finanziaria in approvazione.
Falsi invalidi
Secondo quanto documentato dall’Inps sarebbe, nonostante i controlli più severi, ancora alta la percentuale di falsi invalidi civili che approfitterebbe illecitamente della pensione pubblica. Si tratterebbe di 1 su 8 dei soggetti controllati. Sui falsi invalidi "nel 2010 - dice il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua - ci attendiamo risultati simili" a quelli del 2009 "intorno al 13-15%". Inoltre per combattere il fenomeno “stiamo lavorando ad un'altra novità: una volta concessa la pensione di invalidità, sarà fissato un campione di posizioni da certificare con un incrocio tra le varie Regioni. I medici Inps di una Regione controlleranno le valutazioni fatte dai loro colleghi di un'altra”, conclude Mastrapasqua.

Il valore dei controlli
La manovra ha un peso economico non indifferente, sottolineano gli esponenti del Governo. Secondo le previsioni, infatti, l’attività di verifica dovrebbe consentire allo Stato di recuperare 50 milioni di euro in un solo anno e 300 milioni di euro dal 2009 al 2011. I 50 milioni che il Governo intende recuperare dalle false pensioni di invalidità dovrebbero convogliare, insieme ai 100 milioni tagliati dal Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, nel pacchetto sul “welfare”, che costerà all’erario circa 1 miliardo nel suo complesso.

Le novità procedurali
Il giro di vite sui falsi invalidi è stato inaugurato con l’approvazione del decreto legge numero 78 del 1° luglio 2009, con cui si è introdotto un nuovo sistema di accertamento dei requisiti per ottenere questo beneficio previdenziale: dal 1° gennaio 2010, infatti, le domande per ottenere le pensioni di invalidità civile dovranno essere indirizzate direttamente all’Inps e non più alle Asl.

L'Inps dà i numeri
Se in totale gli italiani che percepiscono una pensione di invalidità civile sono 2,1 milioni, di questi quasi la metà si trova al Sud. Rispetto ad una media nazionale di 3,58 pensionati ogni 100 abitanti, al Nord le pensioni erogate sono 2,91, al Centro 3,73 e al Sud 4,39 ogni 100 abitanti. Ma la regione che ha il maggior numero di invalidi in rapporto alla popolazione residente e’ l’Umbria (5,48).
Al Nord importi medi da 5.930 euro. E’ il quadro che emerge dalla Relazione generale del ministero dell’Economia.

Importi che importano
Tuttavia, quando si parla di importi, e’ il Nord che vanta le pensioni piu’ alte, in media di 5.930 euro (contro il dato nazionale di 5.840), mentre al Centro le pensioni medie sono pari a 5.890 euro e al Sud arrivano a 5.750. Nel 2008 per i trattamenti di invalidita’ civile sono stati erogati 12,5 miliardi di euro.

fonte: Borsa italiana

Il Prof. Duccio Troller al Collegio dei Docenti parte I

A grande richiesta un altro video del Prof. Duccio Troller, a Che Tempo che Fa di Fazio, alle prese con il Collegio dei Docenti.

Criteri ed indicazioni per l’attribuzione del 5 in condotta

Siamo in tempo di scrutini ed è il momento di valutare oltre che il rendimento scolastico degli alunni anche il loro comportamento in questo primo quadrimestre. Molti di noi aspettavano con ansia questo momento per stigmatizzare con un bel 5 in condotta l'indisciplina di taluni ma...siamo sicuri che sia così semplice?. Riporto di seguito il Decreto Ministeriale 16 gennaio 2009, n. 5, riguardante i criteri e modalità applicative della valutazione del comportamento. Può essere utile per riflettere su quello che è stato o non è stato fatto per giustificare un 5 in condotta.

Decreto Ministeriale 16 gennaio 2009, n. 5


Criteri e modalità applicative della valutazione del comportamento
(omissis)

Articolo 1


Finalità della valutazione del comportamento degli studenti

1. La valutazione del comportamento degli studenti di cui all’art. 2 del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, risponde alle seguenti prioritarie finalità: -accertare i livelli di apprendimento e di consapevolezza raggiunti, con specifico riferimento alla cultura e ai valori della cittadinanza e della convivenza civile; -verificare la capacità di rispettare il complesso delle disposizioni che disciplinano la vita di ciascuna istituzione scolastica; -diffondere la consapevolezza dei diritti e dei doveri degli studenti all’interno della comunità scolastica, promuovendo comportamenti coerenti con il corretto esercizio dei propri diritti e al tempo stesso con il rispetto dei propri doveri, che corrispondono sempre al riconoscimento dei diritti e delle libertà degli altri; -dare significato e valenza educativa anche al voto inferiore a 6/10. 2. La valutazione del comportamento non può mai essere utilizzata come strumento per condizionare o reprimere la libera espressione di opinioni, correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità, da parte degli studenti.

