Il presidente Monti oggi a Verona torna a parlare di scuola,
ambiguamente. Si dice disposto ad “ascoltare le istanze del mondo della scuola
a patto che siano fatte in maniera costruttiva, senza strumentalizzazioni e
senza corporativismo”. Il che significa ripetere la convinzione di avere a che
fare con un mondo caratterizzato dal corporativismo e che si lascia andare a
ciniche strumentalizzazioni. È stato inutile finora ricordagli che i veri
corporativismi in questo Paese son ben altri, troppo forti evidentemente per
scalfirli. Meglio prendersela con i più deboli.
Monti torna a bollare come “difesa di interessi di breve periodo” le reazioni del corpo docente
all’incremento di lavoro, imposto per legge e senza contropartita stipendiale.
Una manovra equivalente a tagliare gli
stipendi, il vero obiettivo nei riguardi di tutta la Pubblica
Amministrazione. Il resto consiste nel tagliare
posti di lavoro, già quantificati in 24mila nelle amministrazioni centrali,
lasciare a casa i precari, mettere in mobilità i lavoratori, e da ultimo
licenziare. La ministra Fornero lo va dicendo da mesi. Nel privato si licenzia, e nel pubblico bisogna poterlo fare ugualmente,
“per non fare discriminazioni” è la sua tesi, condivisa dal Governo. Questo è
il concetto “tecnico” di equità.
Aggiunge poi Monti: “Mettersi in discussione è alla base di
ogni sana evoluzione demografica: tutti devono mettersi in discussione.
Lavoriamo tutti per uno stesso obiettivo''.
Ecco vorremmo tanto sapere qual è questo obiettivo in vista
di una “sana evoluzione”, che noi consideriamo più socio-economica che
demografica.
Troppo facile dire a parole “vogliamo una scuola più
efficiente, più moderna, che sappia rispondere alla sfida del presente”. Il
mondo della scuola, per condividere gli obiettivi di cambiamento, vuole sapere
in che direzione va il cambiamento.
Serve una visione chiara e chiaramente comunicata di quale scuola
vogliamo nel futuro, come intendiamo investire se la riteniamo una priorità, e
quale ruolo assegnare agli insegnanti come artefici del cambiamento.
La scuola digitale è una bandierina per le allodole. Le
tecnologie IC sono un mezzo di rinnovamento, non sono lo scopo. La scuola non
si rinnova con computer e LIM inseriti in ambienti inadeguati, non solo dal
punto di vista della sicurezza, ma privi di ogni minimo confort: dagli spazi
agli arredamenti, sedie e servizi igienici compresi.
Serve anche spiegare quale rinnovamento ci si può attendere
da un corpo docente oltre la cinquantina, in gran parte prossimo alla
sessantina, a cui sono state cambiate di punto in bianco le regole per l’accesso alla pensione
(mentre i diritti acquisiti dei veri privilegiati non si toccano!).
Il governo Monti ha eseguito così bene i suoi compiti verso
l’Europa che adesso abbiamo l’età pensionabile più alta d’Europa! Fra qualche anno avremo docenti di 65-66-67
anni in prima elementare, o prima media, o prima di un istituto professionale,
con 25-30 alunni per classe, altissime percentuali di stranieri, alunni con
handicap, alunni con Dsa.
Niente turnover. I precari invecchiano anche loro prima
dell’immissione in ruolo. Neppure il recente concorso per 11.500 nuovi docenti
porterà a un accenno di ricambio generazionale.
Come fa un docente di 50-60 “immigrato digitale”, pur con
tutta la buona volontà di aggiornarsi in proprio (la formazione in servizio è
l’ultima ruota di un carro sgangherato) a stare al passo con i tempi di fronte ad
una generazione di “nativi digitali”?
Monti ci dica finalmente e con onestà intellettuale il vero
obiettivo del suo Governo per la scuola, senza giri di parole, senza espedienti
retorici per confondere gli italiani, e soprattutto smettendola di colpevolizzare
una categoria che in questi anni ha mandato avanti comunque, con buona volontà
e impegno, un sistema di istruzione ormai sull’orlo
della distruzione, grazie all’opera dei politici e tecnici che abbiamo
avuto.
Anna Maria Bellesia