Articolo 2

Caratteristiche ed effetti della valutazione del comportamento

1. La valutazione del comportamento degli studenti nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria di secondo grado è espressa in decimi.

2. La valutazione, espressa in sede di scrutinio intermedio e finale, si riferisce a tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica e comprende anche gli interventi e le attività di carattere educativo posti in essere al di fuori di essa. La valutazione in questione viene espressa collegialmente dal Consiglio di classe ai sensi della normativa vigente e, a partire dall’anno scolastico 2008-2009, concorre, unitamente alla valutazione degli apprendimenti, alla valutazione complessiva dello studente.

3. In attuazione di quanto disposto dall’art. 2 comma 3 del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, convertito dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, la valutazione del comportamento inferiore alla sufficienza, ovvero a 6/10, riportata dallo studente in sede di scrutinio finale, comporta la non ammissione automatica dello stesso al successivo anno di corso o all’esame conclusivo del ciclo di studi.

4. La votazione insufficiente di cui al comma 3 del presente articolo può essere attribuita dal Consiglio di classe soltanto in presenza di comportamenti di particolare ed oggettiva gravità, secondo i criteri e le indicazioni di cui al successivo articolo 4.

Articolo 3

Criteri e modalità applicative della valutazione del comportamento

1. Ai fini della valutazione del comportamento dello studente, il Consiglio di classe tiene conto dell’insieme dei comportamenti posti in essere dallo stesso durante il corso dell’anno.

2. La valutazione espressa in sede di scrutinio intermedio o finale non può riferirsi ad un singolo episodio, ma deve scaturire da un giudizio complessivo di maturazione e di crescita civile e culturale dello studente in ordine all’intero anno scolastico. In particolare, tenuto conto della valenza formativa ed educativa cui deve rispondere l’attribuzione del voto sul comportamento, il Consiglio di classe tiene in debita evidenza e considerazione i progressi e i miglioramenti realizzati dallo studente nel corso dell’anno, in relazione alle finalità di cui all’articolo 1 del presente decreto.

Articolo 4

Criteri ed indicazioni per l’attribuzione di una votazione insufficiente

1. Premessa la scrupolosa osservanza di quanto previsto dall’articolo 3, la valutazione insufficiente del comportamento, soprattutto in sede di scrutinio finale, deve scaturire da un attento e meditato giudizio del Consiglio di classe, esclusivamente in presenza di comportamenti di particolare gravità riconducibili alle fattispecie per le quali lo Statuto delle studentesse e degli studenti - D.P.R. 249/1998, come modificato dal D.P.R. 235/2007 e chiarito dalla nota prot. 3602/PO del 31 luglio 2008 - nonché i regolamenti di istituto prevedano l’irrogazione di sanzioni disciplinari che comportino l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per periodi superiori a quindici giorni (art. 4, commi 9, 9 bis e 9 ter dello Statuto).

2. L’attribuzione di una votazione insufficiente, vale a dire al di sotto di 6/10, in sede di scrutinio finale, ferma restando l’autonomia della funzione docente anche in materia di valutazione del comportamento, presuppone che il Consiglio di classe abbia accertato che lo studente:

1. nel corso dell’anno sia stato destinatario di almeno una delle sanzioni disciplinari di cui al comma precedente;

2. successivamente alla irrogazione delle sanzioni di natura educativa e riparatoria previste dal sistema disciplinare, non abbia dimostrato apprezzabili e concreti cambiamenti nel comportamento, tali da evidenziare un sufficiente livello di miglioramento nel suo percorso di crescita e di maturazione in ordine alle finalità educative di cui all’articolo 1 del presente Decreto.

3. Il particolare rilievo che una valutazione di insufficienza del comportamento assume nella carriera scolastica dell’allievo richiede che la valutazione stessa sia sempre adeguatamente motivata e verbalizzata in sede di effettuazione dei Consigli di classe sia ordinari che straordinari e soprattutto in sede di scrutinio intermedio e finale.

4. In considerazione del rilevante valore formativo di ogni valutazione scolastica e pertanto anche di quella relativa al comportamento, le scuole sono tenute a curare con particolare attenzione sia l’elaborazione del Patto educativo di corresponsabilità, sia l’informazione tempestiva e il coinvolgimento attivo delle famiglie in merito alla condotta dei propri figli.

Articolo 5

Autonomia scolastica

1. Ciascuna istituzione scolastica autonoma, nel rispetto dei principi e dei criteri di carattere generale previsti dal presente Decreto e dalla normativa vigente, può determinare, in sede di redazione del Piano dell’Offerta formativa, ulteriori criteri e iniziative finalizzate alla prevenzione, tenendo conto di quanto previsto dal Regolamento di istituto, dal Patto educativo di corresponsabilità e dalle specifiche esigenze della comunità scolastica e del territorio.

IL MINISTRO

Mariastella Gelmini

Alle scuole serve un miracolo

Ci sono scuole che hanno interrotto i contratti di supplenza e hanno smistato gli studenti su più classi. Quelle che non stanno più pagando i fornitori, e rischiano il pignoramento.
E poi ci sono quelle che fanno le pulizie a giorni alterni, per risparmiare sulle spese. Alcuni dirigenti, poi, sono pronti addirittura a non approvare il bilancio interno, a costo di farsi commissariare. Questi, e tanti altri, i casi segnalati da insegnanti, dirigenti e sindacati. A un mese dall'inizio del 2010, la situazione finanziaria degli istituti è al tracollo (si vedano per esempio le segnalazioni raccolte dal forum messo in piedi su flcgil.it). Sul territorio imperversa l'arte di arrangiarsi, dopo i tagli inferti a tutte le amministrazioni dalla legge 133/2008, la riduzione della Finanziaria 2010 di 73 milioni di euro per il funzionamento didattico e amministrativo, il taglio ai fondi della 440 (un taglio di quasi 40 milioni di euro), la riduzione del 25% per gli appalti di pulizia. E poi soprattutto ci sono i crediti vantati dai singoli istituti nei confronti del ministero dell'istruzione, per spese anticipate dai bilanci interni e mai restituite, che ammontano a quasi un miliardo di euro. E che rischiano di essere radiati. Oggi si terrà un vertice al ministero dell'istruzione tra i responsabili della direzione bilancio e i sindacati. Cgil, Cisl e Uil scuola chiedono che sulla materia ci sia un intervento politico, perché la questione possa essere sbloccata con nuovi finanziamenti, magari in sede di assestamento di bilancio. Ma anche un correttivo tecnico, che escluda che i crediti vantati siano assorbiti a bilancio generale, come lascerebbe prefigurare la circolare del ministero guidato da Mariastella Gelmini del 14 dicembre scorso. Nel frattempo, la direzione scolastica regionale dell'Emilia Romagna, per esempio, suggerisce alle scuole del territorio di fare le pulizie a giorni alterni nei locali dove maggiore è il fabbisogno, aule e bagni, invece che quotidianamente. Mentre i presidenti dei consigli di circolo e di istituto di Bologna e provincia denunciano che sempre più frequentemente, in caso di malattia dell'insegnante, invece che chiamare il supplente, la scuola smisti i ragazzi su altre classi: mancano i soldi per pagare le supplenze. E in alcuni casi, si è stati costretti a interrompere anche contratti già stipulati. Tanto che da Pisa arriva la richiesta di trasferire a carico del Tesoro (NYSE: TSO - notizie) anche le supplenze brevi, come già avviene per quelle fino al termine delle lezioni o dell'anno scolastico.
Dall'altra parte d'Italia, a Potenza, i direttori amministrativi denunciano di non poter predisporre il bilancio di previsione 2010: l'importo dei crediti verso il ministero per spese anticipate supera in molti casi il budget disponibile, e inserendo i crediti tra i residui attivi si rischia il paradosso di vedere radiate le relative spettanze. Situazione analoga quella delle scuole di Piacenza, che hanno crediti verso il ministero per circa 6 milioni, e ora potrebbero essere costrette, per far fronte alle spese ordinarie (comprese lavagna e gessetti), ad aumentare la richiesta di contributi alle famiglie.

di Alessandra Ricciardi

fonte: ItaliaOggi

Chi vigila sui fondi pensione?

La COVIP, Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, vigila e controlla le forme pensionistiche complementari. E’ sottoposta all’alta vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, pur godendo di un’ampia autonomia operativa nello svolgimento dei compiti.

Opera a tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare, con lo scopo di perseguire la trasparenza, la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione delle forme pensionistiche complementari. A tal fine la Commissione dispone di ampi poteri di normazione secondaria, di regolazione e controllo, anche attraverso accertamenti ispettivi. In particolare, la COVIP autorizza le forme pensionistiche complementari all’esercizio dell’attività dopo aver verificato il rispetto delle condizioni previste dalla legge e dalle istruzioni generali fornite dalla stessa Commissione. Le forme autorizzate sono iscritte nell’apposito “albo delle forme pensionistiche complementari” curato e gestito dalla stessa Commissione.
Definisce inoltre le regole volte a garantire la trasparenza delle forme pensionistiche complementari in modo che siano chiare e comprensibili per l’aderente: il funzionamento del fondo, la politica di investimento delle risorse, l’ammontare della posizione individuale, le spese per la gestione amministrativa e finanziaria, i diritti che possono essere esercitati dagli aderenti (trasferimento, riscatto, anticipazioni e prestazioni).
La COVIP vigila attraverso la verifica e l’analisi dei documenti, delle informazioni, dei bilanci e rendiconti annuali che le forme pensionistiche complementari sono tenute a trasmettere alla Commissione, nonché attraverso ispezioni effettuate presso le sedi delle stesse.
Pubblica e diffonde informazioni utili alla conoscenza della previdenza complementare e ha il potere di formulare proposte di modifica legislativa in materia.

MariaGrazia Briganti

fonte: Mornigstar

Che cos'è il TFR ?

Il trattamento di fine rapporto (anche conosciuto come “liquidazione”) è la somma che viene corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore al termine del rapporto di lavoro dipendente.

Il TFR si determina accantonando per ciascun anno di lavoro una quota pari al 6,91 % della retribuzione lorda. La retribuzione utile per il calcolo del TFR comprende tutte le voci retributive corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo diversa previsione dei contratti collettivi. Gli importi accantonati sono rivalutati, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo Istat.
Al momento della liquidazione, il TFR è tassato, in linea generale, con l’applicazione dell’aliquota IRPEF media del lavoratore nell’anno in cui è percepito. Per la parte di TFR che si riferisce agli anni di lavoro decorrenti dal 1° gennaio 2001, l’amministrazione finanziaria provvede poi a riliquidare l’imposta, applicando l’aliquota media di tassazione del lavoratore degli ultimi 5 anni.

Destinazione del TFR

Dal primo gennaio 2007 ciascun lavoratore dipendente, ad eccezione dei lavoratori domestici e dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, può scegliere di destinare il proprio TFR maturando, cioè futuro, alle forme pensionistiche complementari oppure di mantenerlo presso il datore di lavoro. Per i lavoratori già assunti alla data del 31 dicembre 2006 il termine per effettuare la scelta è scaduto il 30 giugno 2007. Per i lavoratori assunti in data successiva, il termine scade dopo sei mesi dall’assunzione. Non deve scegliere il lavoratore che già in data antecedente al 1 gennaio 2007 aderiva a un fondo pensione versando integralmente il TFR. La scelta sulla destinazione del TFR deve essere effettuata compilando il modulo TFR 2 allegato al decreto del Ministero del lavoro 30 gennaio 2007 che deve essere consegnato dal lavoratore, compilato e sottoscritto, al datore di lavoro. Il modulo TFR 2 dovrà essere compilato dai lavoratori assunti dopo il 31.12.2006, che non abbiano già espresso una scelta in merito alla destinazione del Tfr in relazione a una precedente attività lavorativa. Se entro il termine di sei mesi dalla data di assunzione il lavoratore non consegna il modulo al datore di lavoro si realizza un’adesione automatica ai fondi pensione tramite il meccanismo del tacito conferimento del TFR, (silenzio assenso). In relazione alla data di assunzione e all’anzianità contributiva maturata presso gli enti di previdenza obbligatoria si aprono diverse possibilità di scelta per i lavoratori.

Rivalutazione netta del TFR

L'importo del TFR viene rivalutato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno di una percentuale pari al 75% dell'aumento dell'indice ISTAt dei prezzi al consumo + una percentuale fissa dell'1,5%.

MariaGrazia Briganti

fonte: Morningstar